Vip morti nel 2020, elenco completo: ultimo Robert Hossein

DATA ULTIMO AGGIORNAMENTO: 4 Giugno 2023

Chi sono i Vip morti nel 2020? Il 2020 si sta per concludere e come di consueto da qualche anno a questa parte, ho riportato tutte le persone famose morte nel 2020 divise per categorie. In particolare, cantanti, musicisti, attori, registi e personaggi legati ad altri ruoli.

Il 2019, come naturale che sia, lasciato una lunga coda di grandi perdite. Alcune dovute all’incedere dell’età, altri a giovani morte improvvise.

Tra le morti che hanno colpito di più, senza dubbio occorre annoverare quelle di Nadia Toffa e Luke Perry.

La prima, amatissima presentatrice ed inviata de Le Iene. Che ha purtroppo perso a soli 40 anni la battaglia contro il cancro.

Il secondo è invece un volto popolare soprattutto degli anni ’90, complice l’aver interpretato lo James Dean delle serie Tv: Dylan, nella serie Beverly Hills 90210. Serie Tv cult di quel decennio.

Per un elenco completo comunque rinvio al post specifico.

In questa sede, invece, riporto i cantanti morti nel 2020, i registi morti nel 2020, gli attori morti nel 2020, i musicisti morti nel 2020 e gli altri vip morti nel 2020. Ad aprire le danze è stato David Stern, ex commissioner dell’NBA, che ebbe la capacità di trasformarla in un grande fenomeno mediatico mondiale.

L’ultimo invece è stato Robert Hossein.

Vip morti nel 2020, attori e registi

Il 2 gennaio è morto Vito Molaro, attore ventiseienne di Tufino, un piccolo paese vicino Napoli, dopo aver convissuto per diverso tempo con una fibrosi cistica che ne ha causato il decesso la notte del primo gennaio. Nella sua carriera, Vito, che ha studiato recitazione presso l’accademia Ribalta Officine di Castellammare di Stabia, si è cimentato in diversi ruoli prendendo parte a diversi film e progetti: da Troppo Napoletano con Serena Rossi a Il Mio Uomo Perfetto con Eva Grimaldi, fino alla soap opera Un Posto al Sole. Ha, inoltre, recitato nel cortometraggio Reciprocitas, un racconto dedicato al bullismo. Moltissimi i messaggi di cordoglio sui social, vicini alla famiglia di un giovane la cui vita si è spezzata troppo presto.

Il 9 gennaio l’attrice Nellina Laganà è morta la notte scorsa nella sua casa di Catania all’età di 72 anni. Era da tempo malata. Siracusana di nascita e catanese d’adozione aveva dedicato la propria vita al teatro. Il suo ultimo grande successo lo aveva ottenuto poche settimane fa con i “Giganti della Montagna”: recitando al fianco di Gabriele Lavia aveva ricevuto applausi e critiche entusiastiche nel ruolo di Sgricia. La malattia l’aveva costretta a interrompere le repliche di quella che era stata l’ultima di una serie di fortunate tournee nazionali, come quella de “La vita che ti diedi” con Massimo Serato e Valeria Ciangottini, del 1985. Nellina Laganà era una di quelle donne di teatro capaci sempre di stupire: nel 1983, con la regia del compagno d’arte e di vita Gianni Scuto, mise in scena “Attrice”, monologo da lei scritto per ricordare Anna Magnani e che fu il primo lavoro di prosa rappresentato nel tempio della lirica catanese, il Teatro Massimo Bellini. Uno spettacolo fortunatissimo, più volte ripreso fino a pochi anni fa, con tournee in Italia e all’estero per oltre seicento repliche. Nella sua lunga carriera, per la quale aveva ricevuto nel 2019 il Premio Danzuso, aveva lavorato nel cinema, in tv – nella serie sul Commissario Montalbano di Alberto Sironi dipinse un celebre cameo ne “Le ali della sfinge” – ma soprattutto in teatro. Ha lavorato, per lo Stabile etneo e l’Inda, con registi come Luca Ronconi, Mario Missiroli, Romano Bernardi, misurandosi con i Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Giuseppe Fava, Tomasi di Lampedusa, ma anche con i tragici greci e il teatro sperimentale. Nota anche per il suo impegno civile, Nellina Laganà sapeva conquistare tutti con la sua umanità e la sua garbata ironia, oltre che con la carismatica presenza scenica. Nello scorso agosto Nellina Laganà con l’attore catanese Silvio Laviano e altri colleghi ideò l’iniziativa che portò i cittadini catanesi ad andare al porto di Catania con un arancino in mano in segno di amicizia verso i 177 migranti bloccati da Salvini sulla nave Diciotti.

terry jones

Il 22 gennaio è morto Terry Jones, uno dei grandi protagonisti dell’epopea dei Monty Python, il gruppo comico capace di segnare un’epoca – nel Regno Unito e nel mondo – fra tv, cinema e teatro. L’attore e musicista gallese è morto a 77 anni, come reso noto dal suo agente. Jones è il secondo dei Monty Python a uscire per sempre dalle scene, dopo Graham Chapman. Del gruppo, discioltosi da tempo, rimangono sulla breccia John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle e Michael Palin, che proprio con Terry Jones – conosciuto in gioventù a Oxford, dove si erano entrambi laureati – aveva poi formato un affiatato tandem di autori di testi. Malato da qualche anno, Jones aveva ricevuto nel 2016 un riconoscimento alla carriera da parte del Bafta, l’academy britannica, salutata da una pubblica ovazione.

Il 6 febbraio è morto Kirk Douglas, aveva 103 anni. Fino alla fine degli anni sessanta partecipa a film di vario genere, distinguendosi ancora per la sua presenza sanguigna e decisa; tra questi si segnalano L’asso nella manica (1951), il disneyano 20.000 leghe sotto i mari (1954) di Richard Fleischer, Brama di vivere (1956),  I vichinghi (1958) di Richard Fleischer, Noi due sconosciuti (1960) di Richard Quine, L’occhio caldo del cielo (1961) di Robert Aldrich, Due settimane in un’altra citta’ (1962) di Vincente Minnelli (1962), Solo sotto le stelle (1962) di David Miller, Sette giorni a maggio (1964) di John Frankenheimer, Carovana di fuoco (1967) di Burt Kennedy, La fratellanza (1968) di Martin Ritt e Il compromesso (1969) di Elia Kazan. Negli anni settanta e ottanta dirada la sua attivita’ sul grande schermo; di questo periodo si ricordano, tra gli altri, Uomini e cobra (1970) di Joseph L. Mankiewicz, Un uomo da rispettare (1972) di Michele Lupo, Fury (1978) di Brian De Palma, Jack del Cactus (1979) di Hal Needham, Saturn 3 (1980) di Stanley Donen, L’uomo del fiume nevoso (1982) di George Miller e Due tipi incorreggibili (1986) di Jeff Kanew, ove appare nuovamente coppia con Burt Lancaster. Ha ricevuto tre candidature al Premio Oscar, senza mai vincerlo. Solo nel 1996 viene premiato con l’Oscar alla carriera. Il 16 gennaio 1981 riceve una prestigiosa onorificenza civile statunitense, la Medaglia presidenziale della liberta’, dal presidente Jimmy Carter. Douglas interpreta il suo penultimo film, Vizio di famiglia (2003) di Fred Schepisi, accanto a Michael, proprio nei ruoli di padre e figlio. La sua ultima apparizione al cinema risale al 2004, con il film Illusion di Michael A. Goorjian, ove interpreta un regista moribondo. Saltuariamente attivo anche nelle produzioni televisive, appare per l’ultima volta sul piccolo schermo nel 2008.

Il 15 febbraio è morta Nikita Pearl Waligwa. In «The Queen of Katwe», suo primo e unico film, aveva un ruolo piccolo ma fondamentale: era Gloria, la bambina che in uno oscuro slum ugandese insegna «la rivoluzione del pedone» alla futura campionessa mondiale di scacchi. Una storia vera, riproposta da Hollywood nel 2016, sulla straordinaria avventura della scacchista Phiona Mutesi. E’ morta sabato in un ospedale di Kampala. Aveva 15 anni e un tumore al cervello.

Il 14 febbraio è morta a 66 anni l’attrice Esther Scott, celebre per i ruoli nella serie tv “Beverly Hills 90210” e “La ricerca della felicità” con Will Smith. Un membro della famiglia ha dichiarato a Tmz che la donna ha avuto un attacco di cuore nella sua casa a Santa Monica, L’attrice è stata trovata priva di sensi e portata all’ospedale, dove è rimasta ricoverata alcuni giorni prima di spegnersi. La Scott, infatti, ha recitato in moltissimi film e serie tv in ruoli secondari. Tra questi la serie tv “Beverly Hills 90210”, “Melrose Place”, “ER”; i film “Boyz n the Hood – Strade violente”, “La ricerca della felicità” e il film per ragazzi “Il mio amico scongelato”.

Flavio Bucci

Il 18 febbraio è morto Flavio Bucci, conosciuto al grande pubblico soprattutto per l’interpretazione di Ligabue nell’omonimo sceneggiato tv e per il personaggio di Fra Bastiano in Il Marchese del Grillo. L’attore, nato a Torino ma di origini molisane, aveva 73 anni. Da alcuni anni risiedeva a Passoscuro, sul litorale romano. Quasi cento i film interpretati. Nel 1977 si fece conoscere dal grande pubblico interpretando lo sceneggiato televisivo Rai Ligabue, diretto da Salvatore Nocita, con il quale tornerà a lavorare nei Promessi sposi (1989); sempre per il piccolo schermo, ha recitato nella Piovra (1984) di Damiano Damiani e in L’avvocato Guerrieri – Ad occhi chiusi (2008) di Alberto Sironi. Negli anni ’70 come doppiatore prestò la voce anche a John Travolta (La febbre del sabato sera e Grease). Al cinema rimangono famosi i suoi ruoli di caratterista: il prete erertico in Il marchese del Grillo di Mario Monicelli (1981), Tex e il signore degli abissi (1985), Secondo Ponzio Pilato (1987), Teste rasate (1993) e Il divo di Paolo Sorrentino (2008). Tantissime anche le intepretazioni teatrali dove recitò come protagonista in Opinioni di un clown di Heinrich Böll; Le memorie di un pazzo di Gogol; Uno, nessuno e centomila; Il fu Mattia Pascal e Chi ha paura di Virginia Woolf? e Riccardo III. Dopo una lunga assenza dalle scene tornò sulle scene con lo spettacolo dedicato a Giacomo Leopardi Che fai tu luna in ciel, dimmi che fai per la regia di Marco Mattolini con la danzatrice Gloria Pomardi e la pianista e compositrice Alessandra Celletti.

