Enrico Berlinguer, un altro falso mito

L’11 giugno scorso è ricorso il 35mo anniversario della morte di Enrico Berlinguer. Mai dimenticato segretario del Partito comunista italiano. Sui Social non sono mancati ovviamente gli elogi funebri, specie da parte di quanti hanno nostalgia di una certa sinistra e di certi leader. Molto probabilmente, almeno questo ci dice la storia, entrambi morti insieme a lui.

Del resto, la morte dei leader del passato hanno portato con loro anche una certa idea di politica. Ideologica, certo, ma nel rispetto dell’avversario e ragionando sempre in termini di interessi collettivi. Pensiamo ad Aldo Moro per la Dc, Giorgio Almirante dello Msi, Pietro Nenni dello Psi, Giovanni Spadolini del Pri.

Personaggi con le loro umane pecche, per carità. Che avranno commesso i propri sbagli e talvolta ragionando per propri fini e per quelli del loro partito. Ma, quanto meno, avevano preparazione culturale, onestà intellettuale, un certo stile. Tutte doti che oggi siamo perfino costretti a rimpiangere. Cosa che credevamo impossibile, dopo la fine della Prima Repubblica smantellata ove sotto i colpi di Mani pulite (Dc e Psi), ove sotto i colpi della Storia (Pci e Msi).

Ma torniamo ad Enrico Berlinguer. Le mie sorelle mi hanno raccontato che quando morì, è stata l’unica volta che hanno visto piangere mio padre nella loro vita. Io avevo quasi 3 anni e non potrei ricordare. Però immagino, anche dai vari libri di sinistra che ho a casa. Inoltre, più volte l’ho visto commosso ogni volta appariva in Tv.

Io però di sinistra non lo sono mai stato. Ed il mio pensiero liberal mi porta sempre a ragionare sulle cose, a capire se davvero le cose stanno così al di là della vulgata popolare. Un po’ come già fatto per Sandro Pertini. Ed allora, mi sembra che anche nel caso di Enrico Berlinguer, al netto dell’onestà del personaggio, siamo di fronte ad un mito a metà. Se non un falso [sta_anchor id=”berlinguer”]mito[/sta_anchor].

Enrico Berlinguer e gli anni ‘70 che snaturarono il Pci

berlinguer forattini vignetta

Enrico Berlinguer fu segretario del Pci dal 1972 al 1984. In questo lungo lasso di tempo, la sua attività si divide in 2 parti. Proprio corrispondenti ai due decenni.

Negli anni ‘70, Berlinguer iniziò il dialogo con la Dc. Sforzandosi di far uscire il Pci dall’angolino dell’opposizione dove fino a quel momento era stato relegato e renderlo partito di governo. Trovo la sponda di Moro, Presidente della Dc.

Così facendo, però, il leader sardo diede il via a quel lento processo di snaturamento socialdemocratico del Partito Comunista Italiano. E lo fece sulla pelle della classe operaia, che proprio a fine decennio precedente, aveva acquisito il grande successo dell’articolo 18. Venne, sostanzialmente, a patti con Chiesa e padroni.

I quali trovavano nella Dc il loro punto di riferimento elettorale. Ricordiamo però, che siamo nell’epoca del Vaticano travolto dallo Scandalo Ior. Gli anni ‘70 furono quelli del peggior degrado morale della Santa Sede. Patti che presero, com’è noto, l’altisonante nome di Compromesso Storico, mentre Aldo Moro parlava di Convergenze parallele.

Ma anche piegandosi alle ragioni dell’Imperialismo Usa. Ci ricordiamo tutti la dichiarazione sconcertante sull’Ombrello della Nato, alla cui ombra l’Enrico si sarebbe sentito “più sicuro”!

Arrivò pure ad avere incontri segreti con Giorgio Almirante, ma forse questo deve essere visto come un tentativo di colloquio istituzionale per arginare la deriva violenta ideologica di quegli anni.

Ancora, come ricorda in un bell’articolo Vincenzo Morvillo su Contropiano.

il Pci contribuì a reprimere e soffocare ogni critica, ogni movimento antagonista, ogni espressione creativa, ogni tentativo insurrezionale, ogni moto rivoluzionario, armato e non, nascesse alla sua sinistra.

Berlinguer cercava di declinare l’austerità con una ipocrita retorica di classe pur di far ingoiare la logica dei sacrifici, imposta dalle elites padronali e finanziarie, ai ceti popolari.

Per farla breve, il buon Enrico cercava di ammannire quella logica ai ceti subalterni, teorizzando e sostenendo che l’ Austerità fosse un dispositivo rivoluzionario, da adottare contro gli sprechi e il consumismo sfrenato.

Il modus operandi di Berlinguer portò anche i suoi frutti, visto che il Pci iniziò a piacere e trovare consensi, raggiungendo nelle politiche del 1976 il 34,3%. Appena 3,7 punti percentuali in meno rispetto alla Dc. Un risultato storico mai più raggiunto.

