Non solo Avicii, quel male oscuro che uccide i Dj

La recente morte di Tim Bergling – meglio noto come Avicii – ha lasciato i fan nello sgomento e nell’incredulità. Ma non solo loro. In fondo, Avicii aveva solo 28 anni. Era pieno di vita, sempre solare e sorridente. Almeno in pubblico.

È stato trovato morto durante una permanenza a Muscat, capitale dell’Oman, ma sulle cause del decesso non ci sono certezze. Almeno per ora. Il ritrovamento del corpo risale al pomeriggio di venerdì 20 aprile. In passato, ricorda il rotocalco Tmz, Avicii aveva avuto problemi con l’alcol, in relazione ai quali era stato ricoverato in ospedale due volte. Non è chiaro tuttavia se il decesso possa avere legami con questo tipo di problemi di salute.

Star dell’Electronic Dance Music, due MTV Music Awards, un Billboard Music Award e due nomination ai Grammy, tra i suoi brani più famosi ci sono ‘Levels‘, ‘Hey Brothers’ e ‘Wake me up‘. A fine 2016 si era ritirato dalle scene, ma prima di allora era fra i dj più pagati al mondo: secondo Forbes, ricorda sempre Tmz, nel 2014 aveva guadagnato 28 milioni di dollari. Il suo ultimo post su Instagram risale a oltre due settimane fa, quando era in California.

Nella sua carriera ha collaborato con artisti del calibro di Madonna e dei Coldplay.

Di Avicii si è occupato un documentario prodotto ed in onda su Netflix: Avicii: true stories. Il quale parla in generale del male oscuro che affligge i Dj.

Avicii e il male oscuro che affligge i Dj

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Come riporta Il Fatto quotidiano, tutto parte da un palcoscenico. Migliaia di persone che ti guardano. La musica ad altissimo volume. L’esplosione di serotonina che inizia a scorrere nel sangue. E poi il nulla. Ti ritrovi da solo, in una camera d’albergo, incapace di tornare alla normalità. È una particolare forma di depressione quella che colpisce i musicisti – soprattutto i Dj – dopo la fine di un’esibizione o un concerto. Provoca insonnia, ansia, solitudine, problemi mentali e affettivi, attacchi di panico, e può favorire la dipendenza da droghe e alcol.

L’hanno provata sulla propria pelle tanti artisti di musica elettronica, come Moby, Erick Morillo, Ben Pearce, Deadmau5. E, come fa capire il succitato documentario Avicii: true stories anche Avicii.

È inaccettabile aspettarsi che artisti e dj continuino a spingersi sempre oltre, anche quando sono loro stessi a desiderarlo”, ha dichiarato all’Independent Music support, un ente di beneficenza che aiuta i musicisti che soffrono di problemi di salute mentale. “I manager hanno sempre saputo di questo problema, ma hanno bisogno di supporto nel proteggere propri artisti dalle case discografiche, dagli agenti e dai promotori”.

Secondo uno studio condotto nel 2016 dall’associazione inglese Help musicians su 2211 partecipanti il 69 per cento ha sperimentato la depressione, mentre il 71 per cento ha avuto attacchi di panico e alti livelli di ansia.

È una malattia, quella definita “post-performance depression” dall’esperto John C. Buckner, che sembra essere particolarmente diffusa nella musica elettronica. Mentre le band di solito vanno in tour in occasione di un nuovo album, i dj sono in tournée senza sosta. Avicii, ad esempio, ha collezionato 813 spettacoli nel corso della sua carriera, esibendosi anche fino a 320 volte in un solo anno. Quasi ogni sera. Un ritmo che, a lungo termine, diventa insostenibile.

Un problema che sta affliggendo anche le attrici a luci rosse americane, alla luce dei tanti casi di suicidio degli ultimi mesi.

Avicii aveva annunciato il suo ritiro nel 2016

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L’artista svedese aveva annunciato il suo ritiro dalle scene nel 2016, a causa dello stile di vita fatto di eccessi e i problemi di salute dovuti ai ritmi e alle pressioni del suo lavoro. Pancreatite, alcolismo, insonnia, stress, fortissimi dolori fisici, che lo avevano costretto a fare largo uso di antidolorifici e oppioidi. Fino alla morte, per la quale i suoi stessi familiari hanno accusato “quella macchina da business nella quale si è trovato coinvolto“.

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