CON LA SOCIAL CARD TORNA LA TESSERA DEL PANE

Il Governo, per bocca dei Ministri dell’Economia, Giulio Tremonti, e il Ministro del lavoro, salute, politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha presentato la “social card”, una sorta di carta di credito per i soggetti economicamente più sfortunati. In pratica, essa spetta ai cittadini ultrasessantacinquenni e alle famiglie con figli piccoli (fino a tre anni) che abbiano un reddito Isee (indicatore della situazione economica equivalente) fino a 6.000 euro. Per chi ha più di 70 anni la soglia di reddito Isee che dà accesso alla carta acquisti è fino a 8.000 euro. Nel caso di più figli sotto i tre anni gli accrediti si sommano. La social card serve inoltre anche per aderire alle “tariffe sociali dell’Enel”, con adesione automatica. Inoltre, nelle catene commerciali abilitate, la card porterà ai suoi possessori il 5% di sconto sugli acquisti, anche se Tremonti spera in un aumento dell’aliquota.

La card consterà di una ricarica mensile di 40 euro, e riguarderà circa un milione e 300 mila italiani.
La social card dovrebbe costare in finanziaria 450 milioni di euro, una volta entrata in pieno regime. Sarà approvata venerdì in Consiglio dei Ministri e proposta con DL.
Più critici parlano del provvedimento come una sorta di ritorno alla tessera del pane, istituita dal Regime Fascista per i meno abbienti. Per carità, qualcuno dirà che almeno questo Governo un’iniziativa concreta la presa, e in effetti penso che, se c’è una cosa che ha distinto i Governi di destra da quelli di sinistra da quando c’è la “Seconda Repubblica” (anche se adesso mi sa che siamo in Terza), è che i primi hanno preso provvedimenti, se pur magari “di pancia”, se pur magari discutibili, sbagliati, apparenti…ma li hanno presi; mentre i secondi si sono fermati alle buone intenzioni, mai però messe in atto, o comunque messe in atto solo parzialmente.
Considerata questa dovuta obiezione che qualcuno può farmi, dico però che avrei preferito un provvedimento riguardante la fonte di guadagno (se pur basso) del meno abbiente, anziché dargli una sorta di carta di credito per sfigati tra le mani; che poi tra l’altro andrà ad agevolare un italiano su 6, mentre ormai gli economicamente sofferenti sono 1 su 4 (secondo l’ottavo rapporto sulla povertà della Caritas italiana – Fondazione Zancan, basato sui dati Istat), e in forma ridottissima, ossia 40 euro al mese (1 euro e 33 centesimi al giorno in più). Non sarebbe stato meglio ridurgli le tasse e i contributi, se non esentarli del tutto, aumentargli seppur di poco i redditi, controllare il prezzo dei beni di strettissima necessità (quale pane, latte, carne, pesce, olio, burro, ecc…), anziché umiliarli all’atto del pagamento alla cassa di un supermercato o centro commerciale, dinanzi a decine di persone, facendogli estrarre la tessera? Forse esagero, ma parlerei di insufficienza ed umiliazione.
Se poi vogliamo allargare il discorso, invece di 450 milioni di euro, potevano essere molti di più, anziché regalare agli eroi della Cai, per pregarli di acquistare Alitalia, ben 300 milioni di euro.
Però poi così cominciamo col solito valzer delle responsabilità e dei “se, però, ma, forse…”. E soprattutto, la frase che taglia la testa al toro: “noi almeno qualcosa abbiamo fatto, e gli altri?”
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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