GIORNALISTI CORAGGIOSI DA NON DIMENTICARE: GIANCARLO SIANI

Qualche giorno fa ho visto in DVD “Fortàpasc”, film uscito il 2008, dedicato a Giancarlo Siani, giornalista de “IlMattino” ucciso dalla camorra solo perché faceva il suo lavoro con devozione e professionalità, raccontando le malefatte della camorra nel Comune di Torre Annunziata, lavorando per la sede distaccata del giornale a Castellammare di Stabia (lui era del Vomero); dovendosi occupare dei fatti di cronaca nera, non si limitò a riportare il nome di chi veniva ucciso, ma anche tutti i vari movimenti interni ai clan, i loro intrecci (tra i Nuvoletta, all’epoca altra grande famiglia di Marano, i Gionta e i Bardellino), i tantissimi omicidi e i loro perché, le relazioni tra Camorra e istituzioni, in particolare il consiglio comunale di Torre Annunziata.

La bravura lo portò a fare carriera, tanto da essere chiamato in prova alla sede di Napoli de “ilMattino”, dove fu incaricato di occuparsi dei sindacati e delle vertenze sul lavoro. Qui Siani cominciò ad avere maggiore visibilità, continuando di fatto ad occuparsi di Camorra e le relazioni intercorrenti con le istituzioni locali, ma anche a sentirsi più solo, con l’amico-collega uscito dal tunnel dell’eroina e desideroso di fare l’avvocato anziché il giornalista, e con gli alti e bassi della sua relazione sentimentale. Ma soprattutto, si era fatto troppi nemici, non solo i camorristi, ma anche il Sindaco socialista di Torre Annunziata, Domenico Bertone.
In particolare, fu un articolo del 10 giugno 1985 a condannare a morte Siani, in quanto utilizzò la soffiata di un amico carabiniere con il quale ormai stava collaborando: accusò il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della “Nuova Famiglia”, di voler spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto pericoloso, scomodo e prepotente, per porre fine alla guerra tra famiglie. In quell’articolo Siani ebbe modo di scrivere che l’arresto del boss Valentino Gionta fu reso possibile da una “soffiata” che esponenti del clan Nuvoletta fecero ai carabinieri. Il boss fu infatti arrestato poco dopo aver lasciato la tenuta del boss Lorenzo Nuvoletta a Marano, Comune a Nord di Napoli. Secondo quanto successivamente rivelato dai collaboratori di giustizia, l’arresto di Gionta fu il prezzo che i Nuvoletta pagarono al boss Antonio Bardellino per ottenerne un patto di non belligeranza. La pubblicazione dell’articolo suscitò le ire dei fratelli Nuvoletta che, agli occhi degli altri boss partenopei, facevano la figura degli “infami”, ossia di coloro che, contrariamente al codice degli uomini d’onore della mafia, intrattenevano rapporti con le forze di polizia. Da quel momento i capo-clan Lorenzo ed Angelo Nuvoletta tennero numerosi summit per decidere in che modo eliminare Siani, nonostante la reticenza di Valentino Gionta, incarcerato. A ferragosto del 1985 la camorra decise la sentenza di Siani, che doveva essere ucciso lontano da Torre Annunziata per depistare le indagini.
In quel periodo Giancarlo stava lavorando ad un libro sui rapporti tra politica e camorra negli appalti per la ricostruzione post-terremoto, grazie a dei documenti fornitigli segretamente dal Questore torrese.
Siani fu giustiziato sotto casa al Vomero il 23 settembre 1985, e i suoi aguzzini riuscirono ad entrare in possesso anche della documentazione utile per il dossier al quale Giancarlo stava lavorando, e di cui non si è saputo più nulla. Per il suo omicidio, la seconda sezione della Corte di Assise di Napoli in data 15 aprile 1997, ha condannato all’ergastolo Angelo Nuvoletta, Valentino Gionta, Luigi Baccante detto Maurizio (mandanti), Ciro Cappuccio, Armando Del Core (esecutori), Ferdinando Cataldo (sentenza annullata perché difeso da falso avvocato e successivamente condannato a 28 anni di carcere), 28 anni a Gabriele Donnarumma. Assolti Alfredo Sperandeo (secondo la richiesta del Pm) e Gaetano Iacolare. Il 7 luglio 1999 la prima sezione della corte di Assise di Appello di Napoli, non soltanto ha confermato la sentenza di primo grado, ma ha ribaltato in condanna l’assoluzione per un altro componente del commando assassino, Gaetano Iacolare: 28 anni di carcere. La Corte di Cassazione conferma per tutti la sentenza della prima sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli, con l’eccezione della posizione di Valentino Gionta. Per il boss di Torre Annunziata si dovrà celebrare un nuovo processo di appello. Un’altra sezione della Corte di Assise di Appello si uniforma all’indirizzo della Suprema Corte, assolvendo dall’accusa di omicidio di Giancarlo Siani il boss oplontino. Il Sindaco Domenico Bertone, latitante dal luglio 1993 per le vicende legate a Tangentopoli, si costituì nel novembre dello stesso anno, e scontò 15 mesi di carcere.
Giancarlo è stato ucciso appena ventiseienne e oggi ne avrebbe quaranta; è facile immaginare quante malefatte ancora avrebbe descritto in tutti questi anni, sulla fine di qualche clan e l’inizio di qualche altro; sulla caduta di qualche politico e partito e l’ascesa di un altro. Perché l’Italia è così, cambiano gli strumenti ma la musica è la stessa; e chi tenta di raccontare lo spartito sulla quale tale musica assordante e nociva è scritta, viene fatto fuori o messo ai margini. Vedi oggi Saviano.
Che Siani sia quindi esempio di coraggio, e il suo sacrificio serva a ricordarci che solo attraverso l’informazione, la criminalità può essere stanata e sconfitta.
Segnalo il sito a lui dedicato: www.giancarlosiani.it, oltre a consigliarvi il film a lui dedicato “Fortàpasc”, che prende spunto dal modo con il quale Giancarlo aveva definito Torre Annunziata in quel periodo. Un film benfatto, anche per le canzoni scelte; su tutte, una di Vasco “Ogni volta”, con la quale il film inizia e finisce, proprio perché fu l’ultima canzone che Siani ascoltò prima di essere ucciso. In fondo in Italia, quando c’è qualcuno che infastidisce i poteri forti, finisce ogni volta così.
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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