Diana Serra Cary

Il 24 febbraio è morta Diana Serra Cary, ex bambina prodigio nota come Baby Peggy, nata il 29 ottobre 1918 come Peggy Jean Montgomery. Aveva 101 anni. Approdata casualmente al cinema a soli 19 mesi, nel 1924 Baby Peggy era già comparsa in 150 cortometraggi (la maggior parte dei quali sono purtroppo perduti). Diana Serra Cary era stata ripetutamente celebrata alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone . Diana Serra Cary – Baby Peggy fu ospite e musa per tre edizioni consecutive delle Giornate, dal 2004 al 2006.

Max Von Sydow

Il 9 marzo è morto al’età di 90 anni l’attore svedese Max Von Sydow. Protagonista in un centinaio di film e programmi tv, fu l’attore preferito di Ingmar Bergman, ma anche interprete di molti successi internazionali come “L’esorcista”, “Hannah e le sue sorelle”, “Fino alla fine del mondo” e “Risvegli”. E’ stato nominato due volte all’Oscar, per “Pelle alla conquista del mondo” nel 1989 e per “Molto forte, incredibilmente vicino” nel 2012. Nato a Lund, il 10 aprile del 1929, è morto in Francia dove viveva da tempo con la seconda moglie, la produttrice francese Catherine Brelet. E’ stata lei a dare la notizia. Dopo aver recitato a lungo in teatro in Svezia tra la fine degli anni 40 e l’inizio dei 50, Von Sydow debutta sul grande schermo nel 1957 con “Il settimo sigillo”, capolavoro di Ingmar Bergman, che da quel momento vede in Von Sydow il suo attore feticcio: con lui gira 14 film, tra cui “Il posto delle fragole”, “La fontana della vergine”, “Come in uno specchio” e “L’adultera”. La grande popolarità internazionale arriva nel 1973 con il ruolo di padre Merrin ne “L’esorcista”, di William Friedkin. Seguono altri blockbuster come “I tre giorni del condor”, “Flash Gordon”, “Fuga per la vittoria”, “Conan il barbaro” e “Mai dire mai”. Von Sydow ha avuto anche un rapporto particolare con il cinema italiano. Molti registi nostrani lo hanno voluto come protagonista, da Alberto Lattuada in “Cuore di cane” (1976), a Dario Argento in “Non ho sonno” (2001) passando per Francesco Rosi (“Cadaveri eccellenti”), Mauro Bolognini (“Bollito misto”) e Pasquale Squitieri (“Il pentito”). Anche tra gli anni 90 e i 2000 la carriera di Von Sydow non segna battute d’arresto. A parte pellicole di grande successo commerciale, come “Shutter Island”, “Minority Report”, “Robin Hood” o “Star Wars: Il risveglio della Forza”, lavora anche con registi di culto come Wim Wenders, in “Fino alla fine del mondo” o Lars Von Trier in “Europa” e ottiene la seconda candidatura all’Oscar per “Molto forte, incredibilmente vicino” (dopo quella per “Pelle alla conquista del mondo”. Tra i suoi ultimi ruoli c’è quello in una delle serie televisive più amate degli ultimi anni, “Il trono di spade”: Entrato nel cast nel 2016 con il ruolo del Corvo a tre occhi (Three-eyed Raven), ricevette una nomination al Primetime Emmy Award.

Lorenzo Brino

Il 16 marzo è morto Lorenzo Brino, aveva 21 anni. Chi è nato negli anni Ottanta e Novanta ricorderà la lunghissima serie tv americana “Settimo Cielo”, che raccontava la vita familiare del reverendo Camden, di sua moglie e dei loro 7 figli. Tra i più piccoli interpreti della serie c’era anche Lorenzo Brino, che ha recitato in “7th Heaven” dal 1999 al 2006 (dalla serie 6 alla 11). Lui e il fratello gemello erano apparsi per la prima volta nella storia familiare in tv a partire dalla terza stagione, diventando protagonisti poi nella quinta stagione. Dalla sesta stagione e fino alla fine hanno fatto parte del cast ufficiale degli attori della serie.

Stuart Gordon

Il 25 marzo è morto a Chicago, dove era nato 72 anni fa, Stuart Gordon, regista e produttore cinematografico, tra i nomi indipendenti del cinema horror. La famiglia lo ha confermato a Variety. Suoi alcuni classici del genere come Re-Animator (1985) e From Beyond (Terrore dall’ignoto, 1986). Nella sua carriera, anche molto teatro (portò a Chicago David Mamet con Sexual Perversity e Bleacher Bums con Dennis Franz e Joe Mantegna). Ha coprodotto e in parte ideato anche una commedia cinematografica diventata franchise di successo: Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi . Ne ha prodotto il sequel del film e diretto un episodio dello spin-off televisivo. Nel 2005 ha diretto un adattamento cinematografico di Edmond di Mamet, con William H. Macy, presentato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2005. Nella sua cinematografia anche Fortress, Castle Freak e King of the Ants, Stuck. Amava il teatro: a Los Angeles aveva avuto successo dirigendo Nevermore… An Evening with Edgar Allen Poe con protagonista Jeffrey Combs. Il suo primo successo horror, Re:Animator era diventato anche un musical premiato ed elogiato dalla critica. Nel 2014 vinse uno Stage Raw Award per la regia di Taste, un dramma basato su una storia vera in cui un uomo accetta di essere mangiato da un altro.

Il 27 marzo l’attore statunitense Mark Blum, considerato tra uno dei più eleganti interpreti del cinema e per il piccolo schermo, è morto a causa delle complicazioni causate dal coronavirus all’età di 69 anni. L’annuncio della sua scomparsa è stato dato sui social dal gruppo teatrale Playwrights Horizons e da Rebecca Damon, vicepresidente esecutivo della Sag-Aftra di cui era membro, come riferisce l’edizione online di Variety. Nato a Newark, nel New Jersey, il 14 maggio 1950, dopo molte apparizioni teatrali, Blum ottenne il primo ruolo di rilievo sul grande schermo come interprete di commedie nel film Cercasi Susan disperatamente (1985), nel ruolo di Gary, accanto a Madonna e Rosanna Arquette. L’anno successivo fece parte del cast di Mr. Crocodile Dundee (1986). Nel 1992 Blum cambiò completamente genere, partecipando al film thriller Battito finale. Dopo alcuni anni di assenza dal mondo del cinema, nel 2003 ritornò con il film biografico L’inventore di favole. Tra gli ultimi film in cui ha recitato c’è Ma come fa a far tutto?, del 2011.

Il 5 aprile è morta l’attrice statunitense Lee Fierro, memorabile interprete del thriller Lo squalo (1975) di Steven Spielberg nel ruolo della signora Kintner e poi di nuovo nel sequel Lo squalo 4 (1987), è morta ieri in una casa di riposo nello Ohio all’età di 91 anni per le complicazioni legate al coronavirus. L’annuncio della scomparsa è stato riferito dall’edizione online di Variety che cita la testata locale “The Martha’s Vineyard Times”. Nel cult movie Lo squalo l’attrice interpreta il ruolo della madre di Alex Kintner (Jeffrey Voorhees), tra le prime vittime dello squalo. In una celebre scena piange il figlio scomparso per poi recarsi dal capo della polizia di Amity, Martin Brody (Roy Scheider), schiaffeggiandolo dopo aver saputo che era al corrente che una ragazza era stata già uccisa dall’attacco di uno squalo. Fierro tornerà a recitare lo stesso ruolo nel 1987 in Lo squalo 4 diretto da Joseph Sargent. Trent’anni dopo le riprese di Lo squalo, Lee Fierro, entrò in un ristorante di pesce e notò che il menu aveva un “Alex Kintner Sandwich” e raccontò al cameriere di aver interpretato la madre di Alex tanti anni prima. Il proprietario del ristorante corse a incontrarla: era nientemeno che Jeffrey Voorhees, che aveva interpretato suo figlio. Si ritrovarono così, per caso, dopo tanto tempo, secondo il racconto fatto qualche anno fa dall’attrice in un’intervista.

Shirley Douglas

Il 6 aprile, Shirley Douglas, figlia di un politico canadese, attrice e attivista per i diritti dei neri e del sistema sanitario pubblico, è morta a 86 anni. Ad annunciarlo è stato uno dei figli, l’attore Kiefer Sutherland: «Mia madre era una donna straordinaria che conduceva una vita straordinaria. E’ morta le complicanze di una polmonite, non legate alla pandemia del coronavirus» ha scritto Kiefer. Figlia di Tommy Douglas, primo ministro della provincia occientale canadese del Saskatchewan, Shirley Douglas ha frequentato la Banff School of Fine Arts e ha continuato a studiare alla Royal Academy of Dramatic Art in Inghilterra, dove ha recitato in teatro e Tv. Ha condotto la sua carriera di attrice tra il Canada e gli Stati Uniti, dove ha girato con grandi registi come stanley Kubrick (Lolita) e David Cronenberg (Dead Ringers). Ha vinto un Gemini Award per la sua interpretazione nel film televisivo Shadow Lake del 1999 ed è stata Ufficiale dell’Ordine del Canada, uno dei più alti riconoscimenti del Paese. Era nota anche per il suo attivismo, in particolare in favore dei diritti civili, delle Pantere Nere negli Stati Uniti e in difesa del sistema sanitario pubblico canadese, introdotto dal padre. Negli anni ’60 e ’70, mentre viveva in California, Douglas partecipò alle campagne contro la guerra del Vietnam e protestò per varie cause. Creò un gruppo di raccolta fondi chiamato Friends of the Black Panthers. Il suo sostegno al gruppo le causò anche dei guai tanto da vedersi rifiutato il permesso di lavoro negli Stati Uniti. Nel 1969, dopo aver sposato quattro anni prima l’attore Donald Sutherland (da cui ha avuto due dei suoi tre figli), venne accusata di cospirazione per possesso di esplosivi non registrati. Il tribunale alla fine la assolse.

