FELTRINELLI, IL BORGHESE RIVOLUZIONARIO

OLTRE CHE ATTIVO DURANTE GLI ANNI DI PIOMBO, HA FONDATO L’OMONIMA CASA EDITRICE TUTT’OGGI TRA LE PIU’ IMPORTANTI D’ITALIA
Sabato 17 in quel di Pomigliano d’Arco, dove un tempo si ergeva un’antica distilleria, ha aperto un polo culturale avente come fulcro una filiale della casa editrice Feltrinelli. Una realtà editoriale in continua espansione nata nel 1954 a Milano, ma già in vita come biblioteca nel 1949 e diventata una Holding nel 2005, avente cinque diverse tipologie di franchising a seconda del tipo di locazione e di attività svolta (librerie, Libri e Musica, International, Village ed Express).
Fondatore di questa splendida realtà imprenditoriale e culturale fu Giangiacomo Feltrinelli, nato in una delle più ricche famiglie italiane ma attivista comunista, finanziando in modo ingente il partito ma soprattutto spingendosi oltre fondando il GAP (Gruppo armato proletario).

Ripercorriamo la vita di questo personaggio coerente con le proprie idee benché di estrazione sociale molto diversa da esse, nonché imprenditore e intellettuale lungimirante.

LE ORIGINI NELL’ALTA FINANZA– Giangiacomo Feltrinelli nasce da una delle più ricche famiglie italiane, originaria di Feltre e il cui progenitore della dinastia sarebbe un certo Pietro da Feltre. Il titolo nobiliare di cui si può fregiare è quello di Marchese di Gargnano. Il padre Carlo Feltrinelli è presidente di numerose società tra cui il Credito Italiano e l’Edison, e proprietario di aziende come la Bastogi, la società di costruzioni Ferrobeton Spa e la Feltrinelli Legnami, società leader nel settore del commercio di legname con l’Unione Sovietica. Alla morte del padre, avvenuta nel 1935, la madre, Gianna Elisa Gianzana Feltrinelli, nel 1940 si sposa in seconde nozze con il famoso inviato del Corriere della Sera Luigi Barzini. Durante il periodo della guerra la famiglia lascia Villa Feltrinelli di Gargnano a nord di Salò, che diventerà la residenza di Benito Mussolini, e si ritira nella villa “La Cacciarella” dell’Argentario, realizzata su progetto degli architetti Ponti e Lancia, trascorrendo nella residenza il periodo che va dall’estate del 1942 alla primavera del 1944.
L’ATTIVISMO COMUNISTA E LA FONDAZIONE DELL’OMONIMA CASA EDITRICE – Nel 1944, dopo un colloquio con Antonello Trombadori, Giangiacomo decide di arruolarsi nel Gruppo di Combattimento “Legnano” partecipando così attivamente alla lotta antifascista.
Nel 1945 Feltrinelli aderì al Partito comunista, che sostenne anche con ingenti contributi finanziari.
Nel 1948, nell’Europa devastata dalla guerra, iniziò a raccogliere documenti sulla storia del movimento operaio e sulla storia delle idee dall’illuminismo ai giorni nostri, gettando così le basi per la biblioteca di uno dei più importanti istituti di ricerca sulla storia sociale. Nasce così a Milano la Biblioteca Feltrinelli, che in seguito diverrà Fondazione.
Alla fine del 1954 fu fondatore della casa editrice Giangiacomo Feltrinelli Editore che già negli anni cinquanta pubblicò bestseller di rilievo internazionale come Il dottor Živago che Borís Pasternàk terminò nel 1955 e Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Il primo libro edito dalla casa editrice milanese fu l’autobiografia dell’allora primo ministro indiano Nehru.
L’editore milanese entrò in possesso del romanzo di Pasternàk nel 1956 a Berlino e affidò la traduzione in italiano a Pietro Zveteremich. Il libro fu pubblicato il 23 novembre 1957 e tre anni dopo, nell’aprile del 1960 raggiunse le 150.000 copie vendute. Per il 50º compleanno della casa editrice ne è uscita in libreria una ristampa della prima edizione. Il dottor Živago porterà Pasternàk al Premio Nobel nel 1958. In Italia il Partito Comunista, appoggiato dal governo dell’Unione Sovietica, condusse una forte campagna diffamatoria nei confronti del libro e forti pressioni giunsero anche da Pietro Secchia affinché il libro non fosse pubblicato in Italia. Il partito decise poi di ritirare la tessera di Feltrinelli. Il 14 luglio del 1958 conosce la tedesca Inge Schoenthal, sua futura moglie.
