Olanda ci nega Coronabond: ma ecco quanto ci costa questo Paradiso fiscale

Amo l’Olanda, un Paese in cui sono stato dieci anni fa, visitando 3 posti: Amsterdam, Rotterdam e Kinderdijk.

La prima non ha bisogno di presentazioni, borgo caratteristico all’epoca ancora famoso soprattutto per le sue droghe leggere autorizzate e il quartiere a luci rosse. Mentre oggi è diventata una meta per coppiette e una città d’arte per lo sdoganamento commerciale del povero Van Gogh.

Rotterdam è una città soprattutto industriale, con la parte più interessante costituita dal lungo ponte Erasmusbrug (“Ponte Erasmo”) è un celebre ponte sul fiume Nieuwe Maas.

Infine Kinderdijk, località costituita da mulini a vento, molto particolare.

Amo l’Olanda anche per il grande pittore Vincent Van Gogh, mio preferito.

Il Paese fa i suoi interessi nell’Unione europea, principale alleato della capostipite Germania. Ed entrambi ci hanno negato l’emissione di Eurobond (ribattezzati visto il periodo Coronabond), preferendo quel cappio chiamato MES. Insieme a loro, anche Irlanda, Danimarca, Svezia e i tre Stati baltici. Ma i rapporti di forza sono mutevoli.

In realtà, questo paese ci costa un bel po’. Scopriamo [sta_anchor id=”olanda”]perché[/sta_anchor].

Perché Olanda ci rifiuta Coronabond

olanda coronabond

Come riporta Contropiano, nel giro di qualche giorno, il ministro Hoekstra, un cristiano-democratico nato nel 1975, passato dal settore privato (il gigante petrolifero Shell, il consiglio di amministrazione McKinsey, ecc), è diventato uno dei personaggi più esposti – e criticati – della scena che si gioca à Bruxelles, dove si negozia niente di meno che l’avvenire dell’Unione.

E’ diventato il simbolo dell’egoismo nazionale. Dopo la crisi dei debiti sovrani (2008 e dopo), poi quella dell’accoglienza dei migranti (2015 e dopo), l’UE si trova ancora una volta di fronte alla questione della solidarietà tra gli Stati-membri. Incapace, in questa fase, di fornire una risposta all’altezza della situazione.

In occasione di una riunione dei ministri il 24 marzo nella capitale belga, Hoekstra, incoronato capo fila dei “falchi”, e campione dei duri, si è interrogato ad alta voce sulla necessità di lanciare un’inchiesta, per comprendere perché certi paesi – Spagna, Italia, Portogallo – non dispongono di margini di manovra finanziari sufficienti per far fronte alle conseguenze economiche del Covid-19

Al vertice dei leader europei del 26 marzo, l’Olanda si è opposta, insieme alla Germania, l’Austria e la Finlandia, a un’emissione del debito europeo – talora soprannominato “coronabonds” – per sostenere i paesi più toccati dalla pandemia. Nove paesi, tra i quali la Francia, l’Italia e la Spagna, sperano in questo tipo di meccanismo, in nome della solidarietà.

In assenza di un primo accordo, il comunicato del 27 si è accontentato di rinviare la palla al prossimo Eurogruppo, “da qua a due settimane” (poi terminato con un nulla di fatto). Il termine eurobonds non è neanche menzionato.

Come detto, si è preferito lo strumento del MES. Che ha imbarazzato anche Conte, con tanto di fatwa in diretta Tv contro Salvini e Meloni la sera del venerdì Santo.

i margini di manovra di Mark Rutte sulla questione dei “coronabond” sembrano limitati. Innanzitutto, la democrazia parlamentare è forte nei Paesi Bassi. E dalle elezioni del 2017, Rutte dispone di una maggioranza ristretta, di soli cinque seggi (su 150 eletti alla Camera dei deputati). In caso di un nuovo piano di assistenza del MES, sarà senza dubbio questo Parlamento a dover convalidare gli esborsi.