Patricia Millardet,

Il 14 aprile è morta Patricia Millardet, attrice di talento arrivata al successo grazie al ruolo di Silvia Conti, l’incorruttibile giudice de La Piovra. Secondo le prime informazioni, l’artista francese, che a marzo aveva compiuto 63 anni, si è spenta a causa di una crisi cardiaca a Roma, presso l’ospedale San Camillo in cui era ricoverata. Negli anni Ottanta, Patricia si era trasferita in Italia, a Castel Gandolfo, raggiungendo il successo grazie al ruolo del giudice Silvia Conti nella serie cult La Piovra. L’attrice francese era entrata nel cast nel 1989 e ci era rimasta sino al 2001, diventandone la protagonista incontrastata dopo l’uscita di scena di Cattani, il commissario interpretato da Michele Placido. Patricia Millardet aveva esordito ne Il tempo delle mele 2 e nel 1987 aveva conquistato l’Italia con Assicurazione sulla morte. Il vero successo però era arrivato grazie a La Piovra e a un ruolo che ha segnato per sempre la sua carriera. Nel 2002 l’attrice, poco prima di approdare sul set di Il bello delle donne, aveva fatto discutere per via di un tentato suicidio. Una notizia falsa che era stata smentita con forza dalla stessa Millardet.

Brian Dennehy

Il 16 aprile è morto Brian Dennehy, all’età di 81 anni. Protagonista nel 1977 del clamoroso debutto sul grande schermo con il film di Richard Brooks “In cerca di Mr. Goodbar” e consacrato con il successo interpretando lo sceriffo Will Teasle nel film “Rambo” (1982) che insegue ostinatamente il veterano del Vietnam John Rambo (Sylvester Stallone). E’stato sposato dal 1959 al 1974 con Judith Scheff da cui ha avuto tre figlie: Elizabeth e Kathleen, entrambi attrici, e Deidre. Nel 1988 si è risposato con Jennifer Arnott; i due coniugi hanno adottato due bambini, Cormack e Sarah. Dopo una lunga gavetta teatrale, esordì ormai trentenne in televisione, interpretando uomini duri, cattivi, di potere o corrotti. Ha recitato in telefilm come “Kojak”, con Telly Savalas e F. Murray Abraham, “Serpico”, “Mash” e “Lou Grant”. Dopo l’esordio cinematografico con “In cerca di Mr. Goodbar”, con Diane Keaton, Richard Gere, William Atherton, Tom Berenger e Tuesday Weld, Dennehy si divide tra piccolo e grande schermo. Passa da fiction come “Terrore a Lakewood” (1977) o serial come “Dallas” (1978) a film come “Gioco sleale” (1978) con Goldie Hawn, “F.I.S.T.” (1978) con Rod Steiger e Sylvester Stallone. Recita poi nei film “La corsa di Jericho” (1979) e “Bagliori di guerra” (1980) e nella serie tv Dynasty (1981). Dopo il successo nel ruolo dello sceriffo Will Teasle nella pellicola “Rambo” (1982) interpreta l’alieno nel film di fantascienza “Cocoon – L’energia dell’Universo” (1985) e nel suo sequel Cocoon – Il ritorno” (1988). La sua filmografia comprende titoli come: “Silverado” (1985) con Kevin Kline e Kevin Costner, “Due volte nella vita” (1985) con Gene Hackman, “F/X” (1986) e il suo seguito “F/X2 – Replay di un omicidio” (1991), “Tutta colpa delle poste!” (1986) e “Pericolosamente insieme” (1986) con Robert Redford e Terence Stamp. Sono tuttavia pochi i ruoli da protagonista nella carriera di Brian Dennehy: “Il ventre dell’architetto” (1987) di Peter Greenaway, “Best Seller” (1987), “Gli irriducibili” (1988) con John Malkovich, “L’orologiaio” (1989), “Punto d’impatto” (1990). Plurinominato agli Emmy Award per svariati parti televisive, sfiora quasi la statuetta con “Prova schiacciante” (1992). Ha quindi recitato con Harrison Ford in “Presunto innocente” (1990), “I gladiatori della strada” (1992). La televisione lo vede nelle serie “Affari di cuore”, “Profeta del male”, “Appello finale”, la serie di pellicole tv su Jack Reed che lui firmerà anche come regista, “La crociera della paura”. Sul grande schermo appare in “Romeo + Giulietta di William Shakespeare” (1996) con Leonardo DiCaprio e Claire Daines, e “Codice di sicurezza” (1999). Nel 1999 Dennehy è costretto a cancellare tre delle performance che doveva interpretare a Broadway dello spettacolo televisivo “Morte di un commesso viaggiatore” per un ricovero in ospedale per ipertensione. Nonostante questa disgraziata coincidenza, ha vinto un golden Globe e due Tony Awards come miglior attore per il dramma di Arthur Miller che per “Long Day’s Journey into Night”. Uscito dall’ospedale torna a lavorare per tanti film, tra cui “A prova di errore” (2000) con Harvey Keitel, “Lo scandalo Enron” (2003), “Catastrofe a catena” (2004), “The Exonerated” (2005), con Susan Sarandon, “Il sogno di una estate” (2001), “L’ultima estate” (2002), “Lei mi odia” (2004) di Spike Lee, “10th & Wolf” (2006) con Dennis Hopper e “Sfida senza regole” (2008) con Al Pacino e Robert De Niro. Nel 2008 il regista Jon Avnet lo vuole al fianco di Robert De Niro e Al Pacino nel film d’azione “Sfida senza regole”. Tre anni dopo torna, diretto da Paul Haggis, nel drammatico “The Next Three Days”, interpretando il ruolo di George Brennan, e sempre nel 2011 è in “Un anno da leoni”. Nato il 9 luglio 1938 a Bridgeport, nel Connecticut, figlio di un medico e di una casalinga, Brian Manion Dennehy cresce assieme ai suoi due fratelli a Long Island, nella contea di New York, studiando alla Chaminade High School. Ha 19 anni quando entra nell’U.S. Marine Corps rimanendo attivo fino al 1963. Si iscrive alla Columbia University di New York diventando un ottimo giocatore di baseball. Particolarmente attratto dalla recitazione si sposta alla Yale University per studiare arte drammatica, ma anche il rugby. Conclusi i suoi studi, comincia a recitare in qualche spettacolo estivo off-Broadway. Nel frattempo, si sposa con Judith Scheff, dalla quale nasceranno le attrici Elizabeth e Kathleen Dennehy, anche se poi i due divorzieranno, dato che Dennehy vuole sposare una nuova donna: Jennifer Arnott con la quale adotterà due bambini Cormack e Sarah.

sergio fantoni

Il 18 aprile è morto Sergio Fantoni, uno dei grandi della scena italiana tra Cinecittà e Hollywood: attore di teatro, cinema e tv, regista e doppiatore. Aveva 89 anni. E’ scomparso ieri sera dopo una carriera di interprete durata mezzo secolo, che lo ha visto diretto al cinema dai più grandi registi, da Roberto Rossellini a Luchino Visconti fino a Blake Edwards, protagonista dei teleromanzi in bianco e nero della Rai, mattatore sui maggiori palcoscenici teatrali e infine doppiatore, prestando la sua voce, tra gli altri, a un memorabile Marlon Brando nei panni del colonnello Kurtz nel film “Apocalypse Now” (1979) di Francis Ford Coppola. Nato a Roma il 7 agosto 1930, Sergio Fantoni era figlio d’arte: anche il padre Cesare e la madre Afra Arrigoni sono stati interpreti teatrali. E’ stato sposato con l’attrice Valentina Fortunato (1928-2019). Cominciò a lavorare giovanissimo nel teatro di prosa con la compagnia Rina Morelli – Paolo Stoppa e con Vittorio Gassman. Nel 1955 è approdato in televisione con “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare, ottenendo un lusinghiero successo di critica e di pubblico. Negli anni successivi, Fantoni continuò a dividersi fra televisione e cinema, interpretando una lunga serie di film storico-avventurosi e poi apparendo in film di grandi registi come “Era notte a Roma” (1960) e “Viva l’Italia” (1961), entrambi di Roberto Rossellini, “Il sicario” (1961) di Damiano Damiani, “Tiro al piccione” (1961) di Giuliano Montaldo, “Il gattopardo” (1963) di Luchino Visconti. Come attore cinematografico Fantoni ha lavorato anche all’estero, vivendo un’intensa stagione professionale a Hollywood in special modo negli anni ’60: “Intrigo a Stoccolma” (1963) e “Il colonnello Von Ryan” (1965), entrambi di Mark Robson, “Non disturbate” (1965) di Ralph Levy e “Papà, ma che cosa hai fatto in guerra?” (1966) di Blake Edwards. In coppia con il drammaturgo Diego Fabbri Fantoni ha condotto per la radio – a Rai Radio Uno – il programma “Voi ed io”. Fantoni ha legato il suo nome di attore a numerose interpretazioni in riduzioni televisive di importanti lavori letterari e a sceneggiati televisivi, particolarmente negli anni ’60 e ’70: “Oliver Cromwell: Ritratto di un dittatore”, “Con rabbia e con dolore”, “Lungo il fiume e sull’acqua”, “Anna Karenina”, “Il consigliere imperiale”, “La traccia verde”, “Diario di un giudice”. In “Delitto di stato”, trasmesso da Rai Due nel 1982, per la regia di Gianfranco De Bosio, porta in scena sul piccolo schermo il primo nudo integrale frontale maschile della televisione italiana. Intensa l’attività teatrale di Fantoni. Assieme a Luca Ronconi e Valentina Fortunato (sposata negli anni ’60) e poi a Giancarlo Sbragia, Ivo Garrani, Luigi Vannucchi e Mattia Sbragia ha dato vita negli anni ’70 alla prima cooperativa teatrale italiana, Gli Associati. Il suo repertorio teatrale è stato vasto e comprende titoli dei principali drammaturghi del XIX e XX secolo. Insieme al drammaturgo e regista Ivo Chiesa e alla collega attrice Bianca Toccafondi Fantoni ha ricevuto nel 2002 il Premio alla carriera intitolato a Ennio Flaiano. Come autore ha firmato, insieme a Gioele Dix, e con la collaborazione di Francesco Brandi, la pièce “Edipo.Com”. Nel gennaio del 1997 venne operato di laringectomia, operazione che gli causò problemi vocali, così interruppe l’attività di attore e si dedicò alla regia e alla direzione artistica della Contemporanea, trasformata in società di produzione, con Fioravante Cozzaglio direttore organizzativo. Dal 2012 era direttore artistico del Teatro Carcano di Milano insieme a Fioravante Cozzaglio. Tra le ultime apparizioni in tv quella nella serie “Il commissario Montalbano”, con la partecipazione al primo episodio nel 1999.