Nel 1964 si reca a Cuba ed incontra il leader della rivoluzione Fidel Castro, sostenitore dei principali movimenti di liberazione sudamericani e internazionali, con cui stabilirà una lunga amicizia. Nel 1967 Feltrinelli arriva in Bolivia ed incontra Régis Debray, che nel paese latino vive in clandestinità. L’editore è arrestato a seguito dell’intervento dei servizi segreti americani. Insieme a lui viene fermato anche il colonnello Roberto Quintanilla, che, poco tempo dopo, presenziò all’amputazione delle mani di Che Guevara. Intanto Castro affida all’editore italiano l’opera di Che Guevara, “Diario in Bolivia”, che diventerà uno dei principali best-seller della casa milanese. Feltrinelli entra in possesso di Guerrillero Heroico, la famosa foto del Che scattata da Alberto Korda il 5 marzo 1960, in occasione delle esequie delle vittime dell’esplosione della fregata La Coubre.
Nel 1968, Giangiacomo Feltrinelli si recò in Sardegna, secondo i documenti scoperti dalla Commissione Stragi nel ’96, per prendere contatto con gli ambienti della sinistra e dell’indipendentismo isolano; nelle intenzioni di Feltrinelli, vi era il progetto di trasformare la Sardegna in una Cuba del Mediterraneo e avviare una esperienza analoga a quella di Che Guevara e Fidel Castro. Tra le idee dell’editore c’era quella di affidare le truppe ribelli del bandito Graziano Mesina, allora latitante. Mesina fu poi convinto a non partecipare all’iniziativa di Feltrinelli grazie all’intervento del SID, nella persona di Massimo Pugliese, ufficiale dei servizi che riuscì successivamente a far saltare completamente l’iniziativa.
FONDAZIONE DEL GAP – Il 12 dicembre 1969, ascoltata alla radio la notizia della strage di Piazza Fontana, Feltrinelli, che si trovava in una baita di montagna, decise di tornare a Milano. Apprese però che forze dell’ordine in borghese presidiavano l’esterno della casa editrice ed immaginando che potessero essere costruite prove contro di lui nel successivo procedere della magistratura si trovarono effettivamente indizi in tal senso, Feltrinelli, che da tempo temeva un colpo di Stato di stampo neofascista e che aveva preso a finanziare i primi gruppi di estrema sinistra (e che avrà anche contatti con Renato Curcio e Alberto Franceschini, i fondatori delle Brigate Rosse), decise di passare alla clandestinità. In una lettera inviata allo staff della casa editrice, all’Istituto e alle librerie e in un’intervista rilasciata alla rivista Compagni spiegò la sua decisione, tirando per primo fuori l’idea che dietro le bombe – ve n’erano state più d’una in diversi punti d’Italia – non vi fosse, come tutti sospettavano, compreso il PCI dell’epoca, gli anarchici ma lo Stato, utilizzando tra i primi il termine “Strategia della tensione”. La sua riflessione politica successiva lo portò a scelte estreme, fondando nel 1970 i GAP. I GAP (Gruppi d’Azione Partigiana) erano un gruppo paramilitare che come altri riteneva che Togliatti avesse ingannato i partigiani, prima promettendo e lasciando sperare nella Rivoluzione, e poi all’ultimo il 22 giugno 1946 bloccando la rivoluzione comunista in Italia. Ma, a differenza di quelli successivi e della moda imperante, non prendeva le distanze dall’Urss in nome di “una rivoluzione più rivoluzionaria”, ma anzi riteneva che nonostante tutto l’Urss fosse l’unica speranza per il successo della rivoluzione nel mondo.
LA MORTE E I DUBBI – Giangiacomo Feltrinelli morì il 14 marzo 1972. Le ipotesi sulle cause della morte sono diverse; fatto certo è che il suo corpo fu rinvenuto, dilaniato da un’esplosione mentre, alcuni sostengono, stava preparando un’azione di sabotaggio, ai piedi di un traliccio dell’alta tensione a Segrate, nelle vicinanze di Milano. Altri sostengono che sia stata opera della CIA in accordo con i servizi italiani.
