HOLLANDE COME BUSH, CURA INTERESSI ECONOMICI CON LA SCUSA DELL’ANTI-TERRORISMO

IL PAESE AFRICANO E’ SOTTO L’ASSEDIO DEGLI ISLAMISTI E LA FRANCIA E’ STATA LA PRIMA A INTERVENIRE. MA CI SONO FORTI RESPONSABILITA’ DELLA NATO
Il Mali – Paese africano come tanti altri flagellato da diffusa povertà e malaria –  è stato già paragonato all’Afghanistan. Come lo Stato asiatico fu, ed è, diventato palcoscenico di un conflitto internazionale mosso dagli Usa all’indomani dell’11 settembre per snidare i fondamentalisti islamici, così quello del Continente nero vede l’intervento militare dei francesi per fermare l’avanzata degli jihadisti. Bush prima e Hollande poi. Talebani ieri e Tuareg oggi. La Francia ha comunque richiesto e ottenuto il beneplacito dell’Onu e un appoggio logistico da parte di altri Paesi, tra cui il nostro. Dietro quest’intervento si celano i soliti interessi economici. Il Mali è un ex colonia del Paese transalpino e si trova in piena guerra civile per colpa della NATO.

LA STORIA DEL MALI – l Mali possiede una storia ricca e relativamente conosciuta. Il suo territorio è stato sede di tre grandi imperi: l’Impero del Ghana, l’Impero del Mali e l’Impero Songhai.
I francesi iniziarono la colonizzazione del suo territorio nel 1864 e nel 1895 venne integrato nell’Africa Occidentale Francese con il nome di Sudan francese.
La Repubblica Sudanese e il Senegal proclamarono la loro indipendenza dalla Francia nel 1960 con il nome di Federazione del Mali. Appena alcuni mesi dopo, il Senegal si separò e la Repubblica Sudanese prese il nome di Mali. Nei mesi seguenti fu eletto primo presidente della nazione Modibo Keita, che in poco tempo instaurò un regime con partito unico, di orientamento marxista: Keita avviò una serie di disastrose iniziative economiche e politiche che piegarono l’economia del paese e resero fortemente impopolare il regime stesso. Nel 1968 Keita fu deposto con un sanguinoso colpo di Stato militare che portò al potere Moussa Traoré. Nel 1991 Traoré fu spodestato da un colpo di Stato, ma i militari, anziché prendere le redini del paese, decisero di formare un governo di transizione civile che portò nel 1992 alle prime elezioni democratiche, con Alpha Oumar Konare eletto presidente. Dopo la sua rielezione nel 1997, Konare continuò le riforme politiche ed economiche, lottando contro la corruzione. Alla fine del suo secondo mandato, limite costituzionale per un presidente, fu sostituito nel 2002 da Amadou Toumani Touré che venne rieletto nel 2007
Il 22 marzo 2012 un gruppo di soldati ha preso il potere in un colpo di Stato, la cui causa poggia sulle difficoltà nel fronteggiare i ribelli tuareg del nord del paese. La Costituzione democratica è stata sospesa ed è stato dichiarato il coprifuoco.
LA GUERRA CIVILE – Ne è scaturita una guerra civile che ha portato la componente tuareg – in parte orientata in senso fondamentalista, con alcune frazioni (gli Ansar Dine), che aderiscono al Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, ed ha poi assunto la denominazione di al-Qa’ida nel Maghreb islamico – a prendere il controllo del settentrione del Paese, distruggendo tra l’altro numerose reliquie della locale tradizione sufi e le tombe stesse (marabutti) di alcuni “santi” musulmani (tra cui l’antico mausoleo dedicato ad Alpha Moya e le sepolture di Sidi Mahmud, Sidi el-Mukhtar, Sidi Elmety, Mahamane Elmety e Shaykh Sidi Amar), a causa dell’accesa ostilità iconoclastica del Wahhabismo verso qualsiasi forma di culto, che non sia rivolta ad Allah, considerata una bestemmia. 