Il 22 aprile è morto Antonio Tarantino. Aveva 82 anni. Era nato a Bolzano nel ‘38, ma da bambino era migrato a Torino. Nel quartiere di San Salvario faceva il pittore. Sembrava quella la sua strada. Poi, all’improvviso, la svolta. Tarantino aveva passato da un pezzo i cinquant’anni quando si accorse di avere bisogno di un altro orizzonte e di un altro linguaggio. Fu così che si dedicò alla scrittura teatrale, anche se più tardi dirà: “Del teatro non mi è mai importato niente”. Entrò in scena in modo prepotente con un testo, “Stabat Mater”, che fu subito premiato al “Riccione”. Era il 1993. In giuria c’era il critico Franco Quadri, che era anche editore della Ubu Libri. Quella volta si stabilì un corto circuito per cui “Stabat Mater” diventò subito uno spettacolo con Piera Degli Esposti e dopo confluì con altri tre testi in un volume che Tarantino avrebbe voluto intitolare “Tetralogia delle cure”, ma poi fu scelto “Quattro atti profani”. Quel che colpì in quei lavori fu il linguaggio: una parola, spiegò lo stesso Tarantino, “sbandita, in fuga dai suoi antichi dominii”. In altri termini, si trattava di una parola violenta ed eversiva, impastata di vari dialetti e tuttavia dolorosamente poetica. Un po’ come mettere insieme Testori, Pasolini e Gadda. “Stabat Mater” è il monologo di una barbona migrata dal Sud che manda le sue invettive a interlocutori lontani e latitanti, soprattutto a Giovanni, che non risponde mai al telefono e l’ha lasciata sola a combattere con i marocchini, con le istituzioni, con la polizia. L’ha lasciata sola a badare a “quel cristo di un figlio” innamorato della Maddalena “che è la sua rovina” e si è impegolato in una storia di terrorismo. A partire da quel momento Tarantino occupò il centro della scena. Amato soprattutto dai giovani, forniva occasioni di grande teatro visionario, esistenziale, politico trovando voce in attori quali Maria Paiato e Valter Malosti. Dopo la tetralogia arrivarono i “Materiali per una tragedia tedesca” imperniati sugli anni di piombo, prodotti nel 2000 dal Piccolo Teatro e vincitori del premio Ubu. Seguirono “La pace” nell’allestimento di Marcido Marcidorjs e “La casa di Ramallah” interpretata da Giorgio Albertazzi con la regia di Antonio Calenda. Poi fu la volta dei grandi affreschi storici: “Gramsci a Turi”, “Trattato di pace” che racconta il dopoguerra attraverso l’impegno tremendo di De Gasperi per accordarsi con i vincitori, “Esequie solenni” che mette di fronte le vedove di De Gasperi e di Togliatti. Quest’ultimo testo fu diretto nel 2012 da Andrée Ruth Shammah per il “Parenti” di Milano.

Shirley Knight

Il 22 aprile l’attrice statunitense Shirley Knight è morta per cause naturali nella casa della figlia, l’attrice Kaitlin Hopkins, a San Marcos, nel Texas, all’età di 83 anni. Attrice teatrale affermata fin dagli anni 60, premiata con un Tony, ha lavorato al cinema in ruoli di supporto sfiorando due volte l’Oscar ed è stata interprete di numerose serie televisive americane per cui ha ricevuto diverse nomination agli Emmy e ne ha vinti due come madre di una vittima in Nypd Blue. Dal 1993 è apparsa in serie di successo tra cui Angel Falls, Ally McBeal, E.R. Medici in prima linea, Law & Order, Dr. House, Crossing Jordan e Desperate Housewives. La prima candidatura agli Oscar come miglior attrice non protagonista la ottiene nel ruolo della ragazza dell’Oklahoma innamorata di un ragazzo ebreo in Il buio in cima alle scale di Delbert Mann (1960). Due anni dopo riceve la sua seconda nomination interpretando la donna innamorata e abbandonata da Paul Newman in La dolce ala della giovinezza di Richard Brooks (1962), ispirato al dramma di Tennessee Williams. Shirley Knight ha lavorato anche con Sidney Lumet in Il gruppo (1966) e nel dramma razziale Intolleranza: il treno fantasma (1967) di Anthony Harvey, ruolo che le è valso la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla Mostra di Venezia. Per Francis Ford Coppola recita in Non torno a casa stasera (1969). Dopo il divorzio dal primo marito, l’attore Eugene Persson, si trasferisce in Inghilterra con il nuovo marito, lo sceneggiatore inglese John Hopkins, sparisce dal grande schermo per cinque anni, per poi tornare in scena con Juggernaut nel 1974. Ottiene poi essenzialmente dei ruoli materni in Amore senza fine (1981) di Franco Zeffirelli, Il colore della notte (1994) e in Qualcosa è cambiato (1997) accanto a Jack Nicholson. Tra gli ultimi film in cui è apparsa figurano Angel Eyes – Occhi d’angelo (2001), Salton Sea – Incubi e menzogne (2002) e Cocco di nonna (2006). Infine è tornata nel ruolo a lei congeniale della mamma nel 2009 nella commedia Il superpoliziotto del supermercato con Kevin James.

Rishi Kapoor

Il 30 aprile è morto in India, a Mumbai, un altro dei volti più amati di Bollywood, il 67enne Rishi Kapoor, malato di leucemia. Nella prima parte della sua carriera era diventato, interpretando soprattutto ruoli romantici, una delle star più amate di Bollywood, per poi regalare negli ultimi vent’anni grandi performance principalmente in ruoli di contorno. Nasce nel 1947 a Peshawar in una famiglia d’attori. Il debutto al cinema avviene a 16 anni, in ‘Mera Naam Joker’ (1970), un film sulla vita dei clown, dove interpreta la versione ‘giovane’, del personaggio incarnato dal padre, Raj Kapoor (anche regista). Talentuoso anche nella danza, interpreta in carriera oltre 90 film, diventando un beniamino del pubblico soprattutto grazie a una serie di ruoli romantici, come in Bobby (1974), storia d’amore adolescenziale. Fra gli altri hit, Khel Khel Mein (1975), Karz (1980) e Chandni (1989). In vari film recita a fianco di Neetu Singh, diventata sua moglie nel 1980 e madre dei suoi due figli, Riddhima Kapoor Sahani e Ranbir, che lo segue nella carriera cinematografica ed è oggi è a sua volta uno dei maggiori divi di Bollywood. Il successo di Rishi Kapoor si rinnova nella seconda parte della sua carriera, quando passa a interpretare principalmente ruoli da caratterista. Tra i film che conquistano il pubblico: Namastey London (2007), Love Aj Kal (2009), Agneepath (2012), Student of the Year (2012), Do Dooni Chaar (2011) per cui vince il Filmfare Critics Award come miglior attore e Kapoor & Sons (2016), che gli fa ottenere il Filmfare come miglior attore non protagonista.

lloyd sam

Il 2 maggio è è morto Sam Lloyd. L’attore aveva 56 anni e aveva raggiunto una grande popolarità interpretando Ted Buckland, il remissivo avvocato protagonista di «Scrubs». L’attore, nipote di Christopher Lloyd, era diventato da poco padre di una bambina. Il cancro si era esteso in poco tempo e da subito le sue condizioni erano apparse gravissime nonostante sua moglie e il produttore Tom Hobert avevano dato vita ad una raccolta fondi per garantire all’attore le migliori spese [sta_anchor id=”sepe”]mediche[/sta_anchor].

mimmo sepe

Il 5 maggio è morto a 65 anni l’attore comico e caratterista Mimmo Sepe. Era malato da tempo. A darne l’annuncio è stato l’amico Corrado Taranto, suo compagno di scena negli anni 80 e 90. In carriera aveva lavorato con i più grandi della tradizione napoletana e nel 1995 aveva fondato una sua compagnia teatrale. Era noto al grande pubblico per le sue apparizioni tv al “Seven Show” e ha recitato anche al cinema in diversi film, da “No grazie, il caffè mi rende nervoso” a “Natale col boss”. Classe 1955, Domenico Sepe, in arte Mimmo, inizia la sua carriera teatrale nel 1973, all’età di 18 anni. Entra a far parte della compagnia del Teatro Diana nel 1979 esordendo in una serie di commedie di tradizione, tra cui quelle di Eduardo Scarpetta. Inizia così una lunga avventura, scritturato dalla Compagnia Stabile del Teatro Sannazzaro, accanto a Nino Taranto, Carlo Taranto, Luisa Conte e Pietro De Vico. Successivamente entra a far parte della compagnia di Luigi De Filippo. Con Corrado Taranto, nipote di Nino, il sodalizio parte nel 1987. Nel 1988 la coppia vince la IV edizione del Festival Nazionale del Cabaret di Loano. Nel 1983 il debutto al cinema con “No grazie, il caffè mi rende nervoso” di Lello Arena. Sul grande schermo recita anche in “Sotto il vestito niente” di Carlo Vanzina, “Rosa Funzeca” di Aurelio Grimaldi, “Il ritorno del Monnezza” di Carlo Vanzina e “Natale col Boss” di Volfango De Biasi. Approda in tv nel 1988 in “Via Teulada 66” (1988), per poi partecipare a “Quelli che il calcio” (1994). Poi la collaborazione con Oscar Di Maio ne Il Cafone su Telecapri. Ma è con “Seven Show” che incontrerà una discreta notorietà a livello nazionale.

