Tolta la scorta ad Antonio Ingroia, il silenzio vergognoso dei Social rispetto a Saviano

Dopo il teatrino con Luigi de Magistris, lo scrittore, giornalista e tuttologo Roberto Saviano ne ha aperto un altro con il Ministro degli interni Matteo Salvini. Due soggetti, questi ultimi, vittime dei propri rispettivi personaggi. Uno, invitato in salotti radical chic televisivi a pontificare su più svariati temi. Forte del successo del primo libro, Gomorra, che fece conoscere il tema Camorra in quasi 200 Paesi.

L’altro, occupante un dicastero delicatissimo che richiede lavoro e silenzio, ed invece ogni giorno si dedica ad una costante campagna elettorale. Fino a parlare pure di vaccini, invadendo il Ministero della salute assegnato ad una Pentastellata: Giulia Grillo.

Saviano e Salvini si accusano reciprocamente, sfociando nel ridicolo. Con Salvini che ha pure avanzato l’ipotesi di rivedere la necessità di dare una scorta al giornalista anti-Camorra. Sebbene lui, come vedremo in avanti, non abbia questo potere. E dovrebbe saperlo, visto che le cose sono cambiate proprio grazie al governo di centrodestra di cui la sua Lega faceva parte.

Ovviamente, i Social hanno levato un coro di indignazione in favore di Saviano e contro Salvini. Peccato però che lo stesso non sia accaduto per Antonio Ingroia, ex Magistrato anti-Mafia. Nel caso di Ingroia, la scorta è stata realmente tolta ma nessuno si è ribellato. Una scelta peraltro molto discutibile. Ma andiamo per ordine.

Chi è Antonio Ingroia

antonio ingroia

Come riporta Il fatto quotidiano, per il suo recente attivismo politico, di Antonio Ingroia si sono un po’ dimenticati i meriti da magistrato. Infatti, Ingroia nel 2013 scese in campo col movimento Rivoluzione civile, che raccoglieva alcune sigle dei partitini della sinistra radicale, più Verdi ed Italia dei valori. Il movimento prese poco più del 3%, rubando solo voti a Sel, che di fatto pure non entrò in Parlamento. Affossando anche partiti con una storia alle spalle come Verdi ed Idv, di fatto suicidatisi con questa scelta.

Ingroia ci ha provato pure di recente, sia a livello nazionale che siciliano, ma gli è andata ancora peggio.

Ma risultati politici nefasti a parte, il magistrato Nino Di Matteo pesa le parole: “La mafia e i potenti che colludono con la mafia non dimenticano”. Eppure – annuncia in una manifestazione pubblica a Milano – lo Stato ha deciso di togliere la scorta ad Antonio Ingroia. Ora avvocato, già giovane collaboratore di Paolo Borsellino, Ingroia è stato il pm palermitano che ha avviato le indagini sulla trattativa tra Stato e mafia, poi portate a processo da Di Matteo, il quale il 20 aprile 2018 ha ottenuto la condanna in primo grado di uomini delle istituzioni come Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, di boss di Cosa nostra come Leoluca Bagarella e Antonino Cinà e del “mediatore” Marcello Dell’Utri.

Possono passare gli anni, ma Cosa Nostra non dimentica”, gli fa eco Francesco Del Bene, con lui pm in quel processo, “la revoca della protezione a Ingroia fa orrore”. E il sociologo Nando dalla Chiesa, sul palco della Camera del Lavoro milanese insieme a Di Matteo e Del Bene, aggiunge: “Sembra che sotto la decisione burocratica di revocare la scorta a Ingroia ci sia una rappresaglia nei confronti di un magistrato che ha dato fastidio”.

Ci sono anni di indagini a Palermo su Cosa nostra, che Cosa nostra non dimentica. E ci sono fatti più recenti. Totò Riina, intercettato in carcere prima della sua morte, ha definito Ingroia “il re dei cornuti”, mentre raccontava al suo interlocutore la condanna a morte decretata per Di Matteo. Un collaboratore di giustizia, Marco Marino, ha riferito al procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, impegnato nel processo che potrebbe essere chiamato “Trattativa 2”, sulla partecipazione delle cosche calabresi alla strategia stragista, che Cosa nostra e la ’ndrangheta avevano insieme condannato a morte Ingroia con il proposito di farlo saltare in aria con venti chili di esplosivo. Lattentato non c’è stato, ma i mafiosi, si sa, difficilmente revocano le condanne a morte. Un altro “pentito”, Carmelo D’Amico, ha riferito che nel 2015 anche i servizi segreti ce l’avevano con Ingroia e Di Matteo.

C’è il passato di magistrato a mettere in pericolo Ingroia, ma anche il presente di avvocato di parte civile e difensore di collaboratori di giustizia in processi di mafia in corso. Come quello per l’uccisione di due carabinieri, Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi nel 1994. Ai suoi numeri arrivano di tanto in tanto misteriose telefonate mute. Ancor più inquietante una telefonata parlante, invece, fatta allo studio di Ingroia da una delle figlie di Totò Riina che chiedeva con insistenza di parlare personalmente con l’ex magistrato.

Perchè è stata tolta la scorta ad Antonio Ingroia

ingroia borsellino

Un paio di settimane dopo la sentenza sulla trattativa, agli inizi di maggio, a Ingroia arriva una lettera del prefetto di Palermo. Con linguaggio burocratico gli comunica che, d’intesa con il prefetto di Roma, l’Ucis, l’ufficio centrale interforze per la sicurezza personale, ha valutato che non esiste più per lui “una concreta e attuale esposizione a pericoli o minacce”, dunque gli viene revocata la protezione.