La conquista è avvenuta attraverso violenze significative, con numerosi civili uccisi, violazioni dei diritti umani denunciate dalle organizzazioni internazionali e l’imposizione della sharìa, la legge islamica, che ha portato alla distruzione di templi, tombe e moschee in tutto il nord del paese. Le diversità ideologiche tra i tuareg e i vari gruppi islamici erano poi risultate in un contrasto molto forte tra le due parti, tanto da spingere i separatisti tuareg ad annunciare oggi il proprio appoggio all’intervento militare francese.
L’INTERVENTO FRANCESE – Negli ultimi tempi i fondamentalisti islamici avevano conquistato molte zone, espandendosi sempre più verso sud: per questo motivo il governo francese, in accordo con il presidente ad interim del Mali Dioncounda Traoré, rispondendo ai propri interessi soprattutto nei confronti delle molte materie prime che sfrutta in Mali, tra cui l’uranio, ha deciso di intervenire militarmente senza aspettare le decisioni internazionali. A ottobre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva dato mandato all’Ecowas, l’organismo che riunisce 15 nazioni dell’Africa occidentale, di allestire una missione militare di pace in Mali composta da circa 3.300 uomini e della durata di un anno, per aiutare le forze regolari a cercare di recuperare le aree a nord del paese. L’Ecowas ha convocato per venerdì un vertice straordinario, ad Abidjan, in Costa d’Avorio.
L’azione della Francia, che secondo il presidente Hollande dovrebbe durare «tutto il tempo necessario», ha ricevuto nelle ultime ore il sostegno di diversi governi occidentali oltre che africani: la Gran Bretagna fornisce da oggi il suo supporto logistico, la Germania sta valutando la possibilità di un supporto medico e logistico mentre gli Stati Uniti sono pronti a fornire supporto tecnico e militare alle forze francesi; Niger, Burkina Faso e Senegal hanno annunciato l’invio di 500 uomini ciascuno. Anche la NATO ha accolto favorevolmente l’intervento militare francese, precisando di non aver però ricevuto alcuna richiesta di assistenza da parte di Parigi. Oggi su richiesta della Francia dovrebbe riunirsi il Consiglio di sicurezza dell’ONU “per discutere la situazione nel Mali”.
COME EVOLVE IL CONFLITTO – Al settimo giorno dell’offensiva francese il posizionamento dei gruppi islamici sul territorio maliano si starebbe modificando. I combattenti di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), Ansar Al Din e del Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao) hanno spiegato la ritirata dalle grandi città settentrionali – Gao, Timbuctù – come un “ripiego strategico” per “passare all’offensiva sul fronte occidentale”. Uno scenario, quello dell’avanzata dei jihadisti verso la regione meridionale sotto controllo delle truppe governative, temuto dal debole governo di Bamako.
Il presidente François Hollande, in visita alla base navale di Abu Dhabi (Emirati Arabi), ha annunciato un sostanziale potenziamento della presenza militare di Parigi nel paese africano. Aggiungendo che il dispiegamento di truppe continentali “dovrebbe prendere almeno una settimana”. Esperti militari hanno sottolineato che una parte dei 700 soldati francesi di stanza ad Abu Dhabi potrebbe essere inviata sul fronte maliano mentre una trentina di blindati e altri veicoli dell’esercito francese partiti da Abidjan, in Costa D’avorio, sono in viaggio verso Bamako. Presto i militari francesi impegnati nella cosiddetta operazione ‘Serval’ (Gattopardo) dovrebbero passare da 550 a circa 2500.
Da parte sua la Mauritania ha deciso ieri di schierare le sue truppe al confine con i Mali, per impedire che le milizie islamiche in ripiegamento dal paese possano entrare nel suo territorio. E anche l’Algeria ha confermato la chiusura dei 2000 chilometri di frontiera col Mali autorizzando il sorvolo del suo territorio da parte dell’aviazione francese, esprimendo “pieno sostegno e solidarietà al paese fratello (…) nella lotta al terrorismo internazionale e per un’uscita definitiva dalla crisi”. Dichiarazioni altisonanti che secondo gli analisti coprono in realtà una posizione assai più ambigua dell’ex colonia francese.