Michel Piccoli

Il 12 maggio è morto all’età di 94 anni il grande attore francese, Michel Piccoli. Nella sua vita Piccoli ha lavorato con i piu’ grandi registi internazionali, da Luis Bunuel fino a Claude Sautet, Marco Ferreri e Nanni Moretti (in Habemus Papam, che gli valse anche il David di Donatello). La notizia è stata però diffusa solo il 18 maggio. Monumento del cinema francese ed europeo, Michel Piccoli è stato protagonista di film passati alla storia, come il Disprezzo di Jean-Luc Godard, la Grande Abbuffata di Marco Ferreri, L’Amante di Claude Sautet o più recentemente Habemus Papam di Nanni Moretti.

Il 17 maggio è morta Lynn Shelton, regista «indie» che ha diretto «Humpday – Un mercoledì da sballo» e della serie tv «Little Fires Everywhere», in arrivo venerdì prossimo su Amazon Prime Video. Aveva 54 anni. Il suo agente, Adam Kersh, ha comunicato che la regista è morta venerdì 15 maggio a Los Angeles per una malattia del sangue non meglio specificata. Shelton era diventata la voce principale del nuovo movimento cinematografico indipendente americano. Molto apprezzati dagli spettatori dei festival i suoi film a basso budget, mentre per la televisione aveva diretto episodi di «Mad Men», «Fresh Off the Boat», « The Mindy Project» e «Glow» oltre al recente «Little Fires Everywhere», con Reese Witherspoon e Kerry Washington. Shelton aveva iniziato la sua carriera cinematografica intorno ai 30 anni, dopo aver lavorato inizialmente come attrice e fotografa. Ha scritto e diretto otto lungometraggi nel giro di 14 anni. Ava DuVernay ha ricordato invece Shelton per averle «cambiato la vita» dopo la consegna di un premio al Sundance Film Festival nel 2012.

Fred Willard

Il 17 maggio è morto Frederic Willard. Il brillante attore statunitense è morto per cause naturali, a 86 anni. Willard ha avuto una lunga carriera, divertendo il pubblico dietro la macchina da presa, sia in tv che al cinema. Diventò famoso alla fine degli anni ’70 con apparizioni in sitcom parodistiche come Mary Hartman, Mary Hartman, Fernwood 2 Night, America 2-Night, Tutti amano Raymond, Beautiful, fino a Modern Family. Aveva partecipato a 250 produzioni, tra cinema e televisione. Era stato sposato per cinquant’anni a Mary Willard, sceneggiatrice e co-autrice del marito, morta nel 2018 a 71 anni. Lo vedremo nell’ultimo ruolo, nella serie Space Force a fine mese su Netflix, al fianco di Steve Carrell. Tra il 2003 e il 2005 per il suo ruolo ricorrente in Tutti amano Raymond ha ricevuto per tre volte consecutive una candidatura per il premio Emmy al miglior attore guest star in una serie commedia, grazie al ruolo di Hank McDougal, suocero del protagonista. Nel 2010 è stato candidato nuovamente per tale premio grazie al ruolo del padre del protagonista Phil Dunphy nella serie Modern Family. Nel 2014 e nel 2015 interpreta entra nel cast di Beautiful interpretando John Forrester, fratello di Eric e padre di Ivy e lascia la soap un anno dopo. Lo vedremo nella sua ultima interpretazione, nella serie Space Force, in uscita su Netflix a fine maggio, in cui sarà il padre del protagonista Steve Carrell, con cui aveva lavorato nella serie The office. Una serie basata sui rapporti di lavoro tra uomini e donne all’interno del progetto Space Force.

Gregory Tyree Boyce

Il 13 maggio Gregory Tyree Boyce, giovane attore apparso nella saga di Twilight, è stato trovato morto insieme alla fidanzata Natalie Adepoju nella sua casa di Las Vegas. Aveva 30 anni. Ancora non si conoscono le cause del decesso della coppia: secondo quanto riferisce il sito E! News, a ritrovare i loro corpi senza vita è stata una cugina di Boyce, che, sapendo che il ragazzo doveva andare a Los Angeles, si è insospettita quando ha visto la sua auto ancora parcheggiata di fronte all’abitazione. Gregory andava spesso a Los Angeles per fare visita a sua figlia Alaya di 10 anni, avuta da una precedente relazione, mentre ora conviveva insieme alla sua compagna Natalie a Las Vegas. Il sito TMZ, che ha rilanciato la notizia, parla di una polvere bianca trovata accanto ai corpi ma non sono stati rivelati altri dettagli e le indagini sono in corso Tyree Boyce era nato il 5 dicembre 1989 e aveva raggiunto la popolarità nel 2008 proprio grazie alla sua partecipazione alla serie dei film Twilight, saga tratta dai romanzi di Stephenie Meyer con protagonisti Kristen Stewart e Robert Pattinson. Boyce nella pellicola è Tyler Crowley, il giovane al volante di un furgone che rischia di investire Bella (Kristen Stewart), salvata da Edward (Robert Pattinson) che svela così la sua natura [sta_anchor id=”john”]vampiresca[/sta_anchor].

Il 24 maggio la regista Cristina Pezzoli è morta a Pistoia, dove viveva e lavorava, e dove aveva diretto dal 2002 il Teatro Manzoni. Aveva 57 anni. Il primo spettacolo suo che io ricordi è «Come le foglie di Giacosa». Non mi aspettavo che Giacosa fosse così accogliente, non mi aspettavo una regia come quella: veniva prima o veniva dopo le regie di Valerio Binasco? Erano contemporanei ma il realismo, la cura dei dettagli, il colore erano solo suoi, di quella giovane regista sconosciuta. Cristina Pezzoli si era formata alla Paolo Grassi, poi divenendo aiuto registadi Massimo Castri e assistente di Nanni Garella. Ne ho seguito il lavoro soprattutto nella prima fase della carriera. Meravigliosa la regia de «La scuola delle mogli» di Molière; indimenticabile «L’annaspo» di Raffaele Orlando, che nessuno aveva avuto il coraggio di mettere in scena ed era lì, pubblicato da anni; commovente «L’ultimo nastro di Krapp» di Beckett. Me ne ha raccontato la genesi Sara Bertelà, con Isa Danieli e Bruna Rossi, tra le sue attrici preferite. Sergio Fantoni si sarebbe dovuto operare alle corde vocali. Lei gli chiese di registrare il testo. Poi, in teatro, si sarebbe ascoltata la sua voce di prima e quanto gli rimaneva di quella successiva all’operazione. Ma queste erano le doti di Cristina, la determinazione e la voglia di sperimentare. Dopo gli inizi si potrebbero distinguere tre fasi. Sempre alternando testi classici («Il principe travestito» di Marivaux o «Antigone» a Siracusa) e autori contemporanei (Tarantino, Letizia Russo), lavorò con la compagnia di Fantoni e con il Teatro Due di Parma; poi al Capannone di Prato: la si ricorda per i suoi lavori con i cinesi, un suo «Arle Chino: traditore traduttore di due padroni» arrivò fino in Cina; infine e in specie con attrici come Laura Curino, Veronica Pivetti e Angela Finocchiaro che, era il suo pensiero costante, voleva portare da sé stesse, dal loro teatro, al teatro di tutti, il teatro classico. Amaramente, rimpiango di non averla conosciuta.

John Peter Sloan

Il 26 maggio è morto all’improvviso John Peter Sloan, aveva 51 anni. La notizia è stata data su Facebook da due suoi colleghi. È morto a Menfi, dove viveva dal 2016 quando ha deciso di trasferirsi in Sicilia e di aprire la “Sloan scuola di inglese”, ovvero un vero e proprio luogo di apprendimento della lingua, che si rivolgerà ai bambini, agli adulti e ai docenti che voglio sviluppare al meglio l’apprendimento tra i propri allievi.vacanza in Sicilia regione alla quale era molto legato. Arrivato in Italia nel 1990, cantante, attore teatrale e scrittore di libri, è diventato uno dei volti più amati di Zelig. Le sue lezioni di inglese sono diventate un cult.

Richard Herd

Il 26 maggio l’attore statunitense Richard Herd, noto soprattutto agli appassionati di fantascienza per aver interpretato il Comandante Supremo John nella serie tv “Visitors”, apparso anche in numerosi episodi di “Star Trek” e tra i protagonisti della sitcom “Seinfeld”, è morto ieri nella sua casa di Los Angeles, per le complicazioni legate ad un tumore, all’età di 87 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla moglie, l’attrice Patricia Crowder Herd, a “The Hollywood Reporter”. Con i suoi lineamenti ben tratteggiati, Herd ha spesso interpretato uomini dal piglio autoritario durante la sua carriera durata un cinquantennio tra piccolo e grande schermo. Fece il suo debutto con un ruolo minore nel film “Ercole a New York” (1970), vetrina per il muscoloso Arnold Schwarzenegger. Sostituì l’attore Richard Long (morto prima dell’inizio delle riprese) nel ruolo del personaggio chiave dello scandalo Watergate, James McCord, ex agente della Cia e coordinatore per la sicurezza del Comitato per la Rielezione del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, nel film “Tutti gli uomini del presidente” (1976). E’ poi apparso in una manciata di film, tra cui spiccano i ruoli in “Sindrome cinese” (1979), “Il campo di cipolle (1979), “Soldato Giulia agli ordini” (1980), “L’affare del secolo” (1983), “Un biglietto in due” (1987) e “Sergente Bilko” (1996). Richard Herd ha dato il meglio di sé come caratterista in tv: memorabile il suo ruolo del Comandante Supremo John nella miniserie sci-fi “V- Visitors” (1983) e nel sequel dell’anno successivo. E sempre nel mondo della fantascienza ha vestito i panni di Klingon L’Kor in “Star Trek: The Next Generation” (1993), dell’Ammiraglio William Noyce in “SeaQuest 2032” (1993-94) e dell’Ammiraglio Owen Paris in “Star Trek: Voyager” (1999-2001) e “Star Trek: Renegades” (2015). Dal 1982 al 1985 Richard Herd ha interpretato il capitano di polizia Dennis Sheridan nella serie televisiva “T.J.Hooker”. L’attore ha recitato in numerosi episodi delle più popolari serie tv tra gli anni ’70 e ’80, tra cui “Il tenente Kojak”, “Agenzia Rockford”, “Le strade di San Francisco”, “Professione medico”, “La famiglia Bradford”, “Starsky & Hutch”. Herd è ricordato anche per aver vestito i panni di Mr. Wilhelm nella sitcom “Seinfeld” (1989-98). Richard Herd si è sposato tre volte: prima con l’attrice Amilda Cuddy dal 1954 al 1955; poi con Dolores Wozadlo, da cui ha avuto due figli: Richard Jr. e Erica; nel 1980 con l’attuale moglie l’attrice Patricia Ann Crowder.

