LA NIKE LICENZIA I SUOI SCHIAVI IN CAMBOGIA

QUASI 300 I DIPENDENTI LICENZIATI SOLO PERCHE’ AVEVANO SCIOPERATO PER CHIEDERE UN AUMENTO DI 10 EURO. OGGI NE PERCEPISCONO 45
E’ tristemente noto, da anni, come anche la Nike, insieme a tante altre multinazionali, debba le sue fortune ai Paesi poveri, nei quali la manodopera costa quasi nulla e i profitti sono garantiti. Capita però che anche questi schiavi moderni si ribellino; e la casa americana non ha perso tempo a licenziarli. E’ successo in Cambogia.

CHIEDEVANO UN AUMENTO DI 10 EURO– 288 lavoratori tessili cambogiani che producono prodotti per la Nike Sportswear Company sono stati licenziati alcuni giorni fa per aver partecipato ad uno sciopero il cui obiettivo era ottenere salari più alti e condizioni di lavoro più dignitose. Secondo la multinazionale statunitense la decisione di licenziarli sarebbe giustificata dal fatto che la protesta degli ormai ex dipendenti avrebbe assunto forme violente. I lavoratori licenziati avevano partecipato alle proteste partite il 21 maggio insieme ad altri 5000 dipendenti dello stabilimento della Garment Manufacturing Corp di Sabrina (a ovest di Phnom Penh).
I lavoratori rivendicano un aumento di stipendio di 10 euro al mese – portando così il salario minimo a 55 euro mensili – che permetta loro di pagarsi le spese di trasporto, l’affitto dei tuguri dove vivono e le cure mediche di base.  Una richiesta che la multinazionale proprio non vuole accogliere. Nell’ultimo decennio, grazie soprattutto alle basse retribuzioni, diversi grandi marchi stranieri hanno intensificato la loro produzione in Cambogia, dove nel 2011 l’abbigliamento ha contribuito per il 75% agli oltre 5 miliardi di dollari dell’export nazionale. I salari sono da fame, la sicurezza sul lavoro inesistente.
GLI SCIOPERI DIVAMPANO – Gli incidenti sul lavoro rimangono frequenti; lo scorso 16 maggio, due operai sono morti nel crollo di un soppalco in una fabbrica che produce scarpe per la Asics. Nei primi mesi di quest’anno il numero di scioperi nel settore delle confezioni, che impiega circa 300 mila operai e operaie, è quadruplicato rispetto allo scorso anno. I 48 scioperi convocati nei primi sei mesi del 2013 già sono più di quelli convocati durante il 2011 e il 2012.
Martedì scorso, centinaia di loro hanno protestato davanti al tribunale provinciale per esigere la liberazione di otto sindacalisti arrestati lo scorso 3 giugno, quando circa 4000 lavoratori avevano fatto irruzione all’interno della fabbrica scontrandosi con i crumiri e con i funzionari rimasti al lavoro. A quel punto era intervenuta in forze la polizia che aveva disperso i lavoratori a bastonate.
Per fortuna qualcosa si muove tra i popoli più poveri e quelli in via di sviluppo. Solo quando alzeranno (di molto) le loro pretese e in Italia si abbasseranno le tasse sul lavoro dipendente, le aziende troveranno vantaggioso investire anche nel nostro Paese. Ma soprattutto, si porrà fine a sfruttamenti disumani e morti sul lavoro a danno anche di donne e bambini.

(Fonte: Contropiano)
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Pubblicato da Vito Andolini

Appassionato di geopolitica e politica nazionale.

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