Sindrome Italia, la malattia che si sta diffondendo nell’Est Europa: di cosa si tratta

Sono passati trent’anni dalla caduta del muro di Berlino. Che divise l’Europa tra Est ed Ovest. Il primo costituito da regimi comunisti, con una economia controllata dallo Stato. Il secondo filo-americano, con un regime politico democratico e un sistema economico misto, dove Stato e privato dovevano convivere. Con tutte le pecche del caso.

Dopo il crollo del muro, gli Stati Uniti divennero l’unica superpotenza mondiale egemone, essendo venuto meno il controbilanciamento dell’Urss. Il che portò gli americani a fare anche tanti errori, come le guerre mediorientali che hanno sconvolto i paesi invasi (si veda come sono ridotti ancora oggi Afghanistan, Iraq e Libia) e fomentato il terrorismo islamico.

I Paesi post-comunisti, invece, sono finiti nel caos. Preda delle multinazionali straniere che ne sfruttano le risorse energetiche e le materie prime, della corruzione dei governanti che si sono susseguiti, di una emigrazione di massa.

Basta vedere quanto sta succedendo in Romania, dove petrolio e uranio sono depredati dalle multinazionali europee e americane, c’è una corruzione politica spaventosa e una disoccupazione dilagante. Tanto che diversi sondaggi certificano che più del 60 percento dei rumeni rimpianga Ceausescu (come ho scritto qui).

Ma c’è un altro fenomeno che sta divampando in Romania, Moldavia, Ucraina ed altri paesi. La cosiddetta Sindrome Italia. Ecco di cosa si [sta_anchor id=”sindrome”]tratta[/sta_anchor].

Sindrome Italia cos’è

badanti est europa

Cos’è la Sindrome Italia? Il Corriere della sera ha condotto un interessantissimo reportage sul caso. Si tratta di uno stress diagnosticato e chiamato così per la prima volta da due psichiatri di Kiev: nel 2005, avevano osservato sintomi comuni a molte ucraine e romene e moldave, ma pure filippine o sudamericane. Tutte emigrate per anni ad assistere anziani nell’Europa ricca, lontane da figli e mariti.

«Più che una malattia, la “sindrome Italia” è un fenomeno medico-sociale», spiega Petronela Nechita, primaria psichiatra della clinica di Iasi:

«C’entrano la mancanza prolungata di sonno, il distacco dalla famiglia, l’aver delegato la maternità a nonni, mariti, vicini di casa… Abbiamo molta casistica. S’è aggravata quando le romene dal Meridione, dove lavoravano nei campi ed erano pagate meno, si sono spostate ad assistere gli anziani del Nord Italia: tra le nostre pazienti ci sono soprattutto quelle che rifiutavano i giorni di riposo e le ore libere per guadagnare meglio, distrutte da ritmi massacranti. Nessuno può curare da solo un demente o una persona non autosufficiente: 24 ore al giorno, senza mai una sosta. Col fardello mentale di quel che ci si è lasciati alle spalle. Anch’io e lei ci ammaleremmo».

Al ritorno in Romania, la terapia della «sindrome Italia» può durare anche cinque anni e di rado la passa la mutua: 240 euro ogni dodici mesi, uno stipendio medio. Un terzo delle ricoverate tenta almeno una volta il suicidio, e spesso ci riesce.

Ma è una strage silenziosa, perché di solito è la famiglia a chiedere d’aggiustare l’atto di morte: nella regione più povera dell’Ue, nella Iasi «dalle cento chiese», com’è soprannominato questo capoluogo della Moldavia romena che Bergoglio visiterà in giugno, i pope ortodossi negano funerali e cimitero a chi si toglie la vita.

E’ un sentimento quasi intraducibile, dor, che tutte le badanti conoscono: la brama di quel che s’è abbandonato, lo struggimento per ciò che non si ritroverà più, l’ansia che tanta sofferenza finisca. «Mi am un singur dor/ în linistea serii/ sa ma lasati sa mor», ho un solo dor, nel silenzio della notte lasciatemi morire… Sono versi di Mihai Eminescu, grande poeta locale: il paesello dove nacque, Botosani, oggi spopolato dall’emigrazione, rivive grazie a una sindaca che s’è organizzata ottenendo in Germania e in Spagna («ma non in Italia») contratti regolari e turni di lavoro più umani. Lo stesso a Butea: hanno asfaltato la strada, aperto asili per i bimbi abbandonati, comprato pullmini che ogni mese riportino a casa le mamme. Eccezioni, però. Perché il resto è Far West.

«Da Comarna se ne sono andati tutti, ma sono spuntati 5mila abitanti fantasma»

sorride il sindaco Costel Gradinaru: sono moldave (extracomunitarie) residenti tutte allo stesso indirizzo, la casa d’un poliziotto connivente, che in questo modo ottengono più facilmente il passaporto romeno (Ue) e dalla Moldavia possono venire in Italia senza visto.

Non solo Sindrome Italia, quel che sta succedendo ai bambini dell’est Europa

urss

Silvia Dumitrache, leader italiana dell’Associazione donne romene, tiene il conto dei bambini suicidi che non hanno retto l’abbandono: un centinaio, a tutt’oggi. Nella clinica di Iasi, nascosti al mondo, sono ricoverati trenta piccoli depressi gravi. Non si sa bene che fare, perché non ci sono neuropsichiatri infantili:

«Avevamo Alex, un bimbo di 7 anni rientrato in patria con la mamma — fa un esempio Mihaela Hurdurc, direttrice della scuola Caritas —. Lei si sentiva una fallita, Alex non s’adattava al nuovo mondo e rifiutava il cibo non italiano. Voleva suicidarsi: abbiamo dovuto ricoverarlo».

I disagi dei left behind sono diversi. Rabbia, ansia, difficoltà d’apprendimento:

«C’è chi ha la madre via, e se ne vergogna. Chi vive coi nonni, e sono troppo anziani. Chi coi vicini, troppo estranei. Chi è rimasto proprio solo. I genitori a volte se ne vanno in Italia e non delegano la potestà: spariscono per mesi, non contattano mai la scuola. Magari cambiano scheda telefonica e i figli non hanno neanche un numero da chiamare».

A una certa ora della sera, le biblioteche dei villaggi si riempiono dei ragazzini più poveri: wi-fi a disposizione, per parlare finalmente con l’Italia.

«Il periodo duro della mia vita fu quando partirono sia mamma che papà — racconta un orfano bianco, Mihael Chiriac —. Il più bello, il primo Natale insieme. Avevo 10 anni, oggi ne ho 22. E mia madre è ancora a Taranto. La sento due volte al giorno, ma non è lo stesso. La voglio qui. Ho due fratelli più piccoli: quasi non la conoscono».

Insomma, quando il comunismo è crollato, abbiamo festeggiato tutti. Chi lo ha subito e chi lo ha studiato e osservato da lontano. Tuttavia, in pochi si sono preoccupati di cosa sarebbe venuto dopo. Di come quel vuoto sarebbe stato colmato. Alla fine, si finisce sempre dalla padella alla brace. Proprio come è accaduto negli anni successivi ai paesi mediorientali che l’occidente avrebbe “liberato”.

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