Turchia senza freni: i prossimi Stati nel mirino per riformare l’Impero Ottomano

Da quando è alla guida della Turchia, anno 2003, Receep Erdogan ha gradualmente riportato il Paese a ciò che era prima della Prima guerra mondiale. Ossia l’islamista Impero ottomano. Al quale pose fine, oltre che quel drammatico evento bellico, anche lo sforzo di Mustafa Ataturk, padre fondatore della Repubblica turca di matrice laica.

Voler rifondare un Impero Ottomano 2.0, ovviamente, consta non solo di una instancabile riforma interna. Ma anche di una aggressiva politica estera, volta all’espansionismo, all’influenza diplomatica, alla prevaricazione. Così da rendere la Turchia il fulcro di un grande Stato islamista eurasiatico. Ciò che di recente ha fatto in Siria o ai danni nostri e della Grecia, sono solo due esempi tra i tanti.

Non che nel corso del ‘900 la Turchia fosse così al 100 per cento laica. Anzi. E’ risultato essere uno Stato in balia di forze centrifughe e centripete. Posizionata sempre a metà tra modernità e tradizione. Occidente ed oriente. Islamismo e laicismo.

Però, tutto sommato, l’equilibrio reggeva. Le spinte di natura opposta convivevano.

L’ultimo passaggio verso una Turchia di nuovo completamente islamista lo abbiamo avuto qualche giorno fa. Quando, il 10 luglio 2020, il Consiglio di Stato ha dato il via libera alla riconversione in moschea di Santa Sofia (Ayasofya). Simbolo della cristianità divenuto, dal 1453 in avanti, gioiello dell’islam e dell’impero ottomano. Poi, col disfacimento di questo, un museo laico donato all’umanità.

Dal 24 luglio, Santa Sofia tornerà Moschea a pieno regime (in tutti i sensi). Con regolari messe.

Ma Recep Tayyip Erdogan non intende certo fermarsi qui. I prossimi obiettivi sono grossi, difficili, ma non impossibili. Anche perché sta chiamando alle armi tutti i fratelli musulmani. Ecco cosa ha in mente.

Turchia punta a Israele e Arabia Saudita?

erdogan turchia

Lo scenario è tracciato chiaramente da Inside Over. Lo scopo finale dell’ex Sindaco di Istanbul è quello di riunificazione l’islam mondiale sotto la bandiera turca. Puntando anche a stati potenti come Israele ed Arabia Saudita.

Basta leggere il discorso di Erdogan riguardo la trasformazione di Santa Sofia. Che nella traduzione in inglese dato alle stampe, è molto più smussaot rispetto alla originale versione araba. A sgamare la differenza è stata Israele.

Il discorso si è incentrato sulla conquista di Gerusalemme, nonché un chiamare al risveglio dell’islam in molti altri Paesi: “Da Bukhara, in Uzbekistan, all’Andalusia, in Spagna”.

Del resto, il riferimento a Israele non è casuale. Per secoli l’impero ottomano ha avuto il controllo della Terra Santa, perciò è legittimo e coerente che nel piano di rinascita imperiale perseguito da Erdogan sia dedicato dello spazio al confronto con Israele.

E forse non è neanche un caso che le relazioni fra i due paesi hanno registrato un forte deterioramento negli anni recenti. In particolar modo a partire dall’incidente della Freedom Flotilla nel 2010. E la radicalizzazione delle piattaforme ideologiche che ne guidano le decisioni in politica estera ha senz’altro contribuito ad aumentare le possibilità di uno scontro.

La Turchia, dopo aver curato la fuga dei Fratelli Musulmani dall’Egitto, diventandone il nuovo garante e sostenitore, ha consolidato i legami con le principali realtà dell’insurgenza palestinese. Come Hamas, e nei mesi recenti ha iniziato a mostrare delle velleità di collaborazione pratica, concreta e multisettoriale con l’Iran. Anche con incontri istituzionali tra i due stati.

Incontri peraltro concretizzatisi, per esempio, con un attacco congiunto lo scorso giugno turco-iraniano in Iraq. Obiettivo alcune postazioni del Pkk.