L’ex magistrato ha la scorta dal 1991, quando lavorava a fianco di Borsellino, dunque da 27 anni. Nel tempo è più volte cambiata l’intensità della protezione, passando dal secondo al quarto livello di rischio. Negli ultimi anni si era ridotta a soli due uomini che lo scortavano però in tutti i suoi spostamenti.

Un paio di giorni dopo la lettera del prefetto di Palermo, come annunciato, la scorta scompare. Il 16 maggio Ingroia scrive all’allora ministro dell’Interno del governo di Paolo Gentiloni, Marco Minniti, e al capo della Polizia, Franco Gabrielli.

inistro uscente Minniti passa la palla al capo della polizia e al nuovo governo. A questo punto Ingroia manda una lettera, il 4 giugno, al nuovo ministro dell’Interno Matteo Salvini. Una ulteriore, datata 21 giugno, la invia a Salvini e al suo sottosegretario Carlo Sibilia, del Movimento 5 stelle. Chiede di essere ricevuto per spiegare di persona. Nessuna risposta. Una concessione però gli viene fatta, gli viene assegnata una “protezione di vigilanza dinamica a orari convenuti”: se comunica per tempo via email quando esce di casa, per quell’ora arriva un’auto della polizia che si piazza sotto casa. Una protezione ritenuta dagli esperti del tutto inefficace, in presenza di pericoli seri.

Ci sono personaggi della politica che restano sotto scorta”, ricorda Nino Di Matteo, “e alcuni da anni non hanno più alcun ruolo pubblico. Ingroia invece è lasciato senza protezione”. I nomi non li fa, ma non sono difficili da ricostruire: Maria Elena Boschi, Massimo D’Alema, Nichi Vendola e tanti altri girano protetti. Antonio Ingroia, colui che ha dato il via alle indagini sui rapporti incestuosi tra mafia e Stato, è invece lasciato solo. La solita Italia, fatta di figli e figliastri.

Ucis, chi decide sulle scorte

saviano scorta

Pensare però che sia il Ministero degli interni a decidere a chi spetta e chi no la scorta, è però sbagliato. Come riporta LaRepubblica, in seguito alle polemiche suscitate dall’omicidio del giuslavorista Marco Biagi da parte delle Nuove Brigate Rosse, avvenuto a Bologna il 19 marzo 2002, si riaprì la discussione sulla protezione personale delle persone a rischio: al professore era stata da poco rimossa la scorta. Così il governo, allora guidato da Berlusconi, emanò un decreto legge con cui venne istituito l’Ufficio centrale interforze per la sicurezza (Ucis) presso il Viminale.

Si tratta dell’organismo che gestisce, “attraverso la raccolta e l’analisi coordinata delle informazioni relative alle situazioni personali di rischio”, l’assegnazione delle scorte per la tutela di soggetti istituzionali oppure minacciati dal terrorismo e/o dalla criminalità organizzata.

Suddiviso in 4 uffici, l’Ucis è guidato da un prefetto o da un dirigente generale della Pubblica sicurezza: ufficio analisi (raccoglie, valuta e analizza le informazioni riguardanti le persone a rischio, su segnalazione delle questure e delle prefetture); ufficio servizi di protezione e vigilanza (pianifica la protezione della persona interessata); ufficio formazione e aggiornamento (per la formazione del personale) e ufficio per l’efficienza dei mezzi e degli strumenti speciali (si occupa della verifica dei mezzi usati).

Il prefetto segnala all’Ucis le personalità che necessitano di scorta, allegando le analisi fatte sulla base delle indagini che hanno portato a questa conclusione. L’Ucis esamina quindi la richiesta e dispone – se lo ritiene necessario – l’istituzione della scorta, stabilendo modalità e risorse da impiegare. Ed è sempre l’Ucis a valutare l’eventuale revoca. La scorta viene assegnata solo quando esiste un rischio concreto: per la revoca bisogna invece stabilire che questo pericolo sia cessato. In entrambi i casi la decisione finale spetta alla Commissione centrale consultiva che è composta dal direttore dell’Ucis e dai rappresentanti delle forze di polizia, di Aise e Asi.

Esistono diversi livelli di protezione, in base all’intensità del rischio e delle minacce. Il più blando è la vigilanza, che può essere dinamica (un’auto della polizia passerà più volte al giorno nelle vicinanze del posto di lavoro o dell’abitazione) oppure fissa (gli agenti resteranno in presidio). Per quanto riguarda la scorta, dipende dal livello di allerta: il primo – quello massimo – prevede l’assegnazione di tre auto blindate con tre agenti per ogni auto. Il secondo livello prevede due auto blindate con tre agenti ciascuna. Il terzo livello di allerta prevede un’auto blindata con due agenti a disposizione. Il quarto livello assegna un’auto non blindata e uno o due agenti di scorta.

Nel 2012 è stato calcolato che le misure di protezione e vigilanza costano allo Stato 250 milioni di euro all’anno. Tanto quanto si spende per 2.108 agenti, alla guida di 484 auto blindate e 190 non blindate, che scortano 584 personalità ritenute a rischio. Un numero che però, a causa degli interventi di spending review dei governi di centrosinistra, si sarebbe assottigliato: gli scortati sarebbero infatti più che dimezzati, scendendo all’incirca a 200 soggetti.

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