ARRIVEDERCI, MOSTRO!, IL NUOVO ALBUM DI LUCIANO LIGABUE

Si chiama “Arrivederci, mostro!” il nuovo lavoro discografico di Luciano Ligabue, che così torna con un nuovo album di inediti dopo 5 anni dall’ultimo “Nome e cognome”, ad un anno e mezzo dalla seconda parte della sua antologia “Secondo tempo” e giusto a vent’anni dal suo primo album, “Ligabue”.
Il titolo racchiude un’importante dichiarazione d’intenti: “salutare”, come racconta l’autore, “i propri mostri e fantasmi, le proprie ossessioni”, nella consapevolezza che è difficile, se non impossibile, lasciarseli alle spalle in modo definitivo. Ma l’album vuole trasmette una forte sensazione di liberazione  e di sollievo, così come l’aspetto del “mostro”, rappresentato in copertina da un pesce gigante immerso e nascosto sott’acqua, su cui sorge e si sviluppa l’ambiente in cui viviamo. Un modo forse per dire che il mostro è sempre lì, allora meglio imparare a conviverci.
Per la prima volta nella sua discografia Luciano non appare come produttore (e nemmeno come co-produttore) dell’album. Il ruolo è stato affidato interamente a Corrado Rustici, già coinvolto per le felici produzioni de “Gli ostacoli del cuore”, “Niente paura”, “Buonanotte all’Italia” e “Il centro del mondo”; lo stesso Rustici ha inoltre inciso diverse parti di chitarra di quest’album. Ad occuparsi del ruolo di “ingegnere” del suono è stato scelto Chris Manning.
Gli altri musicisti coinvolti sono gli stessi che hanno accompagnato Luciano in tour in questi ultimi anni: Michael Urbano alla batteria, Kaveh Rastegar al basso, Fede Poggipollini alle chitarre, Niccolò Bossini alle chitarre e Luciano Luisi alle tastiere. A questi si aggiungono alcuni ospiti presenti in un paio di pezzi: il Solis Strings Quartet in “Quando mi vieni a prendere”, José Fiorilli alle tastiere e Lenny, il figlio undicenne di Luciano, alla batteria in “Taca banda”.
L’album consta di 12 brani, che spaziano da pezzi autobiografici, a pezzi dedicati a persone ritenute speciali, passando per pezzi ironici o di speranza, a pazzi molto critici verso l’attuale società o il Mondo della musica, fino ad un pezzo struggente dedicato ad un fatto di cronaca.
Il sound, in un tempo in cui la musica si affida principalmente a strumenti elettronici e artificiali, lascia molto spazio alle chitarre e alla batteria.
Da fan di Liga da circa 12 anni, so bene che un album “potente” sia dal punto di vista del suono che del messaggio dei testi, qual è “Buon compleanno Elvis” difficilmente sarà da lui riproposto. All’epoca (1995) c’era la voglia da parte sua di dimostrare al produttore (Angelo Carrara) che lo aveva “abbandonato”, e a sé stesso, che il successo derivato dai primi due album non era solo stato un caso, visto poi lo scarso impatto che ebbe nel pubblico il terzo album “Sopravvissuti e sopravviventi”; c’era poi anche maggiore ingenuità artistica e nessun obbligo di dover restare sulla cresta dell’onda. Tutti elementi che oggi sono stati messi da parte dal roboante successo degli anni successivi. Ma proprio in virtù di ciò, c’è sempre il timore che non proponga album alla sua “altezza”, e che deluda i fan “più ingordi” (come lui ama chiamarci). Pertanto, a quest’album do un voto medio complessivo di sei e mezzo. Ovvero, non è irresistibile, ma poteva andare molto peggio.

Di seguito riporto un personale giudizio sui 12 brani.