COSA C’E’ REALMENTE DIETRO – Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQIM) è strettamente collegata al Gruppo combattente islamico libico (LIFG, che la Francia ha supportato  durante l’invasione per procura della NATO della Libia, nel 2011, fornendo armi, addestramento, forze speciali e anche aerei per sostenerlo nel rovesciamento del governo della Libia. Già nell’agosto del 2011, Bruce Riedel, del think-tank della grande finanza Brookings Institution, ha scritto “L’Algeria sarà la prossima a cadere“, dove aveva allegramente predetto che il successo in Libia avrebbe incoraggiato gli elementi radicali in Algeria, AQIM in particolare. Tra le violenze estremiste e la prospettiva di attacchi aerei francesi, Riedel sperava di vedere la caduta del governo algerino. Ironia della sorte, Riedel osservava: “L’Algeria ha espresso particolare preoccupazione che i disordini in Libia possano portare alla creazione di un rifugio sicuro e importante santuario per al-Qaida e altri estremisti jihadisti.” E grazie alla NATO che la Libia è diventata esattamente ciò, un santuario per al-Qaida sponsorizzata dall’occidente. Con l’avanzata di AQIM nel nord del Mali e il coinvolgimento francese, ora si vedrà il conflitto sconfinare inevitabilmente in Algeria.
Va notato che Riedel è co-autore di “Quale percorso verso la Persia?”, che cospira apertamente ad armare un’altra organizzazione definita terroristica dal Dipartimento di Stato degli USA, (il numero 28 della lista), la Mujahidin-e Khalq (MEK), per causare caos in Iran e contribuire a far pressione sul governo locale, illustrando chiaramente l’impiego delle organizzazioni terroristiche, anche quelle elencati tali dal Dipartimento di Stato statunitense, nell’eseguire la politica estera degli Stati Uniti.
LE RESPONSABILITA’ DELLA NATO– L’analista geopolitico Pepe Escobar ha notato un collegamento più diretto tra LIFG e AQIM, in un articolo di Asia Times dal titolo “Come al-Qaida ha potuto dominare Tripoli”: “Soprattutto, ancora nel 2007, il numero due di al-Qaida, Zawahiri, ha annunciato ufficialmente la fusione tra LIFG e al-Qaida nel Maghreb islamico (AQIM). Quindi, a tutti gli effetti, da allora LIFG/AQIM sono la stessa cosa, e Belhaj ne era/è il suo emiro“. “Belhaj”, ovvero Abdul Hakim Belhaj, leader del LIFG in Libia, ha ottenuto sostegno, armi, finanziamenti e riconoscimento diplomatico dalla NATO per il rovesciamento di Muammar Gheddafi, e ora ha gettato la nazione in una perenne guerra intestina genocida razzista e tribale. Questo intervento ha visto anche l’epicentro della rivolta, Bengasi, staccarsi da Tripoli come semi-autonomo “emirato del terrorismo”. L’ultima campagna di Belhaj si svolge in Siria, dove è stato certamente al confine siriano-turco ad inviare armi, denaro e combattenti al cosiddetto “Esercito libero siriano”, ancora una volta sotto gli auspici della NATO.
L’intervento della NATO in Libia ha fatto risorgere l’organizzazione terroristica affiliata ad al-Qaida, LIFG. Aveva già combattuto in Iraq e in Afghanistan, e ora invia combattenti, denaro e armi, il tutto grazie alla NATO, dal Mali in occidente alla Siria in oriente. Il temuto “califfato globale” con cui i neo-con hanno spaventato i bimbi occidentali per un decennio, sta prendendo forma attraverso le macchinazioni di USA, Arabia Saudita, Israele e Qatar e non grazie all”Islam’. In realtà, i veri musulmani pagano il prezzo più alto nella lotta contro questa vera e propria “guerra contro il terrorismo finanziato dall’occidente.”