Il 21 aprile, Daily Sabah, la voce dello stato profondo turco, ha pubblicato un editoriale che suona come un vero e proprio manifesto politico dalle venature anti-israeliane e anti-saudite.

Nello stesso si leggeva che Israele, Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti avrebbero dato vita ad una “struttura di spionaggio e terrore”. Che agirebbe in tutto il Medio oriente con la scusante della minaccia iraniana per colpire, in realtà, oppositori politici e potenze rivali, in primis la Turchia.

Turchia vuole realizzare un esercito con altri Stati islamici

impero ottomano

Ancora, l’ente militare turco Sadat, nato nel 2012 in risposta alla cacciata anti-islamista di alcuni membri dell’esercito nel 1997, come quella ai danni del suo fondatore Adnan Tanriverdi, progetta qualcosa di grande: creare un “esercito dell’islam“.

Si tratterebbe di amalgamare le forze armate dei 57 paesi membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) sotto un’unica bandiera, possibilmente turca. Per dare vita al più corposo esercito del globo: 5 milioni e 206mila soldati all’attivo. In grado di contrastare l’imperialismo occidentale nel mondo islamico.

Ma l’obiettivo principale resta sempre Israele, progettando una guerra-lampo (in turco blitzkrieg) che assicuri una rapida vittoria in una settimana. Fino alla creazione di un nuovo ordine internazionale.

Per ora, l’unico paese interessato al progetto è stato la Malesia. Mentre il Pakistan ha mostrato un certo interesse.

Anche l’Arabia Saudita interessa alla Turchia. Giacché, benché sia uno stato islamico, è il principale alleato mediorientale degli Usa.

Rischia anche la Spagna?

spagna monumenti arabi

Una Realpolitik che potrebbe trascinarsi fino all’Europa, destinazione Spagna. Quella che i musulmani definiscono ancora una provincia persa da riconquistare.

Come riporta Limes, tra il 711 e il 716 si colloca l’inizio della presenza araba nella Penisola iberica, destinata a durare quasi otto secoli. E nel 732, cent’anni dopo la morte di Maometto, l’avanzata araba in Europa occidentale viene bloccata alle porte della Francia nella battaglia di Poitiers.

Al 750 d.C., l’impero musulmano si estendeva dalla Spagna all’India e nei secoli successivi l’islam penetrò in Africa e in Asia, arrivando addirittura fino alle Filippine. La definitiva cacciata degli arabi dalla Spagna si ebbe tra il 1609 e il 1614, mediante l’espulsione dei moriscos decretata da Filippo III.

Oggi è ancora possibile apprezzare la presenza araba in Spagna grazie agli stupendi edifici che essa ha lasciato come testimonianza.

Gli attentati dell’11 marzo 2004, nei quali persero la vita 192 morti (di cui 177 nell’immediatezza degli attentati) e 2 057 feriti, si iscrivono in questo disegno di riconquista islamica della Spagna. Anche perché lo stato iberico partecipava alla guerra in Iraq e questo attentato aiutò non poco Zapatero a vincere le successive elezioni politiche.

Il quale, non a caso, tra i primi atti messi in pratica, decise proprio il ritiro delle truppe spagnole dal paese iracheno.

Chiesa Santa Sofia storia

chiesa santa sofia istanbul foto

Come riporta il giornalista brasiliano Pepe Escobar, arguto analista, sul proprio profilo Facebook, Giustiniano fu un vero imperatore romano sul trono di Bisanzio, che parlava un greco “barbaro“. Ma aveva una mente latina, pensava nella cornice del vecchio impero romano.

Eppure non lo capì: ai suoi tempi, l’impero era già un anacronismo. Approfondì la spaccatura tra Oriente e Occidente, anche se Costantinopoli era già il magazzino tra Oriente e Occidente.

All’epoca, l’Occidente era molto povero. Il commercio di Bisanzio era orientato verso Cathay e le Indie: seta, spezie, pietre preziose. La geopolitica era affascinante. La Persia controllava tutte le rotte delle carovane sulla via della seta. Anche la rotta marittima era un problema; tutti i carichi dovevano essere sbarcati sul Golfo Persico, quindi Giustiniano dovette aggirare la Persia, trovò una nuova rotta settentrionale attraverso la Crimea e il Caucaso e una nuova rotta meridionale attraverso il Mar Rosso, non il Golfo Persico.