1. Quando canterai la tua canzone: come solea sempre fare, Liga apre l’album con un pezzo dal ritmo deciso e sostenuto, affrontando il tema del mestiere di cantante, e le speranze, le delusioni, le soddisfazioni che esso comporta; chissà magari dedicandola al figlio undicenne Lorenzo Lenny che muove i primi passi (e le prime mani) come batterista. Pezzo buono per aprire un album dalle pretese rock, VOTO 7,5.
2. La linea sottile: con la sua solita ironia e a colpi di metafore, Luciano affronta le difficoltà di vivere nel Mondo di oggi, trovando ancora una volta nella “leggerezza” uno strumento ideale per farlo al meglio. Imperdonabile quello spezzone tipicamente sanremese che anticipa il ritornello finale. Pezzo comunque orecchiabile e squisitamente ironico, VOTO 7.
3. Nel tempo: Il rocker di Correggio, con un pezzo dal BMP frenetico e irresistibile, racconta i tanti eventi di un certo spessore per la storia del nostro Paese a cui ha assisto in vita, soffermandosi soprattutto su quelli avvenuti nei suoi primi vent’anni. Il ritmo veloce e una batteria che picchia come un martello, restano però l’elemento più interessante del pezzo, mentre il testo scade di tanto in tanto nella banalità e nella ripetitività; inopportuno il coro “c’ero!” che di tanto in tanto scandisce il refrain finale. Una sorta di “Buona notte all’Italia” versione autobiografica e ritmata, VOTO 6,5.
4. Ci sei sempre stata: Liga non poteva non inserire nel disco un pezzo “sentimentale” dedicato ad una donna per lui importante; finale con assolo di Rustici. Pezzo che farà felici le fan in cerca di dichiarazioni d’amore, VOTO 6,5.
5. La verità è una scelta: Luciano tratta con decisione lo spinoso tema della verità, tanto nella vita quotidiana di tutti noi, quanto in quella spesso manipolata dai media. Il tono di voce è ritoccato elettronicamente, tanto da renderlo più deciso e profondo, mentre l’arrangiamento è forse il più interessante tra tutti i pezzi. Il tema della verità sta a cuore a Luciano, e di fatto lo affronta con fare graffiante, VOTO 6,5.
6. Caro il mio Francesco: in una notte insonne, di quelle da “4 e un po’ di vino”, dove i pensieri e le insofferenze vengono a galla in modo violento, Liga scrive una canzone sottoforma di lettera a Francesco Guccini, sull’ipocrisia che circonda e aleggia nel mondo della musica, pensando al cantautore emiliano e ai tradimenti che egli ha subito durante la sua carriera, tanto da beccarsi poche riconoscenze. Luciano si ispira a “L’avvelenata” di Guccini, canzone che quest’ultimo scrisse nel 1998 come amaro resoconto della sua carriera e della sua vita. L’amarezza di Liga viene bene fuori, in un pezzo che rappresenta forse il più intenso e introspettivo della sua carriera, VOTO 9.
7. Atto di fede: in questo pezzo il rocker di Correggio ribadisce il suo punto di vista su molti aspetti della vita, sottolineandone quelli a suo avviso più importanti, ma anche le delusioni e le amare verità. Il testo, deciso nel messaggio, è ben accompagnato da un ritmo orecchiabile, VOTO 6,5.
8. Un colpo all’anima: non poteva mancare nell’album un pezzo che parla dell’amore in modo più malinconico e nostalgico, seppur scandito da ritmi veloci, da dedicare a chi è stato per noi importante e che ci auguriamo, senza certezze, che ci sia anche in futuro. Pezzo buono per lanciare il disco in radio, VOTO 6,5.
9. Il peso della valigia: Liga parla di una donna costretta a partire molto giovane, tra tante difficoltà e speranze. Malgrado le buone intenzioni e qualche passaggio che sfiora il cuore, il testo non decolla, esprimendo in modo superficiale e banale pensieri che potrebbero essere struggenti e profondi. Occasione mancata, VOTO 5,5.
10. Taca banda: sicuramente il pezzo più ironico della carriera di Ligabue, breve ma tagliente, durando infatti poco più di 2 minuti; si prende gioco soprattutto dei benpensanti e dei perbenisti. Alla batteria c’è il figlio undicenne Lorenzo Lenny. Una parentesi che in un album dai suoni pesanti e decisi, ci sta benissimo, VOTO 6,5.
11. Quando mi vieni a prendere? (Dendermonde, 23/01/09): Ligabue dedica un pezzo struggente ad un fatto di cronaca che lo ha colpito profondamente: la mattina del 23 gennaio 2009 a Dendermonde, una città a trenta chilometri da Bruxelles, un ragazzo di vent’anni è entrato in un asilo nido armato di un coltello con una lama di circa trenta centimetri, con cui ha ucciso una donna e due bambini e ne ha feriti altri dodici. Il pezzo dura oltre 7 minuti ed è il più lungo della carriera di Luciano, con suoni cupi e lenti, che iniziano e finiscono con un inquietante carillon. Non è facile ascoltarlo tutto, men che meno con frequenza. Il testo è toccante, e pur apprezzando la sensibilità e le buone intenzioni di Liga, l’eccessiva lunghezza e cupezza lo rendono forse una lagna da evitare, VOTO 5,5.
12. Il meglio deve ancora venire: A differenza di come ha sempre fatto (a parte nel primo album, che si chiude con un pezzo veloce, Figlio di un cane), Liga questa volta chiude l’album con un pezzo energico, pieno di buoni auspici e voglia di affrontare il futuro a viso aperto, con coraggio. Anche se il ritornello, come il titolo, è confortante, e l’arrangiamento è grintoso, il testo è poco convincente, VOTO 5,5.

(Fonte: http://www.ligachannel.com/?q=node/2312/98655)

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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