ileana rigano

Il 31 maggio è morta a Viagrande, dove risiedeva da anni, l’attrice palermitana Ileana Rigano. È stata protagonista di tante opere teatrali di successo come «La Governante» o «Per favore non svegliate la signora», per arrivare dal 1974 in poi alla lunga collaborazione con il Teatro Stabile di Catania, lavorando a fianco di Turi Ferro e Ida Carrara ma anche di tanti altri celebri colleghi. Struggente nel ruolo di Maria per diversi anni nel Dramma Sacro di Vittoria. Di recente era stata una delle protagoniste nell’episodio “Una faccenda delicata” del Commissario Montalbano a fianco di Luca Zingaretti. Per il cinema nel 2019 è stata tra gli interpreti di “Picciridda – Con i piedi nella sabbia” tratto dal romanzo di Catena Fiorello dove ha interpretato la parte di Zia Pina. Ma la Rigano già nel lontano 1969 aveva recitato nel film di Mauro Bolognini ‘Un bellissimo novembrè e nel film della Wertmuller “Rita la zanzara”. Nel 2007 ha inoltre lavorato con Enzo Monteleone, Alexis Sweet per la realizzazione del film Il capo dei capi dove ha interpretato la parte di La madre di Biagio Schirò. Lascia il marito Roberto Jansen e due figli.

Rosa Maria Sardà

Il 13 giugno è morta nella sua amata Barcellona, stroncata da un cancro, l’attrice spagnola Rosa Maria Sardà. Avrebbe compiuto 79 anni il prossimo 30 luglio 1941. Nata a Barcellona, la Sardà, come era popolarmente nota, si era distinta sia come attrice drammatica, sia come attrice comica, ottenendo successi anche come regista teatrale. Dopo una formazione da autodidatta con un gruppo di teatro amatoriale nel quartiere Horta di Barcellona, la Sardà nel 1962 ha debuttato nel teatro professionale collaborando con diverse compagnie di successo. Nel 1975 l’esordio in tv dove aveva anche avviato una carriera di conduttrice e comica con diversi programmi. Due i Premi Goya, gli Oscar spagnoli, vinti al cinema come miglior attrice non protagonista nel 1994 per «Perché chiamarlo amore quando è solo sesso?» e nel 2002 per «Sin vergüenza». Tra i suoi film più importanti, anche «Tutto su mia madre», del 1999, pellicola in cui Sardà aveva recitato al fianco di Penelope Cruz. Diretta da Pedro Almodóvar , la pellicola vinto l’Oscar come miglior film straniero. La battaglia dell’attrice con la malattia era iniziata nel 2014, quando i medici le avevano diagnosticato un linfoma, contro cui ha combattuto, con tutte le forze, per molti anni. Proprio in una delle sue ultime interviste, Sardà aveva parlato della sua malattia, definendola «un match che non ti porta a vedere chi vince».

ian holm

Il 19 giugno è morto Ian Holm, l’attore inglese famoso per aver interpretato, tra le altre cose, Bilbo nella trilogia del Signore degli Anelli. Holm aveva 88 anni. Nato in Gran Bretagna, Holm ha frequentato la London’s Royal Academy of Dramatic Art, dove si è diplomato nel 1954. Debutta nello stesso anno a teatro con la Royal Shakespeare Company, che seguirà per oltre dieci anni. Durante questo periodo di recitazione teatrale, che lo porterà sui palcoscenici principali del Regno Unito e degli Stati Uniti, viene premiato con il Tony Award quale migliore attore protagonista. Nel 1970 abbandona il teatro, scegliendo la via del cinema e della televisione, dove spesso interpreterà figure storiche. Nel 1981 ha interpretato Sam Mussabini nel pluripremiato film Momenti di gloria, interpretazione grazie alla quale Holm fu candidato al premio Oscar nella categoria miglior attore non protagonista. Nel 1998 la regina Elisabetta II gli ha conferito il titolo di “Baronetto” per meriti artistici. Grande interprete di Shakespeare a teatro e noto per i ruoli cinematografici in film come Alien o Momenti di Gloria (che gli valse una candidatura agli Oscar), Holm era noto soprattutto per essere stato Bilbo Baggins nella saga del Signore degli Anelli. L’annuncio della scomparsa di Holm dell’attore è stato comunicato dal suo agente e ha suscitato immediato cordoglio nel mondo dell’arte e della cultura britannica, e non solo. Nato nel 1932 in Inghilterra da genitori scozzesi, debutta sulle scene teatrali di Londra a metà anni ’50 nella Royal Shakespeare Company, con cui resterà per oltre un decennio recitando nel Regno Unito, ma anche negli Stati Uniti e ottenendo riconoscimenti importanti quali il Tony Award come migliore attore protagonista o il Laurence Olivier Award. Impegnato dagli anni ’70 in televisione e nel cinema è stato l’androide Ash in Alien, padre Vito Cornelius nel Quinto Elemento, Chef Skinner in Ratatouille e il vecchio Bilbo Baggins nel Signore degli Anelli e in The Hobbit (dopo aver già dato la voce a Frodo diversi anni prima in una versione radiofonica del capolavoro di Tolkien prodotta dalla Bbc). Nel 1981 fu inoltre candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista per il ruolo dell’allenatore Sam Mussabini nel pluripremiato Momenti di Gloria. Decorato con l’ordine dell’ex Impero britannico dalla regina, poteva fregiarsi del titolo di sir dal 1998. Guarito da un cancro alla prostata nel 2001, Holm ha lavorato fino al 2014. Sposatosi 4 volte, lascia 5 figli avuti da tre mogli.

Il 23 giugno è morto all’età di 80 anni il celebre regista statunitense Joel Schumacher. L’uomo si è spento nella sua casa di New York dopo una lunga battaglia contro il cancro. A dare l’annuncio ufficiale della sua morte è stato il portavoce della famiglia, che si trovava al suo capezzale a New York. Nato a New York nell’agosto del 1929, Joel Schumacher comincia la sua lunga carriera come costumista televisivo e cinematografico. La sua grande passione per la sceneggiatura e per la macchina da presa lo portano ben presto a esordire come regista, nel 1981, con The Incredible Shrinking Woman, al quale fanno seguito altri importanti film di successo come St. Elmo’s Fire, Un giorno di ordinaria follia, con un giovanissimo Michael Douglas, The Lost Boys e Il cliente. È però negli anni ’90 che il genio di Joel Schumacher conquista la casa di produzione cinematografica Warner Bros, che gli affida i sequel di Batman, la saga del supereroe mascherato che fino ad allora era stata diretta dal grande Tim Burton. Schumacher firma così due grandi sequel: Batman Forever con Val Kilmer (1995) e Batman e Robin con George Clooney (1997). Quest’ultimo film però non ha il successo sperato e la Warner Bros decide di interrompere la produzione di altri sequel sull’eroe di Gotham City. Nel 2004 si occupa dell’adattamento di Il fantasma dell’Opera, al quale fanno seguito Number 23, Twelve, Trespass con Nicolas Cage e Nicole Kidman. Il suo ultimo film da regista è nel 2011 quando scopre di essere gravemente malato. L’ultima fatica registica di Joel Schumacher, prima di ritirarsi dalla scena, sono stati due episodi della prima stagione della serie House of Cards nel 2013. Dichiaratamente gay, nell’agosto del 2019 le sue confessioni sulla vita privata e i suoi uomini scioccarono l’opinione pubblica: “Il numero dei miei partner? Tra le migliaia a doppia cifra, diciamo tra 10 e 20mila”.

Il 27 giugno è morta l’attrice argentina Linda Cristal, la brunetta glamour-girl del cinema americano anni ’50 e ’60, bellezza esotica di indimenticabili film western e star della serie tv “Ai confini dell’Arizona”, è morta sabato scorso nella sua casa di Beverly Hills, nella contea di Los Angeles, all’età di 89 anni per cause naturali. L’annuncio della scomparsa è stato dato dal figlio Jordan Wesxler al “New York Times”. Era nata come Marta Victoria Moya Burges a Buenos Aires il 23 febbraio 1931 da padre francese e madre italiana, entrambi deceduti in un incidente automobilistico nella capitale argentina (dal quale solo lei, 13enne, si salvò miracolosamente), da molti considerato un doppio suicidio. Dopo una carriera sfolgorante si era ritirata dalle scene nel 1985. Linda Cristal inizia la carriera recitando in spettacoli itineranti, dove è scoperta dal regista messicano Miguelito Aleman che la fa esordire, senza accredito in “Cuando levanta la niebla” (1952). In quattro anni gira nove film, tutti di scarsa rilevanza, ma il suo modo di agire sulle scene è notato da emissari della Universal, i quali senza esitazioni la convincono a trasferirsi a Hollywood, dove firma un contratto con lo studios e debutta nel film “La saga dei Comanches” (1956) del regista George Sherman. Due anni dopo è già nota al pubblico americano per la recitazione offerta in “Una storia del West”, sempre diretto da Sherman, e nel 1959 si fa apprezzare ancor più nel noir “Il portoricano” di Paul Stanley. Nel frattempo “In licenza a Parigi” (1958) di Blake Edwards le permette di vincere il premio Golden Globe per la migliore attrice debuttante. Con permessi speciali Linda Cristal raggiunge l’Italia, ed è protagonista a Cinecittà in tre kolossal storico-mitologici, “Le legioni di Cleopatra” (1959, di Vittorio Cottafavi), “La donna dei faraoni” (1960, diretto dal russo Viktor Tourjansky) e, più tardi, in “Le verdi bandiere di Allah” (1963, di Giacomo Gentiluomo e Guido Zurli). Linda Cristal ha recitato nel western di grande successo “La battaglia di Alamo” (1960) di John Wayne e l’anno successivo è nel cast di un altro grande classico western, “Cavalcarono insieme” di John Ford. Negli anni ’60 Linda Cristal passa alla televisione: famoso il suo ruolo nelle 97 puntate della serie “Ai confini dell’Arizona” (1967-71), dove veste i panni della protagonista, Victoria Cannon. I Cannon vivono nel ranch The High Chaparral, e il capofamiglia, Big John, è sposato con la figlia dei Montoya, Victoria. I Montoya vivono invece nel Montoya Ranch, sotto l’egida di Don Sebastian, padre di Victoria. Questo ruolo le farà vincere il premio Golden Globe per la miglior attrice in una serie drammatica. In tv ha poi recitato in episodi dei telefilm “Bonanza”, “Sulle strade della California” e “Fantasilandia”. Sempre più sporadici saranno per Linda Cristal i ritorni al cinema, come testimoniano i film “Panico nella città” (1968) e, soprattutto, “A muso duro” (1974), al fianco di Charles Bronson. Nel 1985 torna in Argentina, protagonista della telenovela “Rossé”. Poi il definitivo addio alla professione artistica interrotto solo nel 1988 per una piccola parte per la serie tv “General Hospital”, dove aveva recitato nel 1963. Per oltre 30 anni Linda Cristal ha vissuto da pensionata di lusso nella sua residenza di Palm Springs, tornando spesso nella sua villa di Buenos Aires. L’attrice è stata amante dell’attore Adam West e di due uomini d’affari, Arthur Symington e Marshall Shellhardt. E’ stata sposata tre volte con due divorzi e un annullamento: primo matrimonio con Charles Collins (annullato), poi con l’industriale Robert W. Champion, infine con Yale Wexler (si era separata nel 1966), da cui ha avuto due figli, Gregory e Jordan. Linda Cristal parlava correttamente spagnolo, italiano, francese e inglese, come recita la sua biografia ufficiale.

