Corbyn e Sanders si ritirano: la Old left perde le sue ultime speranze

Cosa hanno in comune Bernie Sanders e Jeremy Corbyn? A parte il fatto di essere nati entrambi negli anni ‘40 del Secolo scorso (seppur ai due estremi del decennio, l’uno il ‘41 e l’altro il ‘49), soprattutto il fatto di essersi trovati contemporaneamente ad essere in corsa per la guida di due grandi Paesi. Uniti dalla lingua e dalla storia: gli Usa e la Gran Bretagna.

Del resto, se noi italiani abbiamo scoperto l’America, è stata la Gran Bretagna “a crearla” (almeno la parte nordica, quella centro-meridionale è stata opera di Spagna e Portogallo).

Hanno condiviso la spartizione del primato economico sul Mondo: la Gran Bretagna nel corso del 1800, gli Usa tra la fine degli anni ‘80 del ‘900 e la prima metà degli anni 2000. Quando poi sono stati superati dalla Cina.

Orbene, negli ultimi tempi si era riaperta la possibilità che entrambi questi Paesi potessero essere guidati da quella che è definibile la Old left. Quell’idea di sinistra in voga nel secolo scorso, che ancora aveva un interesse verso operai e meno abbienti.

Nata con l’arrivo della Rivoluzione industriale (quando nacquero i primi sindacati e partiti di sinistra), cresciuta nella seconda metà del ‘900 e morta alla fine dello stesso secolo con la caduta del muro di Berlino.

Dopodiché, anche la sinistra si è lasciata persuadere dal liberalismo, con personaggi come Clinton e Blair (guarda caso, sempre rispettivamente a capo di Usa e Gran Bretagna) ad incarnare questa nuova forma mentis politica. Emulati in modo imbarazzante in Italia dai vari D’Alema, Veltroni e Rutelli.

Qualche nostalgico della Old left oltreoceano e non, ripose le proprie speranze in Barack Obama, forse soprattutto per ragioni cromatiche relative alla cute (primo uomo di colore a guidare una superpotenza ancora profondamente razzista).

Ma arrivarono ben presto le solite decisioni: bombardamento in Siria, trivellazioni nei ghiacciai, balle diplomatiche (tipo l’uccisione di Bin Laden), spionaggio nei confronti degli altri leader mondiali e così via. Coperti solo dalla foglia di fico della parziale riforma sanitaria e dalla soppressione dell’embargo ai danni di Cuba.

Ed ora, quelle speranze erano state riposte in Bernie Sanders e Jeremy Corbyn. Ma sono durate [sta_anchor id=”corbyn”]poco[/sta_anchor].

Jeremy Corbyn seppellito dall’isolazionismo britannico

Jeremy Corbyn

Il primo, alla guida dei Labour britannici, ha inanellato una serie di sconfitte a livello politico ed amministrativo. Con gli elettori che hanno di fatto ribadito più riprese la loro convinzione sulla Brexit e la loro fiducia in Boris Johnson.

Fino ad essere sostituito dal più moderato Keir Starmer, socialista venato di “moderatismo“. Quello che piace all’establishment e alla intellighenzia di sinistra insomma. Molto presente ormai da anni anche nel Labour Party britannico, a partire come detto dagli anni ‘90, quando le redini del partito furono prese dal succitato Tony Blair.

Bernie Sanders si arrende di nuovo all’establishment democratico

Bernie Sanders

L’altro, Bernie Sanders, che aveva già sfiorato la candidatura per i democratici nel 2016 contro Donald Trump, dopo le prime incoraggianti vittorie alle primarie in corso ora, ha iniziato ad incassare importanti sconfitte. In particolare, l’11 marzo, in quello che viene definito “il super mini tuesday” (si è votato in sei stati: Idaho, Michigan, Missouri, Mississippi, North Dakota e Washington State).

Ha dunque ceduto la mano al suo principale rivale: Joe Biden. Anche egli più in linea con l’ideologia dominante del momento. Biden è in continuità coi Clinton e con Obama. E quindi, con quella ipocrisia e quel perbenismo interessato che da sempre caratterizza il Partito democratico americano.

Un Biden che comunque non è certo molto più giovane di Sanders, visto che ha solo un anno in meno. Tanto che Trump lo ha già ribattezzato “sleepy”.

Certo, a favorire Biden si è messo pure il propagarsi del Coronavirus, che ha ridotto i riflettori sulle primarie democratiche americane.

Siamo di fronte al definitivo “Goodbye Lenin”?

Siamo di fronte al definitivo “Goodbye Lenin”? Chissà. Magari in futuro emergerà qualche altro leader che dirà qualcosa di sinistra. Parlerà di diritti dei lavoratori, di ambientalismo, di una economia “più umana”, di pace tra popoli, di rispetto delle diversità, di una maggiore valorizzazione delle donne, eccetera eccetera.

Ammesso che qualcuno sia ancora disposto ad ascoltarlo. In un Mondo crollato su se stesso, e passato dall’avidità mossa dall’acquisire posizioni all’avidità mossa dal difenderle.

Idee chiuse nel cassetto della storia, che vengono cacciate fuori solo nelle grandi crisi. Messe nero su bianco da Karl Marx quando il Capitalismo muoveva i primi passi. E poi subito riposte quando ci si illude che di esse non si abbia più bisogno.

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