Il LIFG, che con armi, contanti e supporto diplomatico francesi, sta invadendo il nord della Siria per conto di un cambiamento di regime tentato dalla NATO, ufficialmente si è fuso con al-Qaida nel 2007, secondo il Centro di lotta al terrorismo (CTC) di West Point dell’esercito degli Stati Uniti. Secondo CTC, AQIM e LIFG non solo hanno obiettivi ideologici, ma anche strategici e tattici. Le armi che il LIFG ha ricevuto, certamente sono finite nelle mani di AQIM passando attraverso i confini porosi del deserto del Sahara e del nord del Mali. In realtà, ABC News ha riferito, nell’articolo “Il gruppo terroristico di al-Qaida: ‘riceviamo le armi libiche“, che: “un esponente di spicco di un gruppo terrorista affiliato ad al-Qaida, ha indicato che l’organizzazione può aver acquisito alcune migliaia di potenti armi scomparse nel caos della rivolta libica, alimentando i timori dei funzionari occidentali. Siamo uno dei principali beneficiari delle rivoluzioni nel mondo arabo,” ha detto alla agenzia di stampa mauritana ANI Moqtar Belmoqtar, un leader nordafricano di al-Qaida nel Maghreb islamico [AQIM]. “Per quanto riguarda il nostro beneficiare delle [libiche] armi, è una cosa naturale in questo tipo di circostanze.”
Non è un caso che mentre il conflitto libico si avvicinava alla conclusione, un altro conflitto scoppiava nel nord del Mali. Fa parte di un premeditato riordinamento geopolitico che ha avuto inizio con la caduta la Libia, da allora usata come trampolino di lancio per invadere altre nazioni prese di mira, tra cui Mali, Algeria e Siria, usando terroristi armati fino ai denti, finanziati e aiutati dalla NATO. Il coinvolgimento francese può scacciare AQIM ed i suoi affiliati dal nord del Mali, ma sono quasi sicuri di finire in Algeria, molto probabilmente in base a un piano preciso. L’Algeria è stata in grado di sventare la sovversione, durante le prime fasi della “primavera araba” ideata dagli USA nel 2011, ma sicuramente non è sfuggita all’attenzione dell’occidente, che si trova a trasformare una regione che si estende dall’Africa al pianerottolo di Pechino e di Mosca, usando,  con un impeto di schizofrenia geopolitica, i terroristi sia come come casus belli per invadere e sia come inesauribile forza mercenaria da impiegarvi.
I PROBLEMI SANITARI DEL MALI– Il sistema sanitario locale deve fronteggiare quotidianamente la malaria e la situazione generale del paese lascia aperti ampi spazi anche alla febbre gialla: inoltre molte malattie, trasmesse con il cibo e le bevande, si manifestano sotto forma di diarrea e di dissenteria: nel paese, oltre al tifo e alle epatiti sono molto diffuse le malattie da vermi intestinali, le dissenterie e la giardiasi.
Il problema principale è quindi quello dell’acqua potabile e un deciso piano per la potabilizzazione delle acque e di distribuzione delle stesse permetterebbe di per sé di risolvere almeno in parte i problemi derivanti da questa situazione. Lo stato, in fatto di sanità, spende circa 5 dollari per abitante e ciò denota anche la mancanza di medici messi a disposizioni delle popolazioni: cifra esigua ed inadeguata alle reali necessità della popolazione. Ma adeguati progetti legati non solo alla progettazione ma anche alla effettiva realizzazione di piccole unità ospedaliere lungo il Niger potrebbero risolvere parte dei problemi (produzione di energia, di acqua potabile, di acqua per irrigazione e così via).
È segnalata inoltre la presenza di filariosi, di focolai endemici di oncocercosi, della leishmaniosi cutanea e viscerale (più frequenti nelle zone aride), della tripanosomiasi (soprattutto in zone rurali), le febbri ricorrenti, il tifo da pidocchi, pulci o zecche e le febbri emorragiche di natura virale. Anche la tungosi è diffusa come la schistosomiasi (malattia dovuta a un parassita presente nelle acque dolci).
I FRANCESI VOGLIONO LA GUERRA– Il 63% dei francesi approva l’intervento dell’esercito in Mali. A favore della nuova avventura militare di Parigi si dichiara il 77% degli elettori socialisti e il 63% di quelli dell’Ump, il partito di centrodestra di Sarkozy. Ma, incredibilmente, anche il 68% di quelli della coalizione di sinistra del Front de gauche capitanata da Melenchon. E, stranamente, solo il 53% degli elettori del Fronte nazionale, di estrema destra. E’ quanto emerge da un sondaggio che mostra la trasversalità del sostegno popolare al governo di centrosinistra dell’accoppiata Francois Hollande e Jean-Marc Ayrault.
