Italia vende altre due navi militari a Egitto: tradita la famiglia Regeni ma non solo

Verità per Giulio Regeni” è lo slogan che campeggia in tante città italiane, anche su alcune sedi istituzionali come quelle dei Comuni. Riferendosi al giovane triestino di 28 anni, il cui corpo fu trovato senza vita in Egitto il 3 febbraio 2016, con evidenti segni di tortura.

Giulio Regeni fu rapito il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir. Si trovava in Egitto per studiare la difficile situazione dei sindacati egiziani per conto dell’Università Americana del Cairo. Scriveva anche articoli per il Manifesto, pubblicati postumi. Il quale però ha anche commesso 3 gaffe nei suoi confronti.

Il caso Regeni resta ancora oggi insoluto, malgrado le belle promesse delle istituzioni italiane. Ultime, quelle di Luigi Di Maio, il quale, appena investito del prestigioso incarico di Ministro degli esteri, aveva detto che la sua priorità era proprio la ricerca della verità su Giulio.

Orbene, oltre al fatto che nessun passo avanti è stato fatto nell’ultimo anno, arriva anche una ulteriore beffa per la famiglia Regeni. Già dichiaratasi “tradita”.

E’ notizia di questi giorni infatti che 2 navi della Marina militare italiana, la “Schergat” e la “Bianchi”, sono state cedute al Cairo. Come parte di una commessa complessiva di 9 miliardi.

Ma così facendo, oltre a tradire la famiglia di Giulio Regeni e il ragazzo stesso, il cui corpo martoriato grida ancora vendetta dopo oltre 4 anni, il nostro Paese sta armando un criminale.

Le due navi italiane vendute all’Egitto

conte al-sisi

Come riferisce Il Fatto quotidiano, le due fregate Frimm sono le ultile due cedute all’Egitto su dieci ordinate. Si tratta della “Spartaco Schergat” e della “Emilio Bianchi”, per un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro.

Nell’operazione ci sarebbero poi altre 4 fregate, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 di Leonardo, più un satellite da osservazione. Il valore complessivo dell’operazione si aggira tra i 9 e gli 11 miliardi di euro.

L’Egitto resta dunque il principale destinatario dell’export di armi italiano. Lo confermano i dati relativi al 2019: già da un anno il Cairo è il miglior cliente dell’industria bellica italiana con 871 milioni di euro.

Segue il Turkmenistan, altro regime non democratico, con un giro di affari da 446 milioni solo lo scorso anno. Mentre in totale le consegne di armi all’estero fatturate nel 2019 arrivano a 2,9 miliardi di euro.

Addirittura si parla già di ‘contratto del secolo’, del valore complessivo di 9 miliardi di dollari, il maggiore mai rilasciato dall’Italia dal dopoguerra.

Certo, dinanzi a certe cifre la moralità passa in secondo piano. Soprattutto in un periodo di difficoltà economiche come quelle in cui viviamo. Musica per le orecchie e le casse del gruppo Fincantieri.

Italia fa affari col dittatore al-Sisi

navi fincantieri egitto

Perché per gli occidentali le dittature sono brutte e cattive, ma poi portano bei soldini.

In Egitto, dopo la rimozione di Hosni Mubarak, per mezzo della Primavera araba esplosa quasi 10 anni fa, al potere ci è andato Abdel Fattah al-Sisi. E non è cambiato praticamente nulla. Al-Sisi promuove sistematiche violazioni dei diritti umani, incarcerazioni arbitrarie, repressione del dissenso e persecuzione degli oppositori politici.

Ricordiamo poi che l’Egitto continua a trattenere in carcere, ormai da quasi 4 mesi e senza un regolare processo, lo studente egiziano dell’università di Bologna, Patrick George Zaki. Il cui caso è già stato paragonato a quello di Regeni.

L’esecutivo al-Sisi è anche tra i principali sostenitori del generale Khalifa Haftar che, in Libia, da anni compie attacchi contro il Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite, violando sistematicamente la tregua armata.

