MICHAEL MOORE, IL CINEMA CONTRO IL CAPITALISMO AMERICANO

ATTRAVERSO I SUOI DOCU-FILM HA CRITICATO ASPRAMENTE IL LATO PIU’ CINICO ED EGOISTICO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, ACCRESCIUTO SPAVENTOSAMENTE NEGLI ULTIMI VENT’ANNI

Il Cinema al servizio dell’impegno politico e sociale. Se in Italia ciò è reso molto difficile dalle difficoltà finanziarie e dai vari ostacoli cui vanno incontro i registi anticonformisti e critici nei confronti della deriva del nostro Paese, in America invece è ancora possibile. Anche quando la critica è esplicita nei confronti del Presidente degli Stati Uniti.

Paladino di questo modo agguerrito di fare cinema è senza dubbio Michael Francis Moore, nato a Flint, il 23 aprile 1954. Regista, sceneggiatore, attore, produttore cinematografico, scrittore e autore televisivo statunitense, ha iniziato proprio nella sua Flint il suo impegno sociale a colpi di set. Attraverso i propri documentari e libri ha affrontato con spirito critico i problemi e le contraddizioni del sistema politico, economico e sociale degli Stati Uniti, conquistando un grande successo di pubblico, ma procurandosi anche una folta schiera di detrattori, che ne hanno messo in discussione idee e metodi.
Moore ha ricevuto anche dei riconoscimenti internazionali: un Oscar al miglior documentario con Bowling a Columbine (2003) e la Palma d’oro al Festival di Cannes con Fahrenheit 9/11 (2004).
Vediamo di seguito i suoi film più significativi.

ROGER & ME – Il documentario Roger & Me è il primo girato da Michael Moore nel 1989, proprio nella sua città natale Flint, nello stato americano del Michigan. Narra della crisi della General Motors e della chiusura di una fabbrica di automobili a Flint. Il Roger del titolo, infatti, è Roger B. Smith, ex amministratore delegato dell’azienda automobilistica statunitense.
Il regista mostra nel documentario l’impossibilità di avere un colloquio con Smith, ritenuto il responsabile del licenziamento di 30.000 lavoratori. Moore usa il pretesto di questa intervista impossibile per raccontare le storie degli operai, delle famiglie e della miseria nella sua città. Ovviamente il regista, ancora semi-sconosciuto, non riuscirà a parlare con Roger, ma riuscirà con efficacia a raccontare le disastrose conseguenze della chiusura dello stabilimento sulla sua città e la sua gente.
Con questo disarmante documentario, pieno di satira, Moore racconta un’America nascosta ai più, quella in cui i presidenti delle grandi corporation, gli stessi che appaiono in televisione sempre sorridenti e affabili, non mantengono affatto le loro promesse e continuano a fare affari e ad arricchirsi noncuranti delle conseguenze delle loro azioni sui propri dipendenti. E’ dunque il primo duro colpo all’America capitalista e fintamente felice e spendacciona, all’indomani della definitiva vittoria contro il Comunismo appena crollato. Moore fa capire quanto dietro quel sistema ipocrita e dedito al consumismo, si celino molte storie tristi e di difficoltà economiche.

BOWLING A COLUMBINE – Bowling a Columbine (Bowling for Columbine) è un film documentario del 2002, vincitore come detto del premio Oscar 2003 come miglior documentario. Il film è dedicato al tema dell’uso delle armi in America, facendo riferimento alle stragi nelle scuole americane, in particolare al massacro della Columbine High School, vicino a Denver e Littleton, nel Colorado, nella quale due ragazzi armati di fucile entrarono nella loro scuola dove uccisero 12 studenti e un insegnante per poi suicidarsi.
La realizzazione del documentario ha portato l’autore in giro per gli Stati Uniti, fino alla finale intervista all’ex-attore Charlton Heston, presidente della National Rifle Association (letteralmente Associazione Nazionale dei Fucili in inglese).
Spostatosi in Canada per approfondire il tema dell’uso delle armi, Moore giunge alla conclusione che non è l’arma in sé a creare il crimine, ma la paura del crimine stesso che negli Stati Uniti, attraverso i suoi mezzi d’informazione e l’uso politico delle differenze sociali, porta chiunque a diffidare del prossimo, trascinando questi contrasti a forme di difesa personale eccessiva.

