Elio e il Medioriente teso: ecco perché crisi col Qatar mette a rischio anche TAC, palloncini, bombole per sub e prodotti elettronici

Non si placa la crisi diplomatica col Qatar, piccolo Paese mediorientale vicino all’Arabia Saudita, isolato dagli altri paesi dell’area reo di appoggiare il terrorismo. Finanziandolo e promuovendolo mediante il suo network televisivo Al Jazeera, che abbiamo imparato a conoscere con i messaggi dalla caverna di Bin Laden. E che oggi viene utilizzato dall’Isis per inviare minacce al Mondo occidentale, tramite video con canzoni arabe in sottofondo ed immagini volutamente ad impatto. Ma anche per la sua amicizia con l’Iran e perché fornisce riparo al capo dei fratelli musulmani.

In realtà, il Qatar è molto ricco di gas e petrolio. E forse è più questo che interessa veramente ai suoi Paesi vicini. Su tutte l’Arabia Saudita, che sta patendo un enorme debito pubblico e che vorrebbe controllarlo politicamente e porlo sotto il proprio protettorato. Ma la crisi col Qatar, oltre a mettere a rischio petrolio e gas, rischia di mettere in pericolo anche l’utilizzo di beni di consumo quotidiano e di grande importanza per la collettività. Come TAC e palloncini. Vediamo perché.

Le accuse rivolte al Qatar

Ma di cosa viene accusato il Qatar? Come ho già scritto su Webeconomia, l piccolo ma ricchissimo Emirato sta cercando di slegarsi dal potente vicino saudita. In questi anni ha sostenuto finanziariamente i Fratelli musulmani e ha utilizzato il network televisivo Al Jazeera in modo spregiudicato (che abbiamo imparato a conoscere dai messaggi di Bin Laden nelle caverne afgane in poi). Il Qatar ospita altresì il capo religioso dei Fratelli musulmani, organizzazione che ha una lunga storia, ma viene altresì considerato dalle monarchie saudite una minaccia al loro potere. Si è visto, ad esempio, cosa hanno fatto o tentato di fare nel Nord Africa. In Egitto poi i Fratelli musulmani sono un costante pericolo. Dopo la caduta di Abu Mazen andarono al potere col Presidente Morsi, sostenuto proprio da Qatar e Turchia. Al Jazeera viene utilizzata come mezzo di comunicazione principale per criticare il colpo di Stato dell’attuale Presidente Al Sisi. L’Egitto oggi vive ancora nel terrore e nell’instabilità, a colpi di attentati in varie parti del Paese.

Ma non solo Fratelli musulmani. Il Qatar è accusato di finanziare altri gruppi non graditi dagli altri Paesi del Golfo. Hamas nella striscia di Gaza e le milizie libiche che si battono in Cirenaica contro il generale Haftar. Quest’ultimo, guarda caso, appoggiato proprio dall’Egitto e dagli Emirati arabi uniti. Tensioni comunque iniziate anni fa, che costrinsero il vecchio emiro ad abdicare in favore del figlio Tamim bin Hamad Al-Thani.

Le vere ragioni della crisi col Qatar

arabia saudita sicilia

La svolta contro il Qatar è arrivata con la visita del Presidente americano Donald Trump nel principale paese arabo alleato degli Stati Uniti: l’Arabia Saudita. Il Presidente repubblicano ha dato il proprio totale appoggio ad Arabia Saudita ed Egitto al fine di realizzare quella Santa Alleanza sunnita contro l’Iran e il terrorismo. All’Arabia saudita questa mossa conviene, eccome. Potrebbe comportare la resa del Qatar costretto a perdere la propria indipendenza amministrativa e diventare un protettorato. Anche se ciò è difficile. Inoltre, i sauditi sperano di far dimenticare al Mondo il sostegno all’Islam integralista wahabita, che ha comportato la sua diffusione nel mondo. Il Qatar oltre che essere molto ricco di gas – è il principale esportatore di gas naturale liquefatto, per circa ottanta milioni di tonnellate di produzione annua, in gran parte acquistati dal Giappone che è il primo importatore mondiale di gas liquido e in Europa – e in misura relativamente minore di petrolio, vanta pure importanti partecipazioni azionarie in molte società occidentali, tra cui anche il Credit Suisse. L’Arabia saudita troverebbe conveniente mettere le mani sul piccolo vicino, essendo da tempo alle prese con un deficit di bilancio a causa del crollo del prezzo del petrolio. Ma Arabia Saudita e Qatar non si contendono solo il sottosuolo, ma anche l’egemonia nei cieli, con le proprie rispettive compagnie aeree.