Infine, va tenuto anche conto che la legge 185 del 1990 vieta le esportazioni di armamenti verso i Paesi i cui governi sono responsabili di accertate “violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”.

Il Movimento cinque stelle ha dunque tradito i suoi elettori in un altro punto. L’Italia conta sul Mediterraneo meno di zero. Presa in giro dall’Egitto, sottomessa militarmente alla Turchia, usata come una discarica dai Paesi nordafricani.

Potevamo essere la guida del Mediterraneo. Ed invece, complice una politica estera ridicola ed umiliante degli ultimi 8 anni, ci troviamo coda dell’Europa…e pure del Mediterraneo stesso.

Caso Regeni cos’è

caso regeni

Come riporta Wikipedia, secondo quanto è emerso in questi anni non senza difficoltà, Giulio Regeni venne rapito il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir (la succitata Primavera araba).

Il suo corpo venne ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo, nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. Più precisamente, in un fosso lungo l’autostrada per Alessandria. Mostrava evidenti segni di tortura.

Dalle torture inflitte tipicamente durante gli interrogatori e per le inchieste che Regeni conduceva, i sospetti sono finiti subito sui Servizi Segreti egiziani.

Giulio Regeni chi era

giulio regeni chi era

Giulio Regeni è nato a Trieste il 15 gennaio 1988. Ancora minorenne si trasferì per studiare allo Armand Hammer United World College of the American West (Nuovo Messico – Stati Uniti d’America) e poi nel Regno Unito. Vinse due volte il premio “Europa e giovani” (2012 e 2013), al concorso internazionale organizzato dall’Istituto regionale studi europei, per le sue ricerche e gli approfondimenti sul Medio Oriente.

Dopo aver lavorato presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale e aver svolto per un anno ricerche per conto della società privata di analisi politiche Oxford Analytica, stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’università di Cambridge.

In Egitto si trovava per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani per conto dell’Università Americana del Cairo. In alcuni articoli, scritti anche con lo pseudonimo di Antonio Drius e pubblicati dall’agenzia di stampa Nena e, postumo, da Il manifesto, ha descritto la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011.

Il corpo presentava segni evidentissimi di sottoposizione a tortura: contusioni e abrasioni in tutto il corpo, come quelle tipicamente causate da un grave pestaggio, lividi estesi compatibili con lesioni da calci, pugni ed aggressione con un bastone. Si contarono più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti.

Si riscontrarono coltellate multiple sul corpo, comprese le piante dei piedi, probabilmente inferte con un rompighiaccio o uno strumento simile ad un punteruolo. Vi erano inoltre numerosi tagli, su tutto il corpo, causati da uno strumento tagliente simile ad un rasoio.

Si sono altresì riscontrate estese bruciature di sigarette su tutto il corpo, nonché una bruciatura più grande tra le scapole e incisioni somiglianti a vere e proprie lettere. L’esame autoptico rivelava una emorragia cerebrale e una vertebra cervicale fratturata a seguito di un violento colpo al collo che sarebbe la causa della morte.

Caso Zaki cos’è

zaki chi è

Ma c’è un altro caso simile a quello di Giulio Regeni. E’ quello di Patrick George Zaki, 27 anni, attivista e studente dell’Università di Bologna.

Come riporta Amnesty International, la mattina del 7 febbraio, in base a quanto riferito dai suoi avvocati, agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale (NSA) lo hanno arrestato e tenuto bendato e ammanettato per 17 ore durante il suo interrogatorio all’aeroporto.

I pubblici ministeri di Mansoura hanno ordinato la detenzione preventiva di Patrick George Zaki in attesa di indagini su accuse tra cui “diffusione di notizie false”, “incitamento alla protesta” e “istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”.

Il 5 marzo, Patrick George Zaki è stato trasferito nella prigione di Tora, al Cairo. Nello stesso giorno, la Commissione Diritti Umani del Senato ha ascoltato l’ambasciatore italiano al Cairo che ha garantito il massimo impegno sul caso.

Complice anche l’interruzione delle udienze causa Coronavirus, Zaki attende ancora una udienza. Ammesso che sia ancora vivo…

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