FAHRENHEIT 9/11 – Fahrenheit 9/11 è un film-documentario del 2004. A causa delle critiche espresse contro l’amministrazione del presidente statunitense George W. Bush il film suscitò molte polemiche e opinioni contrastanti alla sua uscita. Può essere considerato il più coraggioso e duro del regista.
Il titolo del film si rifà a quello del romanzo di Ray Bradbury, Fahrenheit 451. Il film verte sui legami segreti tra la famiglia del presidente degli Stati Uniti George W. Bush e la famiglia Bin Laden, ponendo l’accento su quelle che, a detta del film, sono state strumentalizzazioni politiche degli attentati dell’11 settembre 2001, con le seguenti campagne militari americane in Afghanistan ed Iraq. In merito ai legami fra le famiglie Bush e Bin Laden, il film cita una serie di fonti le quali evidenziano che la famiglie Bush e Bin Laden erano entrambe investitori del Gruppo Carlyle. Dopo gli attentati dell’11 settembre, la famiglia Bin Laden fu costretta dalla direzione del Gruppo a liquidare le proprie quote. Bush Senior fu Senior Advisor nel Carlyle Asia Board per due anni, e la famiglia Bin Laden nominò nel 1976 James Bath, amico dei Bush, amministratore degli investimenti della famiglia in Texas. La mattina del’11 settembre George Bush Sr. e Shafiq bin Laden erano fra i presenti alla conferenza annuale degli investitori del Gruppo Carlyle, al Ritz-Carlton hotel in Washington, DC. Fra il 14 e il 24 settembre 2001, 6 voli charter riportano in patria 142 persone di nazionalità saudita, dei quali 24 erano membri della famiglia Bin Laden, altri della casa regnante Saudi. Il 14 settembre, tre sauditi rientrarono in patria con un volo dal Tampa International Airport a Lexington, Ky, con successivo cambio per l’Arabia Saudita. Uno di questi voli, il 20 settembre, rimpatriò 26 persone, la maggior parte delle quali appartenenti alla famiglia Bin Laden.
Il film ha rischiato fino all’ultimo di non essere proiettato negli Stati Uniti, in quanto la Walt Disney Company, produttrice del film, si è pentita e ne ha bloccato la distribuzione, subendo numerose e pesanti critiche, soprattutto a fronte della vittoria della Palma d’oro al Festival di Cannes 2004. Successivamente il film, che nel frattempo ha trovato distributori in tutto il mondo (gli USA sono stati il penultimo paese, prima solo dell’Albania), è stato acquistato dalla Miramax per sei milioni di dollari. Dopo l’iniziativa della casa di Harvey e Robert Weinstein, il film è stato distribuito negli USA da un gruppo di case di distribuzione, battezzato da Moore (con un chiaro riferimento a Bush e l’Iraq) la “coalizione dei volenterosi”: si tratta, oltre alla Miramax, della Lions Gate e dell’IFC Films.
Nonostante tutto, questo docufilm è diventato un successo strepitoso al botteghino battendo ogni record nel 2004.