Fu un successo relativo. Il secondo fallì, ma alla fine si interruppe quando un gruppo di monaci ortodossi gli offrì di portare dall’Asia alcune uova di bachi da seta. Presto ci furono fabbriche non solo a Costantinopoli, ma ad Antiochia, Tiro e Beirut. L’industria della seta imperiale – un monopolio statale, ovviamente – fu un successo. C’è un fantastico mosaico a Ravenna dell’anno 546 a testimonianza di ciò.

Giustiniano sembrava molto più giovane dei 64 anni che aveva, all’epoca era un prodigio di energia. Abbellì Costantinopoli senza sosta. Molti di quegli edifici svanirono e rimane la chiesa di Santa Sofia.

In un secondo post, prosegue la storia della Chiesa di Santa Sofia.

La mattina presto del 29 maggio 1453, le mura di Costantinopoli erano disseminate di morti. I Greci si erano affrettati a tornare casa per cercare di salvare le loro famiglie dallo stupro e dal saccheggio. I veneziani si erano affrettati verso il porto. Il Corno d’oro era silenzioso. I marinai turchi erano arrivati a terra, quindi avrebbero anche condiviso il saccheggio e le donne con l’esercito.

La piccola flotta veneziana, seguita da alcune galee bizantine, affollata fino all’elsa di rifugiati, colpì il Mar di Marmara e poi giù per l’Ellesponto fino all’oceano aperto. Mezzogiorno. Le strade sono piene di sangue. Le case sono state saccheggiate. Le donne violentate. Bambini impalati. Chiese rase al suolo. Icone strappate dalle loro cornici. Libri strappati.

A Santa Sofia, i rituali erano in corso mentre i conquistatori si avvicinavano. Le porte di bronzo erano chiuse. Quindi violato. I poveri sono stati massacrati sul posto. I sacerdoti proseguirono con la messa fino a quando non furono uccisi sull’altare. Uno potrebbe essere fuggito con i calici e scomparire nella parete meridionale del santuario – come dice la leggenda.

Il Sultano Mehmet, il terzo figlio di Murad, nato da una schiava nell’harem, fluente oratore in turco, arabo, greco, latino, persiano ed ebraico, aveva promesso ai suoi uomini tre giorni tradizionali di saccheggio. Ma ha chiuso tutto il primo giorno. Rimaneva poco da saccheggiare.

Nel tardo pomeriggio, seguito dai suoi massimi ministri, i suoi imam e la sua guardia del corpo dei giannizzeri, il Sultano si avviò lentamente verso Santa Sofia. Scese da cavallo fuori dalle porte centrali. Raccolse una manciata di polvere e in un gesto di umiltà, la spruzzò sul turbante. Quindi entrò nella Grande Chiesa. Camminò verso l’altare. Un comando appena percettibile ha portato il suo imam superiore a intensificare il pulpito e proclamare in nome di Allah, il Misericordioso e Compassionevole, non c’è altro Dio che Dio e Muhammad è il suo Profeta. Il Sultano toccò il suolo con la testa turbata – in una preghiera silenziosa. Santa Sofia era ora una moschea.

Lasciò la moschea e attraversò la piazza fino al vecchio Palazzo degli Imperatori, in rovina, fondato da Costantino il Grande 11 e ½ secoli prima. Vagava per le antiche sale, le sue belle pantofole spazzolavano la polvere dai favolosi mosaici del pavimento di ciottoli. Quindi mormorò due versi di un poeta persiano:

Il ragno tesse il sipario nel palazzo dei Cesari; il gufo chiama gli orologi nelle torri di Afrasiab

L’impero bizantino, fondato da Costantino il Grande lunedì 11 maggio 330 , era terminato martedì 29 maggio 1453. Sultan Mehmet era ora il Signore di Costantinopoli. Aveva solo 21 anni.

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Una risposta a “Turchia senza freni: i prossimi Stati nel mirino per riformare l’Impero Ottomano”

  1. ma allora … secondo lei puntano anche alla Sicilia x riconquistarla questi trogloditi e i loro fratelli mussulmani?

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