Carl Reiner

Il 30 giugno Carl Reiner, l’attore comico, sceneggiatore, produttore televisivo, regista, commediografo e scrittore originario del Bronx a New York, è morto a 98 anni nella sua casa di Beverly Hills per cause naturali. Carl Reiner, padre dell’attore Rob Reiner, era nato il 20 marzo 1922 e ha vinto nove Emmy (un record) in circa 70 anni di carriera. Il suo maggior successo è stato il «The Dick Van Dyke Show», la sitcom in 158 episodi trasmessi per la prima volta nel corso di cinque stagioni dal 1961 al 1966. «The Dick Van Dyke Show» è incentrata sulle vicende di Rob Petrie, sceneggiatore di uno show televisivo prodotto a Manhattan. Reiner è stato sposato con Estelle Lebold Reiner, cantante e attrice che ha recitato anche con Meg Ryan in Harry, ti presento Sally… (1989) in una delle scene più famose del film e della storia del cinema, ovvero quando la protagonista simula l’orgasmo al ristorante e lei chiede al cameriere «quello che ha preso la signorina». Negli anni Sessanta Carl Reiner conobbe anche Mel Brooks: ne nacque una lunga amicizia sfociata anche in una commedia fatta di sketch di The 2000 Year Old Man. «The Dick Van Dyke Show» era incentrata sulle vicende, perlopiù domestiche, di Rob Petrie, sceneggiatore di uno show televisivo prodotto a Manhattan. Interpretata proprio da Dick Van Dyke, Mary Tyler Moore e il piccolo Larry Mathews rischiò di non essere rinnovata dopo la prima stagione ma poi riscosse un notevole successo.

Il 6 luglio è morto Nick Cordero, la star di Broadway che da mesi lottava contro il Covid. Era ricoverato in terapia intensiva presso il Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles da 95 giorni, avevano anche tentato in extremis di salvargli la vita amputandogli una gamba, ma l’attore è morto ieri a soli 41 anni.

Sebastian Athie

Il 7 luglio è morto Sebastian Athie , attore 24enne della serie «Soy Luna» e «Once». Il giorno prima della sua morte, l’interprete di Lorenzo Guevara nella serie «Once» aveva partecipato a un incontro di Zoom con i suoi fan. Esattamente un anno fa il canale televisivo era stato colpito da un altro lutto. Il 6 luglio 2019 infatti era scomparso Cameron Boyce, attore 20enne della serie Jessie , scomparso a seguito di gravi attacchi di epilessia.

Kelly Preston

Il 12 luglio è morta Kelly Preston, che ha perso la sua battaglia contro il cancro a 57 anni. Ad annunciare la scomparsa dell’attrice e della sua “bellissima moglie Kelly” è stato. Questa non è la prima tragedia che colpisce la famiglia Travolta: nel 2009, il primogenito della coppia, Jett che era autistico, è morto a soli 16 anni a causa un attacco epilettico mentre erano in vacanza alle Bahamas. Nata a Honolulu, Hawaii, il 13 ottobre del 1962, Kelly Preston ha iniziato a lavorare come modella già all’età di 16 anni e ha preso parte a diverse produzioni televisive e cinematografiche. Ha studiato teatro all’Università della California del Sud ed era diventata famosa con il suo ruolo nella commedia “Twins” nel 1988, al fianco di Arnold Schwarzenegger e Danny DeVito. È apparsa in molti film e serie tv durante la sua carriera. Nella commedia romantica “Jerry Maguire” (1996), in cui recitavano anche Tom Cruise e Renee Zellweger, ha prestato il volto all’ex fidanzata del personaggio principale. È apparsa anche in alcuni video musicali, come quello di “She Will Be Loved” dei Maroon 5. Sposata con l’attore Kevin Gage dal 1986 al 1988, si è legata per un anno al collega Charlie Sheen fino ad arrivare al 1991, quando è convolata a nozze con John Travolta. La coppia ha avuto tre figli: Jett, Ella Bleu e Benjamin. Il primogenito è morto all’età di 16 anni in seguito a un attacco epilettico. Come il marito, Kelly Preston era adepta di Scientology ed entrambi hanno preso parte al film “Battaglia per la Terra” basato su una storia del fondatore della setta. Il film le è valso il premio alla “peggior attrice” ai Razzie Awards.

naya rivera

Il 13 luglio è stato ritrovato privo di vita il corpo dell’attrice Naya Rivera, tra i protagonisti della serie Tv Glee. L’attrice 33enne era dispersa da mercoledì scorso, quando non era tornata a bordo della barca su cui è stato ritrovato illeso il figlio di 4 anni. Lo sceriffo della contea di Ventura, Ayub, ha reso noto che nessun elemento fa pensare al suicidio o ad un crimine. Prosegue dunque la maledizione della serie Tv, qui tutti i precedenti.

olivia de havilland

Il 26 luglio Olivia de Havilland è morta a a Parigi a 104 anni (aveva compiuto gli anni il primo luglio). L’attrice, star di Via col vento nel ruolo di Melania, nella sua lunghissima carriera aveva vinto due Oscar. Ma quel film kolossal che la rese popolarissima, proprio di recente è finito al centro delle polemiche per i contenuti razzisti, al punto che Hbo Max lo ha rimosso temporaneamente. Elegante, bellezza delicata, de Havilland venne scritturata dalla Warner Bros. per sette anni (quando non aveva ancora venti anni) e fu protagonista di una lunga e serie di film d’avventura – tra cui Capitan Blood (1935), La carica dei seicento (1936), La leggenda di Robin Hood (1938), Gli avventurieri (1939), I pascoli dell’odio (1940), La storia del generale Custer (1941) – ben otto dei quali al fianco del divo Errol Flynn. A Hollywood fiorirono le voci sui flirt con James Stewart, col miliardario e produttore Howard Hughes, col regista John Huston, con Clark Gable. La grande popolarità arriva col ruolo di Melania Hamilton in Via col vento, ma quella di Olivia de Havilland – nata a Tokyo dove il padre lavorava come avvocato – è una storia da romanzo per la rivalità con la sorella Joan (più piccola di quindici mesi), che scelse il nome d’arte di Fontaine. Fin dall’infanzia e per tutta la vita ebbero rapporti difficili e furono rivali. Nel 1942 Joan Fontaine la spuntò sulla sorella maggiore nella conquista dell’Oscar come miglior attrice protagonista, al quale quell’anno erano entrambe candidate: vinse per Il sospetto di Hitchcock, mentre Olivia de Havilland era in corsa per La porta d’oro di Mitchell Leisen. Tra i suoi film Lo specchio scuro, La fossa dei serpenti (in cui aveva il ruolo di una donna vittima di un crollo psichico), miglior interpretazione femminile alla Mostra di Venezia del 1949; Nessuno resta solo di Stanley Kramer (1955); Luce nella piazza di Guy Green (1962), Piano… piano, dolce Carlotta di Robert Aldrich (1964), in cui recita l’amica Bette Davis. Tra le ultime apparizioni il catastrofico Airport 77 (1977) accanto a Jack Lemmon. Nel 1987 aveva lavorato per la televisione, aggiudicandosi un Golden Globe per Anastasia: The mystery of Anna sulla storia dei Romanov. Si era aggiudicata la statuetta nel 1947 per A ciascuno il suo destino e nel 1950 con L’ereditiera, adattamento dal romanzo di Henry James diretto da William Wyler. Nel 2017 la regina Elisabetta, in occasione del suo 101° compleanno. le aveva conferito l’onorificenza di Dama dell’Impero Britannico. Nel 2010 la Francia le aveva reso omaggio con l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Legion d’Onore. Si era trasferita a Parigi nel 1955 e aveva sposato il giornalista e scrittore francese Pierre Galante, da cui avrebbe divorziato nel 1979 (dal 1946 al 1953 era stata sposata con lo scrittore e attore statunitense Marcus Goodrich). Nel 1962 pubblicò l’autobiografia Every Frenchman has one (Random House), in cui ironizzava sulle difficoltà di adattarsi alla vita, alle buone maniere e ai costumi francesi.