La tesi dell’omicidio fu sostenuta, a caldo, da un manifesto, firmato, fra gli altri, da Camilla Cederna ed Eugenio Scalfari, che iniziava con le parole “Giangiacomo Feltrinelli è stato assassinato”, ma fu smentita dall’inchiesta condotta dal pubblico ministero Guido Viola. Nel 1979, al processo contro gli ex membri dei Gap (confluiti nelle Brigate Rosse), gli imputati (fra cui Renato Curcio ed Augusto Viel) emisero un comunicato che dichiarava: “Osvaldo non è una vittima ma un rivoluzionario caduto combattendo” e confermava la tesi dell’incidente durante l’esecuzione dell’attentato. Feltrinelli (nome di battaglia Osvaldo), era giunto a Segrate, con due compagni, C.F. e Gunter (pseudonimo), su un furgone attrezzato come un camper sul quale dormiva e si spostava quando era in Italia. Secondo una testimonianza di primissima mano, su quel furgone ci sarebbero dovuti essere trecento milioni che l’editore avrebbe poi donato personalmente al giornale Il manifesto una volta giunto a Roma, dove avrebbe dovuto dirigersi dopo l’attentato. Quei soldi non furono mai trovati.
Sulla sua morte le Brigate Rosse fecero una loro inchiesta, trovata nel loro covo di Robbiano di Mediglia, (MI). Personaggio chiave per capire la vicenda – perché vi partecipò, per sua stessa ammissione mentre veniva interrogato dalle Br, che registrarono su nastro, – è un certo Gunter, nome di battaglia di un membro dei Gap di Feltrinelli di cui però non si è mai saputo il vero nome. Il personaggio era un esperto di armi ed esplosivi (sembra che avesse preparato lui stesso la bomba che poi uccise Feltrinelli) e chiese di entrare nelle Brigate Rosse dopo la morte dell’editore. Secondo una recente pubblicazione, Gunter sarebbe scomparso nel 1985.
Da quanto dichiarato dal capo storico delle BR Alberto Franceschini, il timer trovato sulla bomba che uccise Feltrinelli, era un orologio Lucerne. Soltanto in un altro attentato venne usato un orologio di quel tipo, cioè in quello all’ambasciata americana di Atene il 2 settembre ’70 ad opera della giovane milanese Maria Elena Angeloni e di uno studente di nazionalità greco-cipriota. Quella bomba, come nel caso di Feltrinelli, funzionò male, tanto che a rimanere uccisi furono gli stessi attentatori. I due erano partiti da Milano, così come l’esplosivo. Quell’attentato, era stato organizzato da Corrado Simioni, deus ex machina del Superclan e membro della struttura Hyperion di Parigi, a cui si sospetta facessero riferimento organizzazioni terroristiche come OLP, IRA, ETA e ovviamente, ma solo dopo una certa fase, le Br.
Secondo Alfredo Mantica, senatore di AN nella Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Feltrinelli collaborò direttamente alla progettazione dell’attentato, ad Amburgo, in Germania, contro il console boliviano ed ex capo della polizia dello stesso Paese, Roberto Quintanilla. Sempre secondo Mantica, Feltrinelli fornì anche l’arma utilizzata da Monika Ertl, esecutrice materiale dell’omicidio e giovane militante dell’ELN. Nella rivendicazione, Quintanilla venne indicato come responsabile della cattura e dell’uccisione di Ernesto “Che” Guevara.
La sua morte è dunque avvenuta in circostanze molto simili a quelle di Peppino Impastato, del quale pure si diceva che era morto dilaniato da una bomba che stava collocando per un attentato, ma poi a seguito di una lunga inchiesta, si accertò che fu assassinato. Stessa sorte di quest’ultimo anche per quanto concerne i rapporti difficili col Partito comunista italiano, visto che anche Feltrinelli ne fu allontanato (Impastato, più precisamente, non veniva sostenuto dal partito nelle sue iniziative sul territorio).
Al di là di questo particolare comunque non trascurabile, possiamo dire che Giangiacomo Feltrinelli ci ha lasciato in eredità un’importante realtà a distanza di quasi sessant’anni ancora in espansione. Personaggi coerenti e lungimiranti che ormai in Italia non abbiamo più da un pezzo.
(Fonte: Wikipedia)
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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