IL CASO PETRAEUS E LA SOLITA IPOCRISIA AMERICANA

IL DIRETTORE DELLA CIA E’ STATO COSTRETTO ALLE DIMISSIONI NON PER I SUOI INSUCCESSI MILITARI, MA PER DUE FLIRT EXTRACONIUGALI
A pochi giorni dalle elezioni, la neonata amministrazione Obama bis deve già affrontare la prima prova istituzionale delicata. Il direttore della Cia David Petraeus, già comandante delle forze americane in Iraq e in Afghanistan, è stato costretto alle dimissioni per un duplice scandalo sessuale che vede coinvolte due sue colleghe. In realtà, già dopo il venir alla luce del primo aveva dato le dimissioni, mentre il secondo è venuto a galla qualche giorno dopo. Ancora una volta l’America ha dimostrato la propria ipocrisia. Giudica l’operato di un personaggio pubblico non dai suoi successi o insuccessi professionali, bensì dalla camera da letto. Un bigottismo fuori luogo già visto in occasione di Bill Clinton, Presidente mediocre bocciato solo per un flirt con la sua segretaria.

LO SCANDALO –  L’Fbi ha scoperto che Petraeus, sposato, aveva avuto rapporti sessuali con un’avvenente ricercatrice e, en passant, giornalista, Paula Broadwell, quando costei era “embedded” nelle truppe americane in Iraq e in Afghanistan. In nessun modo l’Fbi ha potuto dimostrare che la Broadwell sia venuta in possesso, e nemmeno che potesse materialmente farlo, a causa di questa sua relazione privilegiata con Petraeus, di documenti o informazioni riservati.
C’erano stati solo dei rapporti sessuali, punto e basta. Ma sotto la pressione dei media e dell’opinione pubblica Petraeus è stato costretto a dimettersi. Nella sua lettera di dimissioni diretta a Obama, David Petraeus non solo ammette la sua colpa, se tale è, cioè la relazione con la Broadwell ma, cospargendosi il capo di cenere, afferma che un militare che tradisce la moglie non è più affidabile perché, allo stesso modo, potrebbe tradire il suo Paese.
L’INSUCCESSO IN IRAQ – David Petraeus avrebbe dovuto essere “dimissionato” molto prima della sua relazione con la Broadwell e per ragioni un po’ più serie. Petraeus passa per essere stato il vincitore della guerra all’Iraq. In realtà, dopo aver provocato, direttamente o indirettamente, 750mila morti, ha lasciato quel Paese in una situazione disastrosa, con un’endemica guerra civile fra sunniti e sciiti che causa centinaia di morti quasi ogni giorno. Ma questo potrebbe non interessare gli americani, molto attenti alla propria pelle ma indifferenti a quella altrui. Il fatto è che con la pseudodemocrazia instaurata a Bagdad gli sciiti, che sono il 62% della popolazione, si sono impadroniti del Paese. E gli sciiti iracheni sono fratelli gemelli di quelli iraniani (stessa religione, stessa antropologia, stessa gente). Il risultato è che oggi a controllare i tre quarti del territorio iracheno è proprio l’Iran, cioè il capintesta dell’”Asse del Male” che gli Usa combattono dal 1980, dalla crociata dello Scià. Davvero un bel colpo.
E QUELLO IN AFGHANISTAN – Ma il capolavoro negativo Petraeus l’ha compiuto in Afghanistan. Nel maggio del 2009, non riuscendo in alcun modo ad avere ragione dei talebani, nonostante l’uso massiccio dei Droni (cosa che fa imbestialire gli afgani e li compatta agli insorti) e sospettando, non a torto, che i loro capi, compreso il Mullah Omar, si nascondessero nelle aree tribali pakistane, al confine con l’Afghanistan, costrinse l’esercito di Islamabad a lanciare una devastante offensiva nella valle di Swat, pakistana. Dopo una settimana di bombardamenti i morti non si contano. Si possono invece contare i profughi. Sono un milione. Diventeranno due milioni nei giorni successivi. È un regalo agli integralisti. Dai campi profughi centinaia di ragazzi si dichiarano pronti a fare i kamikaze. L’offensiva nello Swat ha svegliato il fino ad allora dormiente talebanismo pakistano molto più pericoloso, per intuibili ragioni, di quello afgano. L’offensiva nella valle di Swat fu di una violenza inaudita, senza precedenti anche per i livelli di questi Paesi segnati dalla guerra. E per gli americani fu un boomerang.
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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