L’Egitto, d’altro canto, può liberarsi così della principale fonte di finanziamento all’opposizione del Presidente Al Sisi: i Fratelli musulmani. Questa scelta, infine, depotenzierebbe l’Iran (da sempre osteggiato da Usa e Paesi arabi filo-americani) che non è un esplicito alleato del Qatar, ma ne intrattiene importanti relazioni. Inoltre, sono tanti gli iraniani che vivono in quest’ultimo Paese.

Per alcuni analisti, insomma, il Qatar viene offerto al Mondo come agnello sacrificale, da additare come principale artefice dell’espansione dello jihadismo islamico. Mentre Arabia Saudita ed Egitto risolverebbero i propri problemi interni ed esterni. Oltretutto, gli Usa dimenticano i finanziamenti degli anni 2000 all’Isis in chiave anti-Assad in Siria (sul web è facile trovare foto del vicepresidente McCain con alcuni capi del sedicente Stato islamico).

A rischio i rifornimenti di elio

palloncino qatar

Oltre a gas e petrolio, l’embargo al Qatar rischia di mandare in tilt il mercato mondiale dell’elio, il gas nobile dei palloncini per bambini, ma pure la materia prima necessaria per la propulsione a reazione, le risonanze magnetiche, la costruzione dei superchip e le bombole dei sub. Il motivo? Come riporta LaRepubblica, Doha – grazie ai suoi sterminati giacimenti di gas liquefatto – garantisce il 25% della produzione mondiale dell’elemento chimico. E l’isolamento economico imposto dai rivali del Golfo ha paralizzato la produzione (prima) e la spedizione (ora) agli acquirenti in giro per il mondo, mettendo in allarme la comunità scientifica e quella medica visto che l’indisponibilità di materia prima rende quasi impossibile reperire il gas da altri fornitori.

L’embargo, su questo fronte, è stato un fulmine a ciel sereno. Tutta la produzione di elio del Qatar veniva spedita via terra dall’Arabia Saudita o per mare attraverso un terminal degli Emirati. Il boicottaggio ha però chiuso queste strade. E Doha il 13 giugno ha deciso di chiudere la produzione, anche perché si tratta di materiale facilmente deperibile e difficile da stoccare in condizioni climatiche non adatte. Fino a pochi anni fa non sarebbe stato un problema: nel 1925, infatti, gli Stati Uniti – consci del valore economico e strategico dell’elio – avevano costituito un immenso giacimento artificiale ad Amarillo in Texas per conservare le scorte necessarie all’industria. Negli ultimi anni però la legge del libero mercato (e il pressing delle lobby) ha convinto Washington a “privatizzare” questa struttura, ridimensionandola e cedendo sul mercato il materiale in deposito. E lo stop di Doha ha così mandato in fibrillazione tutto il settore.

Per ora l’elio c’è, ma per quanto?

Le richieste pressanti di clienti e alleati – sommati alla grande disponibilità di petrodollari della famiglia regnante nell’emirato – hanno consentito ora di mettere una toppa alla crisi. Doha, sfruttando l’elemento economico per rafforzare la sua posizione geopolitica, ha deciso di riaprire la produzione di elio da qualche giorno. E ha ridisegnato la logistica del gas nobile, che viaggia ora solo via nave passando per l’Oman. I prezzi però sono più alti. E l’allarme resta rosso perché una recrudescenza della crisi potrebbe riazzerare la produzione dalla sera alla mattina. E a quel punto a preoccuparsi non sarebbero solo i bambini rimasti senza palloncini. Elio e il Medioriente teso.

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