Soprattutto dopo il rapimento e l’uccisione da parte delle Br (almeno nella parte esecutoria, ma fu voluto soprattutto dai suoi compagni della Dc, dalla Nato e chissà se pure da pezzi del Vaticano) di Aldo Moro. Morte, che fece fallire il patto tra i due partiti e favorì l’ascesa di un nuovo leader sulla scena politica italiana: Bettino Craxi, dello Psi.

E qui comincia la seconda fare berlingueriana.

Enrico Berlinguer e gli anni ‘80 della guerra a Craxi

berlinguer comizio

A spiegare bene il cambio di strategia di Berlinguer, è sempre un articolo di Contropiano a firma di Giorgio Cremaschi.

C’è una vignetta di Forattini su La Repubblica del dicembre 1977 dove un Berlinguer infastidito prende il the, mentre dalle finestre chiuse rimbalza il clamore dei metalmeccanici che scioperano contro il governo di unità nazionale. Sette anni dopo l’immagine di Berlinguer era opposta, in una fotografia questa volta: in piazza con in mano l’Unità mentre si svolge una gigantesca manifestazione operaia contro il decreto Craxi.

In sette anni Enrico Berlinguer da statista unitario era diventato un capopopolo settario che distruggeva l’unità della sinistra e la credibilità del sindacato confederale.

Cosa era successo? Che Berlinguer aveva radicalmente cambiato linea sulla base di una onesta valutazione dell’esperienza di unità con la DC. Una serie di sconfitte amministrative pesanti, pesanti ma certo non grandi come quelle attualmente subite dai cinquestelle, portarono Berlinguer a considerare impossibile la prosecuzione dell’accordo politico con la DC, e, pur avendo contro Napolitano e gran parte della CGIL, nel 1979 il segretario del PCI ruppe con la politica di unità nazionale. E lo fece partendo da due questioni che si sarebbero rivelate strategiche fino ai giorni nostri. Il PCI disse no allo SME, l’accordo monetario che preparava l’Euro, e disse no all’installazione di nuovi missili USA, che rilanciava il ruolo aggressivo della NATO.

Poi Berlinguer andò ai cancelli della FIAT affermando che il PCI avrebbe sostenuto una eventuale occupazione della fabbrica, dichiarò l’alternativa del PCI alla DC, contestò quella che allora appariva come scarsa democrazia e burocratizzazione dei sindacati ed infine andò allo scontro frontale con Craxi. Non solo sulla questione morale, ma sulla QUESTIONE SOCIALE, anzi sulla questione operaia.

Berlinguer divenne il leader più amato dagli operai perché disse no al taglio dei salari. E disse questo suo no a Craxi, a Cisl e Uil, a tutto il mondo delle imprese comprese le cooperative, agli stessi tentennamenti della CGIL, paralizzata dalla minaccia di scissione dei socialisti.

Tutto questo oggi viene cancellato e la storia politica di Berlinguer viene ridotta ad un santino ipocrita che serve a fare prediche di buon costume ai politicanti attuali.

Vogliamo ricordare che nel congresso di Verona del PSI Berlinguer venne colpito da una marea di fischi? Fischi che con ancora più rabbia furono restituiti a Craxi dal milione di persone presente ai funerali del segretario del PCI?

Tra Craxi e Berlinguer c’era odio, come tra De Gasperi e Togliatti. Quanta ipocrisia oggi per coprire il trasformismo imperante! Forse anche perchè lo Psi di Craxi stava erodendo molti voti al Pci.

Negli anni settanta essere berlingueriano era inteso come sinonimo di moderato e migliorista. Negli anni 80 all’opposto berlingueriano era quasi sinonimo di settario operaista. Enrico Berlinguer ha avuto la grande capacità di cambiare radicalmente politica, e per questo chi oggi usa solo una parte della sua vita per cancellarne l’altra, l’offende.

E non fu un caso che Berlinguer morì dopo 4 giorni di agonia in seguito ad un pesante Ictus che lo colpì durante un fervente comizio in quel di Padova.

Ecco perché parlo di mito a metà. Lo svuotamento della sinistra italiana iniziò proprio negli anni ‘70, quindi è fuorviante evocare quel periodo come un romantico e nostalgico ricordo di una sinistra integerrima e intransigente verso i poteri forti che non c’è più. Berlinguer ci dialogò, finì pure in parte per svuotare il Pci.

Poi, fallito per vari motivi quel tentativo, si diede alla ferrea opposizione. Ma era troppo tardi. La generazione che si era formata sotto i suoi insegnamenti negli anni ‘70 (i vari D’Alema, Bersani, Veltroni, ecc.) proseguirono su quella linea. Naufragando poi nella creazione del Partito democratico.

Insomma, siamo di fronte ad un altro falso mito? Mi sa di sì. Che solo la bassa statura di chi è venuto dopo ha reso un gigante.

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2 Risposte a “Enrico Berlinguer, un altro falso mito”

  1. Non è cosi, Enrico Berlinguer porto il PCI al 33,33%, lui tento di svecchiarlo parlando di partito progressista, avendo una visone d’Europa socialista in cui vi fossero per tutti i cittadini gli stessi diritti sociali. Permetti (visto che sono cresciuto seguendolo) in questo ai preso una cantonata.

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