SONO INNOCENTE: VASCO ROSSI SI SCOPRE NONNO METAL, MA IL MEGLIO E’ GIA’ VENUTO DA PARECCHIO

IL NUOVO ALBUM DEL ROCKER DI ZOCCA, CON 15 BRANI E UNA NUOVA SQUADRA DI MUSICISTI PER UN SOUND PIU’ PESANTE
Lui è ancora qua, eh già. Sono passati 36 anni dal suo debutto discografico, dopo una giovinezza passata a fare casini e il deejay nella bassa padana, ma Vasco Rossi, 62 anni, ha ancora voglia di fare musica e concerti, oltre che pubblicare “clippini” come li chiama lui e invettive su Facebook (memorabili quelle contro Ligabue, Piero Pelù e anche il suo storico chitarrista Solieri). Martedì scorso è così approdato negli store tradizionali e virtuali il suo sedicesimo album: Sono innocente, che arriva a tre anni di distanza dalla sua ultima release discografica, Vivere o niente. Un lasso di tempo occupato dai concerti del Live Kom tour. Il Blasco si è lasciato così alle spalle i problemi di salute che un paio di anni fa avevano messo in allarme i fan, riuscendo ancora una volta a convivere con quel mal di vivere che lo accompagna forse da sempre; ma che in fondo lo ha spronato a scrivere stupende canzoni (di cui Vivere rappresenta il punto più alto). Il nuovo album consta di ben 15 brani, un azzardo per chi come lui, che fa musica da quasi quarant’anni, rischia di apparire ripetitivo. E in effetti il sentore iniziale, per i fan che come me ascoltano i nuovi lavori discografici con obiettività, si conferma: nonostante una svolta a tratti Metal, con sonorità pesanti, anche se non mancano ballate, filastrocche metaforiche e dediche romantiche, il meglio di Vasco si è fermato a Canzoni per me del 1998. Da Stupido Hotel (uscito nel 2001) in poi è iniziato un’inesorabile declino, con brani che cercano di riproporre qualcosa del glorioso passato, ma nulla più. Certo, qualche bella canzone non manca, ma di eccelso non ci si trova più niente.

Comunque, la curiosità mi ha spinto ad ascoltare anche Sono innocente. Di seguito una recensione.

INIZIO TRA AUTODIFESA E ROMANTICISMO– L’album si apre con “Sono innocente ma…”, brano con cui Vasco mette subito le cose in chiaro su qual è il messaggio del disco. Il testo è un autodifesa dalle accuse del Mondo, mentre l’arrangiamento è Metal: le chitarre di Vince Pastano sono tiratissime, la batteria di Glen Sobel indiavolata. Segue “Duro incontro”, che prosegue sulla scia della prima traccia; arrangiamento duro, tra chitarre taglienti, batteria picchiante e tastiere acide. Il testo, corrosivo ed essenziale, ricorda “Fegato spappolato”.
Il terzo brano è “Come vorrei”, attualmente in rotazione radiofonica. Una power ballad romantica, malinconica, struggente ma anche lucida allo stesso tempo. All’inizio ricorda un po’ Stupido Hotel. Parla di amore anche la successiva “Guai“, introdotta da una chitarra acustica; carina, ma nulla di esaltante. Tornano sonorità dure e un Vasco accusatore e urlante nel settimo brano, “Lo vedi”. E’ proprio il caso di dire: tanto rumore per nulla.
PARTE CENTRALE MALINCONICA – Nella sesta traccia, “Aspettami“, sonorità elettroniche e atmosfere oniriche danno fiato all’ascoltatore, spezzando il leitmotiv da rock duro del disco. Uno dei brani migliori, con un testo orecchiabile e significativo. Buono soprattutto per le radio. La settima traccia è “Dannate nuvole“, singolo lanciato a settembre, che vede un Vasco riflessivo e filosofico; il brano inizia con sonorità delicate per poi ripiombare nelle chitarre dure che ricordano vagamente “Siamo solo noi”, per poi riprendere in un sound che ricorda il liscio emiliano. Il significato del brano magari è apprezzabile nel suo esistenzialismo, ma è eccessivamente appesantito dal solito sound fuori luogo.
Il brano centrale, l’ottavo, è “Il Blues della chitarra sola”, dove troviamo la chitarra blues di Stef Burns e un coro da balera, diventando via via anch’esso sempre più rock. A tratti però sembra una canzonetta dello Zecchino d’oro, qualcosa di trito e ritrito. Un po’ meglio la nona track, “Accidenti come sei bella“, che ricorda vagamente Incredibile romantica, almeno per il suo essere una dolce dedica alla propria metà. 
E siamo al decimo brano, “Quante volte“, con cui Vasco fa un bilancio della sua vita, accettando le sue cadute e i suoi errori. Si alternano suoni acustici e digitali. Qui il Rossi riflessivo e malinconico prende il sopravvento. Una sorta di Ogni volta. Il brano migliore.
CHIUSURA STRUMENTALMENTE INUSUALE– L’undicesimo è invece “Cambia-menti”, lanciato un anno fa, per una sorta di anticipazione e regalo ai fan. Si caratterizza musicalmente per una tromba beffarda, strumento assai raro nella discografia del Komandante. E ciò è l’elemento più interessante del pezzo. Il testo è tipicamente ironico e sbeffeggiante, in pieno stile Vasco.
“Rock-star”, dodicesimo brano, è solo strumentale, con sonorità gotiche alla Black Sabbath e i virtuosismi di Vince Pastano.
Il tredicesimo brano è un’altra chicca di Vasco, lanciata a primavera: “L’uomo più semplice”. Un hard rock anni ’80, con un Vasco grintoso che ha voglia di vivere e divertirsi e di cogliere le occasioni al volo. Il penultimo brano è l’”Ape regina”, una favola piena di metafore e doppi sensi a sfondo sessuale, scandita da moderni archi e violini elettrici. Un brano spiazzante, in fondo divertente. Chiude “Marta piange ancora”, scritta dal Blasco quando aveva 15 anni e riadattata con i suoni moderni; un pezzo naif con no sense che ricordano il grande Rino Gaetano.
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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