IL BELGIO DI NUOVO SENZA GOVERNO DA DUE MESI, NEPPURE IL BUON MONDIALE HA FATTO MIRACOLI

IL PAESE RIMASE SENZA ESECUTIVO PER 18 MESI TRA IL 2010 E IL 2011, CAUSA LA DIATRIBA MAI SOPITA TRA FIAMMINGHI E VALLONI. LE DUE FAZIONI HANNO CONDIVISO SOLO LE GIOIE DELLA NAZIONALE
Belgio di nuovo senza un Governo. Certo, da quelle parti le cose funzionano ugualmente, essendo un Paese a evidente trazione federalista ed efficiente a prescindere; come già dimostrò dopo le elezioni del 2010, quando ci vollero ben 18 mesi per formare un Governo e nominare Premier il socialista Elio Di Rupo. A pesare sullo stallo è l’eterna querelle tra fiamminghi e valloni, ovvero tra il nord ricco e produttivo e il sud povero e assistenzialista. Non bastano per riappacificare le due fazioni il Re e l’ottimo mondiale della Nazionale. Dalle elezioni dello scorso maggio non si è ancora riusciti a formare un Governo nazionale.

LE NUOVE ELEZIONI –  Il volto delle Fiandre è Bart De Wever, leader del partito separatista N-VA e sindaco di Anversa, quello del Sud è Elio Di Rupo, socialista e di origini italiane. Se una parte considerevole dei fiamminghi vorrebbe la secessione tout court, ad animare concretamente il dialogo politico è una serie di riforme che darebbero più competenze alle tre regioni belghe e taglierebbero considerevolmente il budget federale e le spese sociali ad esso legate.
Già di per sè, la procedura per la formazione del governo in Belgio è a dir poco complessa. Alla luce del risultato delle elezioni, il re attribuisce al vincitore – il cosiddetto “informatore” – l’incarico di iniziare le consultazioni con gli altri partiti. Il passo successivo è quello del “formatore”, ovvero colui che forma il governo vero e proprio, il premier in pectore. Ma la realtà dei fatti è ben più complessa: nel 2010 per arrivare al formatore ci fu bisogno di un informatore, un preformatore, un mediatore, un classificatore, un altro informatore e infine un altro mediatore. Il risultato fu Elio Di Rupo, che tra tante critiche e tagli forzati al bilancio è riuscito a tirare avanti fino alle elezioni del 2014.
Stavolta il primo informatore, un Bart De Wever rinato dopo una cura dimagrante di venti chili, ha gettato la spugna a giugno e adesso le consultazioni sono in mano al leader dei liberali francofoni (MR) Charles Michel. L’esito finale potrebbe essere una coalizione “kamikaze”, come si dice a Bruxelles, ovvero un accordo tra MR e i tre partiti fiamminghi N-VA, CD&V ed Open VLD, un’eventualità ovviamente invisa alla comunità francofona ma vista dai liberali come l’unica possibilità di avviare la sesta riforma dello Stato. Il prossimo premier sarà quasi sicuramente fiammingo. Una simile coalizione e la sostanziale vittoria del centro destra lascia ipotizzare che il prossimo primo ministro del Belgio venga proprio dalle Fiandre o dalla regione di Bruxelles, l’unica bilingue.
Visto che difficilmente sarà un membro della N-VA, molto probabilmente salirà al governo un membro dei due partiti cristiano democratici che decidessero di entrare nella coalizione, insomma un politico alla Herman Van Rompuy, l’attuale presidente belga del Consiglio europeo, abile nell’arte del compromesso e della mediazione.
IL RE E IL CALCIO NON BASTANO– Crollato nell’immaginario collettivo il ruolo unificatore del re – Philippe non occupa lo stesso posto del padre Albert II nel cuore dei belgi – a impregnare l’aria di patriottismo resta solo il calcio. Non a caso gli inaspettati successi dei Diables Rouges, la giovane Nazionale, e la gioia popolare che li ha accompagnati fino ai quarti di finale del mondiali in Brasile sono stati accolti con una certa diffidenza dai partiti a spiccata vocazione regionalista. D’altronde permettere che i belgi si sentano troppo belgi non conviene a chi vuole dividere il Paese.

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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