Ecco come i Trattati europei hanno distrutto in Italia sanità, pensioni, uguaglianze sociali

Gli italiani vedono sempre più l’Unione europea come una istituzione lontana, perfino ingiusta, da combattere. E lo hanno dimostrato alle ultime elezioni, votando 1 elettore su 2 per i due partiti euroscettici: Movimento cinque stelle e Lega. Poi di fatto alleatisi e finiti insieme al Governo dopo 48 giorni di trattative.

In fondo, i due partiti agli antipodi su alcuni punti, convergono su molti altri. Tra cui, appunto, la volontà di cambiare l’Unione europea. Mentre, alla luce di un savoir faire istituzionale dovuto e obbligato, hanno abbandonato i propositi di uscire dall’Euro promuovendo tanto di Referendum. Parafrasando la Mannoia, si potrebbe dire: “come si cambia, per governare”.

Il governo gialloverde è quindi chiamato a battere i proverbiali pugni sul tavolo di Bruxelles, per cambiare un po’ di cose che stanno dissanguando l’Italia e i paesi dell’Europa meridionale. I quali, per la loro situazione economica e finanziaria, in primis il debito pubblico, nell’Unione europea non dovevano proprio entrarci.

Detto ciò, l’ossessione per i vincoli di bilancio ha fatto esplodere in questi anni disoccupazione e forme di lavoro precarie e sottopagate, al punto che il 30% della popolazione è a rischio povertà ed esclusione sociale.

Vediamo di seguito come i Trattati europei hanno di fatto peggiorato alcune fondamenta della nostra società: sanità, pensioni, uguaglianza sociale e scuola.

Trattati europei come hanno danneggiato Italia

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Ecco un elenco dei danni che i Trattati europei hanno arrecato a scuola, lavoro, uguaglianza sociale e sanità riportato da Contropiano.

1. TRATTATI EUROPEI VS PENSIONI:

Sono circa 5,8 milioni i pensionati che non arrivano a 1.000 euro. Secondo il rapporto annuale dell’INPS al 31/12/2016, sono 1,68 milioni quelli che percepiscono un assegno sotto i 500 euro al mese, il 10, 8% percento del totale, e 4,15 milioni quelli che si fermano a 999 euro mese, il 26,7%.

L’accanimento contro le pensioni non conosce tregua. Da oltre 20 anni si innalza l’età pensionabile e si riduce progressivamente l’assegno pensionistico, per costringere (soprattutto i giovani che andranno in pensione col contributivo puro e quindi subiranno un drastico taglio del salario) a puntare sulla previdenza integrativa ovvero immettere soldi nei mercati finanziari facendo la fortuna di banche, assicurazioni e sindacati complici che cogestiscono i fondi pensione.

E’ la privatizzazione del sistema previdenziale! E infatti quante volte abbiamo sentito autorevoli rappresentanti dell’Unione europea ripetere che bisognava mettere mani alle pensioni?

2. TRATTATI EUROPEI VS UGUAGLIANZA SOCIALE: MA SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA?

Le conseguenze delle politiche dell’Unione Europea non colpiscono tutti allo stesso modo, anzi.

Il rapporto Oxfam del 2016 evidenzia che i sette più ricchi in Italia posseggono il 30% della ricchezza dei più poveri e il 20% più ricco detiene il 69.05 % della ricchezza nazionale.

Ma è ancora più interessante sapere che nel 2007 i dieci più ricchi in Italia detenevano da soli 61 miliardi di dollari che sono diventati 92,4 nel 2016.

Quindi, al di là del ritornello sul “siamo tutti sulla stessa barca”, questi dati freddi e asettici dimostrano che la costruzione dell’Unione Europea è stato un formidabile strumento per acuire le diseguaglianze sociali e mettere in campo una gigantesca redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto.

3. TRATTATI EUROPEI VS SCUOLA:

la riforma della buona scuola completa un ciclo di smantellamento della scuola pubblica e del diritto allo studio accompagnata da crescenti finaziamenti alle scuole private.

E cosi mentre mentre uno studio dell’OCSE certifica che la spesa per l’istruzione in Italia ammonta al 4% del PIL, con l’alternanza scuola lavoro vengono regalate milioni di ore al lavoro gratuito al servizio delle imprese (dis)educando una intera generazione alla nuova frontiera dello sfruttamento: il lavoro gratuito.

4. TRATTATI EUROPEI VS SANITA’:

un recente rapporto del Censis ha rilevato che, già nell’ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente). Secondo i dati del Censis, per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni, per una risonanza magnetica 80 giorni, ma al Sud sono necessari 111 giorni.

E ancora: sono 67 i giorni di attesa per una visita cardiologica, 47 per una visita ginecologica, ma ne servono 72 al Centro.

E cosi mentre si stima che al Servizio sanitario pubblico manchino dai 20 ai 30 miliardi, la spesa sanitaria privata continua a crescere sforando quota 35 miliardi, una vera e propria “tassa” aggiuntiva che oggi pesa per circa 580 euro pro capite.

Dove sono finite le risorse di quello che era considerato il Servizio sanitario nazionale più avanzato d’Europa? Nel buco nero del risanamento dei conti pubblici per obbedire alle prescrizioni dell’Unione Europea!

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