GLI INTERESSI DELL’ITALIA IN MALI– Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha affermato che l’Italia fornira’ ”concreto sostegno logistico’ alle operazioni militari in corso in Mali. Più cauto il ministro delle Difesa Di Paola, il quale ha chiarito che non si tratterà comunque di un supporto “sul terreno”, ha chiarito Di Paola. Non ci saranno, quindi, militari italiani impegnati “boots on the ground” (stivali sul terreno) cioè direttamente nelle operazioni militari.
Quali siano gli interessi italiani nel Sahel lo ha spiegato il leader libico Magarief al presidente della Repubblica Napolitano, assai proeccupato dopo l’agguato di Bengasi al console Guido De Sanctis. «L’Italia ha un interesse diretto all’intervento francese perchè l’instabilità dell’interno del Maghreb rappresenta per la Libia una grossa falla che Tripoli da sola non è in grado di arginare», ha affermato il presidente ad interim libico. Il Sud della Libia, il Fezzan, è fuori dal controllo delle labili autorità libiche, a Est la Cirenaica, dove c’è l’80% delle riserve petrolifere, invia segnali di costante disgregazione. Alla caduta del regime di Gheddafi, il ritorno delle milizie Tuareg in Mali e il saccheggio degli arsenali militari del Colonnello, è stata una delle cause che ha innescato il collasso maliano.
La guerra in Mali ci riguarda per i rapporti con la Libia ma anche con l’Algeria, il nostro secondo fornitore di gas. In Mali gli affari economici italiani sembrano trascurabili, soprattutto da quando l’Eni ha rinunciato alle concessioni petrolifere di Taoudeni in joint venture con l’algerina Sonatrach. Ma il fatto stesso che gli algerini avessero spinto l’Eni ad andare in Mali aveva un significato politico oltre che economico: Algeri coltiva ambizioni di potenza egemone nell’area e il Mali fa parte del suo cortile di casa. Gheddafi sosteneva con generose donazioni i bilanci di Bamako ma toccava agli algerini tenere d’occhio i movimenti Tuareg e i gruppi islamici cone l’Aqmi, Al Qaida nel Maghreb, e Ansar Eddine dove i capi sono vecchie conoscenze del Dis, i servizi di intelligence di Algeri.
Forse qui abbiamo la memoria corta ma l’Italia in Algeria è stata coinvolta in importanti questioni di sicurezza durante gli anni di piombo, quando lo scontro con gli islamisti provocò 10 anni di terrore con un bilancio di 200mila morti. Italiani e algerini hanno collaborato intensamente nel controllo dei gruppi islamici che si muovevano dalla sponda del Maghreb verso Nord.
Anche l’Italia è interessata al Sahel, altrimenti che ci facciamo in mezzo al Mediterraneo? Sulla sponda Sud abbiamo un interscambio di 57 miliardi di euro l’anno e siamo sempre tra i primi tre partner economici di tutti i Paesi affacciati sul Maghreb. La loro sicurezza è la nostra.
In questa operazione Serval – il felino africano che con un balzo indietro della storia compare anche nello stemma dei principi Tomasi di Lampedusa – ci sono già dei fallimenti e delle manipolazioni di stampo gattopardesco.
L’Algeria si è dimostrata incapace con gli agenti infiltrati in Mali e le sue relazioni storiche di bloccare l’avanzata prima dei Tuareg e poi degli islamisti, spingendo la Francia all’intervento per salvare Bamako.
Insomma, siamo alle solite. Cambiano i governi, ma non gli interessi economici che muovono guerre militari definite “operazioni di pace”. In Africa poi, la rimozione di tutte le dittature nei Paesi del Nord, non solo non ha portato l’instaurazione di sistemi democratici, ma ha altresì portato forte instabilità anche nei Paesi subsahariani, con la pericolosa avanzata dell’integralismo islamico.
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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