Altro che neofascismo, l’Italia sempre più invasa dal comunismo

Da alcune settimane si sta parlando di ritorno imponente del Neofascismo. Un’idea alimentata da alcune aggressioni ad immigrati, omosessuali, interventi durante comizi, assemblee o programmi televisivi. Come accaduto martedì scorso a Ballarò. La storia ci insegna che gli estremismi di destra si propongono prepotentemente quando uno Stato vive una situazione politica ed economica del tutto instabile. Accadde in Italia nel 1922, quando i governi duravano meno di un anno e Presidente del consiglio ci trovavamo ancora il vecchio Giolitti. I vecchi partiti, come quello Socialista o Popolare, erano diventati incapaci di rispondere alle sfide dell’epoca. Forse già obsoleti allora e legati all’800. O come avvenne in Germania 11 anni dopo, dove la precarietà politica era dominante ed economicamente il paese era in ginocchio a causa delle pesanti sanzioni post-Prima guerra mondiale.

Il cittadino medio e quello che si sente emarginato dalle istituzioni, guarda ai partiti di estrema destra poiché parlano alla loro pancia, gli promettono di difendere i suoi interessi contro gli immigrati che gli rubano diritti e lavoro. Pertanto, il vero pericolo non è il Neofascismo in sé, quanto le istituzioni che non fanno quello che dovrebbero. Ma a parte ciò, la vera ideologia che sta invadendo l’Italia è il Comunismo. Sebbene non se ne parli, non ce ne stiamo accorgendo. Il pericolo comunista, di fatti, è quello proveniente dalla Cina.

Il comunismo cinese si materializza coi negozi

cina robot
Dalla Cina parte la Quarta rivoluzione industriale

L’Italia sta diventando una colonia della Cina, una delle tante. Il Paese ha in realtà abbracciato entrambe le ideologie più pericolose della storia: il capitalismo e il comunismo. Se quest’ultimo è stato instaurato dopo la marcia di Mao, che liberò il Paese dalla subalternità all’Impero giapponese e fece nascere un grande Paese (dal punto di vista dimensionale) incorporando altre aree limitrofe, il primo è stato abbracciato proprio dopo la morte del “grande timoniere”. Dopo la quale, a partire dal 1976, sono iniziate una serie di riforme che hanno aperto l’economia cinese al liberismo più selvaggio ma sempre collegato ad una economia controllata dallo Stato.

La Cina ha visto crescere esponenzialmente la propria economia tanto che nel 2018 si prevede il definitivo sorpasso agli Usa. Orbene, il comunismo cinese sta invadendo le nostre città con negozi a basso costo, che stanno mandando in rovina quelli italiani. E’ la concorrenza, per carità. Ma sleale, dato che questi prodotti arrivano appunto dalla Cina, paese nel quale i diritti dei lavoratori sono calpestati e, come insegna Marx (tanto caro ai comunisti), il datore di lavoro per incrementare il proprio profitto fa leva sullo sfruttamento degli operai. Aumentando le ore di lavoro. Incrementando le ore di lavoro e quindi la produzione delle merci, si riducono i costi dei materiali, dei macchinari e della energia.

Nel raggio di un paio di Km da casa mia conto almeno 5 negozi cinesi. Certo, i negozi italiani che vendono prodotti cinesi allo stesso prezzo di quelli prodotti nel nostro Paese sono peggio del comunismo cinese.

Il comunismo cinese nell’economia italiana

mao

Ma non solo negozi o ristoranti. Il comunismo cinese ha invaso massicciamente l’economia italiana. Come riporta SkyTg24, secondo i dati del rapporto “Cina 2017. Scenari e prospettive per le imprese”, curato ogni anno dalla Fondazione Italia Cina, sono 168 i gruppi cinesi (esclusa Hong Kong) che hanno investito in Italia a fine 2016. Le partecipazioni superiori al 10% sono presenti in 398 imprese per un totale di 21.501 dipendenti e 12,27 miliardi di euro di fatturato. Nel 90% dei casi in cui una società è partecipata da capitali cinesi, questi ultimi detengono il controllo dell’impresa come succede ad esempio con Milan e Inter). L’Italia, in termini di stock di investimenti cinesi, è il terzo Paese europeo dopo Regno Unito e Germania, con 12,8 miliardi di euro.

Dal 2012 al 2016 il numero delle imprese partecipate da investitori cinesi è sempre aumentato, con un ritmo di crescita anno su anno sempre piuttosto sostenuto (fra 2015 e 2016 è stato superiore al 7%). Il vero boom, però, si trova nel fatturato delle aziende partecipate dai capitali cinesi: se nel 2012 era 3.116 milioni, l’anno scorso aveva raggiunto quota 12.27, cioé oltre il 293% in più in quattro anni. Allargando il focus dell’osservazione si nota chiaramente che l’accelerazione delle società a partecipazione cinese in Italia avviene a partire dal 2009. “La crisi economica, però, non è il principale aspetto” di questo fenomeno, spiega il coautore del rapporto e responsabile marketing della Fondazione Italia Cina, Alberto Rossi.

“Il trend visto in Italia si inserisce nella crescita degli investimenti cinesi nel mondo. Nel 2015, per la prima volta, la Cina ha investito all’estero più di quanto l’estero non abbia investito in Cina”. La crisi ha contribuito ad aumentare il numero delle imprese in vendita, ma resta il fatto, aggiunge Rossi, che gli imprenditori cinesi hanno comprato anche e soprattutto aziende italiane in buono stato.

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