SICKO – Questo film del 2006 si concentra sui problemi della sanità statunitense, basata su un sistema che riserva le cure migliori alle classi più abbienti, e denuncia la sostanziale inesistenza di strutture sanitarie riservate agli indigenti, teoricamente previste in quasi tutti gli stati federali.
Il documentario ha subìto le aspre critiche dell’AMA (American Medical Association), una delle associazioni di medici statunitensi, ampiamente citata da Moore, per le azioni che negli anni cinquanta tentarono di collegare una eventuale estensione dei diritti sanitari ad un indirizzamento in senso socialista del paese.
Michael Moore in questo documentario analizza con un occhio critico il Sistema di assistenza sanitaria degli Stati Uniti d’America, introdotto nel 1971 per iniziativa dell’allora Presidente Richard Nixon. Sebbene ufficialmente questo sistema fosse stato introdotto con la nobile intenzione di garantire le migliori cure sanitarie del mondo oggi è di fatto in mano alle grandi e potenti lobby delle assicurazioni e del farmaco, divenute ricchissime grazie a scelte, talvolta attuate senza il minimo senso di umanità, negando il più possibile le cure mediche spesso vitali ai clienti o attuando minimi cavilli contrattuali. Gli enormi profitti furono spesso utilizzati per finanziare membri del Congresso e il presidente Bush: in una scena appaiono diversi membri del congresso seduti in fila sopra le cui teste appaiono targhette con l’importo del finanziamento ricevuto dalle case farmaceutiche per avere una legislazione favorevole. Grazie all’azione corruttiva, le assicurazione mediche e le case farmaceutiche hanno guadagnato, nel 2003, il totale controllo del mercato sanitario americano.
Nel corso del film verranno testimoniate alcune storie di persone coinvolte a vario titolo in questo sistema, dalle persone prive di copertura sanitaria costrette a lavorare ben oltre l’età pensionabile o a rinunciare a cure talvolta vitali abbandonate letteralmente sul bordo di una strada da taxi appositamente ingaggiati dagli ospedali, alle persone che, nonostante l’assicurazione con le più importanti compagnie americane, si vedono negare il rimborso delle cure nonostante la diagnosi di malattie anche molto gravi come il cancro. Questo inumano sistema verrà confermato anche da alcuni ex addetti ai lavori, tra i quali la dottoressa Linda Peeno che ha confessato spontaneamente il metodo di totale interesse al guadagno monetario da parte delle compagnie assicuratrici.
Per confrontare i sistemi esteri, il regista si recherà dapprima in Canada e poi nel Regno Unito, dove la sua ricerca di uffici per il pagamento delle cure otterrà l’ilarità di alcune persone, poi in Francia, classificata al primo posto seguita dall’Italia per il miglior sistema sanitario.
Tornato in patria, Moore racconterà le storie dei soccorritori volontari dell’attentato alle Torri Gemelle che non possono curare le malattie causategli dall’assistenza che hanno volontariamente prestato e pertanto priva di appositi strumenti protettivi. Per potergli offrire un’assistenza, Moore si reca nella base navale americana della Baia di Guantanamo, dove alcuni terroristi responsabili dell’attentato ricevono gratuitamente le migliori cure mediche. Non ottenendo risposta, si recherà all’Avana, dove i volontari verranno curati gratuitamente presso un ospedale locale. E questo sarà il peggio schiaffo che potesse dare all’America.

CAPITALISM: A LOVE STORY – Film documentario del 2009 scritto, prodotto e diretto da Michael Moore, presentato in concorso alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Il lungometraggio è ispirato al recente crollo finanziario partito da Wall Street e che nel giro di pochi mesi ha investito tutto il Mondo per effetto del sistema economico globalizzato di cui facciamo parte. Come sempre fatto, anche in questa occasione Moore alterna le spiegazioni tecniche degli addetti ai lavori con i drammi degli ultimi. Nella fattispecie, quanti sono stati cacciati da casa per insolvenza verso le banche o quanti avevano sulla propria testa assicurazioni sulla vita senza nemmeno saperlo e incassare niente. Due ore di cronistoria del capitalismo, dalle origini con Reagan fino al suddetto crollo. Non mancano momenti di ironia, il più delle volte però aventi sempre un retrogusto amaro.

Insomma, Moore ne ha avuto un po’ per tutte le diaboliche sfaccettature del Capitalismo: guerre, disoccupazione, possesso di armi, brogli finanziari, sanità. Quale sarà il prossimo obiettivo del regista? Con Obama al potere si starà dedicando ad altro? Chissà, non resta che aspettare.

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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