Il governo di coalizione di Mark Rutte è fragile, composto da forze liberali (il VVD ,il partito di Rutte, e D66), ma anche da un partito cristiano-democratico, il CDA (di cui Hoekstra è membro, e che sogna di assumere l’esecutivo al posto di Rutte) e Christen Unie (protestanti ortodossi).

Rutte è tanto più riluttante a venire in aiuto dei Paesi del Sud perché teme di incoraggiare una nuova spinta da parte dell’estrema destra, in vista delle elezioni legislative del marzo 2021.

Come la Francia, i cittadini olandesi hanno votato nel 2005 contro il Trattato costituzionale europeo (TCE) – e più recentemente si sono opposti a un accordo di associazione tra l’UE e l’Ucraina, causando una mini crisi a Bruxelles.

Non è più tanto Geert Wilders, alleato di Marine Le Pen, a preoccupare Rutte, quanto Thierry Baudet e il suo Forum per la democrazia (FVD), che è favorevole all’uscita dei Paesi Bassi dall’UE (la “Nexit”).

Il partito ha accolto con favore la linea dell’esecutivo: “Sosteniamo il governo nella sua opposizione agli Eurobond, i Paesi Bassi non dovrebbero mai accettarlo!“, ha detto Derk Jan Eppink, un deputato del FVD.

Olanda quanto ci costa

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L’Olanda è a tutti gli effetti un Paradiso fiscale. E secondo alcuni esperti ci sarebbe proprio questo aspetto che porterebbe l’Olanda a non voler ratificare gli Eurobond. Il proprio sistema fiscale potrebbe risentire di un livello differente di indebitamento.

Come riporta QuiFinanza, da un confronto delle aliquote fiscali applicate dall’Italia e dall’Olanda è facile capire come mai sempre più aziende decidono di creare delle holding di diritto olandese e affidare loro il controllo del pacchetto azionario.

Partiamo, ad esempio, dall’aliquota ordinaria: nel nostro Paese la tassazione del fatturato è al 24%, mentre nei Paesi Bassi è al 20% fino a 200 mila euro di reddito imponibile e al 25% per cifre superiori. I due dati non sono poi così lontani, ma l’Olanda fa la “differenza” sul fronte della tassazione delle royalties, dei dividendi e delle plusvalenze.

In particolare, le società di diritto olandese possono godere di una esenzione totale su dividendi e plusvalenze generate da azioni di società controllate. Se una holding olandese ha in portafogli una partecipazione del 100% in un’azienda italiana e quest’ultima genera 1 miliardo di euro di dividendi, il fisco olandese non tasserà questa cifra. In Italia, invece, l’aliquota ordinaria per gli utili da dividendi è del 26% (anche se il nostro ordinamento fiscale prevede esenzioni e riduzioni).

Inoltre, l’Olanda è tra i Paesi europei più attivi sul fronte del Tax Ruling. Questo strumento consente a un Governo di sottoscrivere un accordo con un’azienda o una holding per determinare la base imponibile e altri accordi fiscali. Mediamente, i Paesi Bassi chiudono 250 accordi di Tax Ruling ogni anno, numero che li proietta al terzo posto nell’Unione Europea.

Secondo lo studio “The Missing Profits of Nations”, “I profitti perduti delle Nazioni”, realizzato dai ricercatori Thomas Tørsløv e Ludvig Wier dell’Università di Copenaghen e Gabriel Zucman dell’Università di Berkeley, l’Italia perde il 19% di entrate fiscali ogni anno a causa della “concorrenza sleale” di diversi paradisi fiscali in tutto il mondo.

Secondo il report presentato al Fondo Monetario Internazionale, ogni anno il nostro Paese “perde” 8 miliardi di dollari di tasse, frutto di oltre 25 miliardi di imponibile che viene trasferito verso paradisi fiscali tramite alcuni artifici contabili. Di questi 8 miliardi, ben 6 sono indirizzati verso Olanda, Lussemburgo e Irlanda (tutti e tre Paesi membri dell’Unione Europea).

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