MORTO DENNIS HOPPER, MITICO EASY RIDER DEL CINEMA AMERICANO

Si è spento sabato scorso, all’età di 74 anni dopo una logorante malattia dovuta ad un cancro alla prostata, l’attore americano Dennis Hopper.
Popolare per la sua indiscutibile bravura sul set, ma anche per il suo atteggiamento anticonformista e contro l’establishment americano, ha da sempre incarnato nel cinema ma anche nella vita privata, quella “vita spericolata” che lo ha reso un mito.
A riprova di ciò l’esordio in “Gioventù bruciata” accanto ad un altro genio ribelle, James Dean, spentosi però molto prima all’età di 24 anni, lo stesso anno dell’uscita del film, il 1955; non prima però di aver interpretato, sempre insieme a Hopper, un altro film simbolo dell’America anni ’50, “Il gigante”. Entrambi i film raccontano con maestria l’America di quei tempi, combattuta tra anti-conformismo e conservatorismo, emancipazione e bigottismo, sani valori e ipocrisia; scontri che diventeranno più evidenti ed accesi con l’arrivo degli anni ’60.
Hopper inizia così una carriera intensa, che lo porterà ad essere parte della sceneggiatura di moltissimi film, ben 92 come attore (una media spaventosa di quasi due film l’anno dal 1955, essendo l’ultimo del 2009); da regista ne ha girati 7, con alterni successi. Dopo i due film di spessore sopracitati, prenderà parte ad una serie di film di scarso livello, infatti è con “Il serpente di fuoco” (1967) di Roger Corman che si afferma definitivamente come attore. Nello stesso anno prende parte al drammatico “Nick Mano Fredda” di Stuart Rosenberg, dove il tema principale ruota attorno al desiderio di libertà e al valore delle idee rivoluzionarie; un tema che sarà una costante dei suoi film, specchio di un’America in piena controrivoluzione culturale.
Il suo animo ribelle emerge pienamente con “Easy rider” del 1969, da lui scritto, diretto e interpretato, insieme a Peter Fonda (figlio di Henry) e un esordiente Jack Nicholson. Il film diventa un vero manifesto degli hippy americani, magari anche avventurosi motociclisti, con la loro vita controcorrente e anti-conformista, tendente a sconfessare i miti, le regole, le certezze dei benpensanti e dei conservatori americani, con i loro vestiti scanzonati e la capigliatura ribelle. Un film che finisce tragicamente, forse proprio perché il regista voleva mitizzare ancor di più la vita di quei “piccoli diavoli”, e accusare la violenza del sistema conservatore americano.
Ritenta due anni dopo l’avventura da regista con “Fuga da Hollywood” ma senza riscuotere il dovuto successo.
Dopo questo film nella prima metà anni ’70 partecipa ad altri film interessanti, ma di scarsa visibilità, prima di conoscere Wim Wenders, altra personalità eccentrica, che vede in lui la perfetta commistione di abilità artistica e pazzia, e lo scrittura per “L’amico americano” (1977), altro film narrante di anime dannate; è stata per gli addetti ai lavori una delle sue migliori interpretazioni.
Nel 1979 arriva l’interpretazione del fotografo freelance a caccia di immagini dell’inquietante Colonnello Kuntz, in “Apocalypse now”, film-denuncia di Francis Ford Coppola sulla Guerra in Vietnam, esaltandone gli aspetti più disumani, tragici, deliranti e sconcertanti. Con il regista lavorerà anche qualche anno più tardi in “Rusty il selvaggio” (1983), dov’è un avvocato caduto in miseria, alcolizzato e depresso, una sorta di alter ego dello stesso Dennis Hopper, spesso alle prese con problemi legati all’abuso di alcool.
Negli anni ’80 da regista e attore interpreta una serie di ruoli di personaggi inquietanti, ma non mancano anche piccoli film comici che fanno uscire il lato più ironico di Hopper“Ehi…ci stai?” e “Non giocate con il cactus” di Altman. Negli anni ’90 con la sua bravura riesce a dare spessore a personaggi di contorno in film non certo memorabili; su tutte, l’interpretazione in “Una vita al massimo” (1993) di Tony Scott.
Negli anni 2000 ha ruoli in film di azione e horror, ma anche drammatici e commedia; è protagonista anche di due serie televisive, come “E-Ring” (2005) nei panni del colonnello Eli McNulty, e “Crash” (2008) dove interpreta Ben in lo spin-off dell’omonimo successo cinematografico di Paul Haggis.
Malgrado delle condizioni di salute decisamente precarie, non ha rinunciato lo scorso 26 marzo alla consegna della stella con il suo nome sulla “Hollywood walk of fame” con l’amico di sempre Jack Nicholson.
Dennis Hopper è morto nella sua casa di Venice in California. Ci lascia un patrimonio cinematografico inestimabile, ricco di interpretazioni memorabili, soprattutto di personaggi “ribelli” e “dannati”.

(Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Dennis_Hopperhttp://www.mymovies.it/biografia/?a=3160)

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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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