Vedi Napoli e poi muori: la città inserita tra le 11 più pericolose del Mondo, ecco perché

“Vedi Napoli e poi muori” è un detto popolare per indicare il fatto che tra le cose da fare necessariamente nella vita prima di morire, c’è quella di visitare la città partenopea. Eppure, stando a un articolo del giornale sensazionalista britannico The Sun, il significato è proprio quello letterale. Nel recarsi a Napoli, infatti, si rischierebbe seriamente la vita. Inserendola nella Top 11 delle città più pericolose del Mondo insieme a Raqqa (capitale dell’Isis in Siria), Caracas, Groszny, Mogadiscio, Manila, St. Louis, Kiev, Perth, Karachi e San Pedro Sula. Città che si trovano in piena guerra o preda delle rivolte e dell’anarchia. Ma perché anche Napoli? Ecco le motivazioni del Sun e la pronta risposta del Sindaco de Magistris.

Perché Napoli è pericolosa

napoli the sun

La Mappa affianca ad ogni città un’icona, che raffigura un problema molto pericoloso: morti ammazzati, organizzazioni criminali, rivolte, diritti negati, terrorismo e droga. Orbene, a Napoli ci sarebbero i morti ammazzati, le organizzazioni criminali e la droga. Un bel quadretto, come del resto viene da anni dipinta in film e serie Tv. Guerre tra bande, traffico di droga, pietà umane. Poco spazio alle cose belle, possibilmente non stereotipate, e alle risorse della città. Forse perché non fanno ridere o non coinvolgono come una sparatoria. Come riporta Il Corriere del Mezzogiorno, n effetti il numero di morti ammazzati a Napoli è in Italia e in Europa, in effetti, tra i più elevati. Con impennata nel 2016 quando si sono registrati 77 omicidi di cui 38 legati alla camorra, mentre i tentativi di omicidio sono saliti da 83 a 103. Da qui l’impietosa maglia nera. Va detto che il tabloid ha deciso di scegliere una sola città per area continentale. Altrimenti non si spiega l’assenza sulla «black map» di metropoli come Chicago, Detroit, Città del Messico, Rio, che contano numeri ben più importanti di Napoli alla casella omicidi.

Scrive il Sun:

«A Napoli è di casa la camorra», ormai indicata dai giornalisti internazionali col suo nome proprio e non più neapolitan mafia, come accadeva fino ad alcuni anni fa (e il boom mondiale di Gomorra c’entra qualcosa). I clan partenopei, è spiegato nell’articolo, si uniscono nel Sistema («known as ‘O Sistema, The System») e si distinguono da altri consessi mafiosi italiani per l’assenza di gerarchie, «hierarchical organisation», quindi di veri boss al vertice. Le gang, spesso baby, «crews of kids as young as 12», composte da dodicenni, compiono ogni giorno atti di microcriminalità.

Il finale non è dei più allegri, e certamente travisato:

«La città gode di una reputazione talmente brutta in Italia che la frase ‘go to Naples’ si accosta a “go to the hell’, andare all’inferno».

Il precedente dell’Economist

Tralasciando quanto hanno scritto i giornali stranieri su Napoli in passato, l’ultimo precedente britannico risale ad un anno fa. Quando The Economist parlava di una Napoli ferma al 2004. L’articolo era intitolato «Le famiglie di camorra sono particolarmente brave negli affari». Quell’inchiesta però peccava in un punto decisivo in quanto pareva confondere la realtà degli affari mafiosi in Italia con il libro e la serie tv «Gomorra». «La camorra – scrisse il settimanale – gestisce ormai la maggioranza del mercato europeo della droga come dimostra il successo del più grande mercato all’aria aperta degli stupefacenti a Secondigliano». Un dato, scusate il bisticcio, datato. Risalente al floridissimo periodo dei traffici dei Di Lauro e di Ciruzzo ‘o milionario. A causa della ricchezza derivante dal narcotraffico infatti scoppiò la faida di Scampia. Ma era il 2004. Una svista che Marcello Ravveduto, autore di diversi libri sulle mafie, commentò così: «Lo scettro del business criminale mondiale adesso è nelle mani della ‘Ndrangheta, non certo della camorra, ormai acefala, o di Cosa nostra. Diciamo che l’Economist ha forse provato a leggere il fenomeno criminale campano attraverso le pagine di Gomorra». Il bestseller di Roberto Saviano prende le mosse infatti dal periodo della faida di tredici anni fa. Che tristezza dunque: un giornale di importanza internazionale si ferma a quanto scritto in un libro o visto in una serie Tv.

La riposta di de Magistris

La risposta del Sindaco di Napoli Luigi de Magistris non si è lasciata attendere:

«Credo che sia gente che non ha mai vissuto la straordinaria emozione di vivere e passare per Napoli – dice il sindaco Luigi de Magistris replicando al Sun -, e non sanno cosa si perdono. Sono affermazioni risibili. È grave però che si continui a dare una narrazione della città antistorica e soprattutto non rispondente alla realtà che oggi stiamo vivendo. Un giudizio falso e superficiale. La città ha tanti problemi ma certo – conclude – non la si può collocare in una classifica del genere».

La bella risposta del direttore francese del Museo di Capodimonte

Sylvain Bellenger, francese, da circa due anni dirige il museo di Capodimonte a Napoli.

«Sono stato qui più volte nel corso della mia vita – dice – e in periodi diversi. Non è una città pericolosa, semmai caotica, ma di un caos dolce. Posso dire che ho vissuto a Chicago per 4 anni e la statistica da quelle parti era di 600 crimini all’anno. Altro che Napoli. Non è affatto vero che Napoli è tra le città più pericolose. È assurdo alimentare una leggenda sulla pericolosità sulla base di notizie false».

Insomma, ancora troppi stereotipi infangano Napoli. Alimentati da certi film e serie Tv che romanzano la realtà. La città ha ancora tanti problemi, ascritti nel suo DNA. Ma controbilanciati da tante cose stupende, che la rendono unica. Parafrasando un detto colombiano si può dire che a: “Napoli, l’unico rischio è di volerci restare”.

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