John Saxon

Il 27 luglio è morto John Saxon, protagonista di film horror e western. L’attore aveva 83 anni ed è stato stroncato da una polmonite a Murfreesboro, in Tennessee. Nella sua lunga carriera ha partecipato a quasi 200 fra film e show tv. Saxon ha vinto un Golden Globe nel 1958 per il suo ruolo nel film ‘La tentazione del signor Smith’. E’ anche stato il poliziotto in “Nightmare” che aveva come protagonista Freddy Krueger. Saxon era nato il 5 agosto del 1936 a Brooklyn, New York, e il suo vero nome era Carmine Orrico. Suo padre era un immigrato italiano. “Brooklyn era un posto difficile in cui crescere, ma insegnava la sopravvivenza e, se eri ambizioso, ti insegnava anche a volere cose migliori” disse Saxon raccontando la sua giovinezza. Nella sua lunga carriera ha partecipato a quasi 200 fra film e show televisivi dopo il suo debutto nel 1954. Attore spesso sottovalutato, seppe però togliersi alcune grandi soddisfazioni come ottenere la nomination per il Golden Globe recitando la parte del bandito messicano avversario di Marlon Brando in “The Apploosa” (1966) e vincere un Golden Globe nel 1958 come attore debuttante per il suo ruolo nel film ‘La tentazione del signor Smith’. E’ anche stato il poliziotto Donald Thompson in ‘Nightmare – Dal profondo della notte’, che aveva come protagonista Freddy Krueger, famoso serial killer horror. Appassionato fin da bambino alle arti marziali, Saxon ha iniziato studiarle quando è arrivato a Hollywood. “Da giovane era appassionato di un film di guerra in cui un soldato americano incontrava un piccolo soldato giapponese. E quando il giapponese aveva teso la sua piccola mano al ben più massiccio americano in pochi secondo lo aveva capovolto e buttato a terra”, ricorda la moglie. Saxon è stato anche uno dei personaggi della popolare serie tv Dinasty, interpretando il tycoon medio orientale che flirtava con Joan Collins. Nel 1973 affiancò Bruce Lee nel suo primo film americano “I tre dell’operazione Drago” nel ruolo di Roper. In Italia ha recitato in film come “Napoli violenta” di Umberto Lenzi (1976) e in “Tenebre” di Dario Argento (1982) ed è stato diretto anche da Mario Bava.

gianrico tedeschi

Il 27 luglio è morto nella sua casa di Pettenasco (Novara), Gianrico Tedeschi, decano del teatro italiano. Aveva compiuto 100 anni lo scorso 20 aprile. Nato a Milano nel 1920, nella sua lunghissima carriera – iniziata in un campo di prigionia dove era stato portato perché si era rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò – Tedeschi ha lavorato con i più grandi registi, da Luchino Visconti a Giorgio Strehler a Luca Ronconi, ma è stato anche volto del varietà e della pubblicità in tv con Carosello.

alan parker

Il 31 luglio è morto a 76 anni il regista britannico Alan Parker, autore di film come “Fuga di mezzanotte”, “Mississippi Burning”, “Saranno famosi”, “The Commitments” ed “Evita”. Lo ha annunciato il British Film Institute, spiegando che il cineasta si è spento dopo una “lunga malattia”. Quel del regista nato ad Islington il 14 febbraio del 1944, è stata una carriera mirata, fatti di non molti titoli, solo 14 film nell’arco di poco meno di trent’anni, ma tutti, o quasi, che hanno lasciato il segno diventato titoli di grande successo o piccoli cult. Entrato nel mondo del cinema dopo aver lavorato come creatore di spot e filmati commerciali, Parker esordisce nel 1976 con “Piccoli gangster”, una commedia musicale con Scott Baio e Jodie Foster, che viene presentata in concorso al Festival di Cannes. Solo due anni più tardi è la volta di “Fuga di mezzanotte”, che lo catapulta tra i grandi della sua generazione. Il dramma dello studente britannico che si trova carcerato in Turchia, ispirato a una storia vera e sceneggiato da Oliver Stone, viene presentato in concorso a Cannes e ottiene sei nomination all’Oscar, vincendone due. Nel 1980 gira “Saranno famosi”, che diventa un successo tale da ispirare una serie tv tra le più celebri di sempre e un musical. Anche in questo caso il film vince due Oscar. Nel 1981 dà corpo all’opera dei Pink Floyd “The Wall”, con Bob Geldof protagonista, mentre tre anni più tardi torna ai temi civili con “Birdy – Le ali della libertà”, che vince il Grand Prix della giuria a Cannes. “Angel Heart – Ascensore per l’inferno” è un salto nel thriller con venature horror di grande successo, con uno splendido e mefistofelico Robert De Niro e un Mickey Rourke all’ìapice della sua carriera. Nel 1988 è la volta di un film duro sul tema del razzismo, anche questo ispirato a una serie di fatti realmente accaduti, negli anni 60:: “Mississippi Burning – Alle radici dell’odio”, con Gene Hackman e Willem Defoe. Gli anni 90 per lui si aprono con il ritorno in concorso a Cannes con il dramma “Benvenuti in paradiso”, e con il grande successo commerciale del musical ambientato in Irlanda “The Commitments”. Seguono la commedia storica “Morti di salute” ed “Evita”, dove adatta il musical di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice sulla protagonista Madonna. Le sue ultime due opere, tra la fine degli anni 90 e l’inizio dei 2000 lo riportano a temi sociali e civili. “Le ceneri di Angela” è tratto dal romanzo autobiografico omonimo di Frank McCourt, e rispecchia in maniera estremamente drammatica e realistica le condizioni di privazione e sofferenza di molte famiglie irlandesi negli 30, mentre “The Life of David Gale”, con protagonista Nicolas Cage, è una riflessione sulla pena di morte e sull’attivismo politico.

Wilford Brimley

Il primo agosto l’attore statunitense Wilford Brimley, noto per i ruoli da burbero e soprattutto per i suoi caratteristici mustacchi, i vistosi baffi da tricheco, sfoggiati in film come “La cosa” e “Cocoon”, che lo avevano reso amabile agli occhi degli spettatori, è morto all’età di 85 anni. Come ha annunciato la sua manager Lynda Bensky a “The Hollywood Reporter”, Brimley era da tempo in dialisi e da alcune settimane si trovava in terapia intensiva nell’ospedale di St. George, nello stato dello Utah. Dal 2004 viveva in un ranch a Greybull, nello stato del Wyoming Nato a Salt Lake City, capitale dello stato dell’Utah, il 27 settembre 1934, Brimley iniziò ventenne a lavorare nei rodei come cowboy, poi fece il maniscalco e quindi la guardia del corpo per il produttore cinematografico Howard Hughes. Dopo aver cominciato a ferrare i cavalli per film e spettacoli televisivi, cominciò a lavorare in film western come stuntman su richiesta del suo amico attore e regista Robert Duvall. Uno dei primi ruoli cinematografici di Brimley fu nel film “Sindrome cinese” (1979), dove recitò nei panni di un confidente di Jack Lemmon. E’ poi apparso in “Brubaker” (1980), “L’uomo del confine” (1980), “Diritto di cronaca” (1981) di Sydney Pollack (1981). L’attore con i baffoni divenne famoso per interpretazioni in film come “La cosa” (1982) di John Carpenter, “Dieci minuti a mezzanotte” (1983), “Hotel New Hampshire” (1984), “Cocoon – L’energia dell’universo” (1985), diretto da Ron Howard, e nel sequel “Cocoon – Il ritorno” (1988) di Daniel Petrie, ed “Il socio” (1993) di Pollack. Spesso interprete di uomini burberi e anziani, in tv ha recitato nelle serie “Una famiglia americana” (1974-1977) e “Vita col nonno” (1986-1988). Aveva sposato l’attrice Lynne Bagley, morta nel 2000 per una malattia renale, da cui ha avuto quattro figli (Bill, Jim, John e Lawrence Dean, quest’ultimo deceduto). Nel 2007 si era risposato con Beverly Berry.

marco malapelle

Il 7 agosto è morto Marco Malapelle, 33 anni. Dopo aver iniziato come modello, aveva lavorato in Un posto al sole, ne L’Amica Geniale e in diverse fiction Rai. Marco, conosciuto al Rione Sanità come «o’ gemello» per via del fratello gemello Carmine, lavorava nel comparto delle riprese video cinematografiche come macchinista. Poco tempo fa gli era stato diagnosticato un tumore che, purtroppo, non è riuscito a curare.

franca valeri

Il 9 agosto è morta Franca Valeri. L’attrice, nata a Milano nel 1920, aveva appena compiuto 100 anni lo scorso 31 luglio. Entrata al Piccolo Teatro, diventata amica di Grassi e Strehler, è stata lanciata dal Teatro dei Gobbi. Al cinema ha recitato con tanti grandi, tra cui Totò, Vittorio De Sica e Peppino De [sta_anchor id=”boseman”]Filippo[/sta_anchor].

Chadwick Boseman

Il 29 agosto l’attore americano Chadwick Boseman, protagonista del successo planetario dei Marvel Studios “Black Panther”, è morto all’età di 43 anni, dopo una battaglia di quattro anni contro un cancro al colon. Lo ha annunciato il suo agente. “Interpretare il re T’Challa in Black Panther è stato il grande onore della sua carriera”, ha detto la famiglia in una dichiarazione pubblicata sui profili social di Boseman. “È morto a casa, circondato da sua moglie e dalla sua famiglia”, ha aggiunto il testo.Gli era stato diagnosticato un cancro al colon nel 2016, ma Boseman non aveva mai parlato pubblicamente delle sue condizioni di salute e aveva continuato a girare sui set dei principali film di Hollywood mentre era sottoposto a “innumerevoli operazioni e cicli di chemioterapia”, ha aggiunto la sua famiglia. “Era un vero combattente. Chadwick ha tenuto duro in tutto questo”, hanno aggiunto i familiari nella dichiarazione. Con Black Panther – uscito nel 2018 – Boseman era diventato il primo supereroe nero a cui era stato interamente dedicato un film del franchise Marvel.Diretto da Ryan Coogler, Black Panther aveva messo insieme, oltre a Boseman, un cast di attori neri tra i più apprezzati di Hollywood (il premio Oscar Lupita Nyong’o, Angela Bassett, Forest Whitaker, Daniel Kaluuya) oltre a beneficiare di un enorme budget di produzione e promozione. Adattato dalle avventure del primo supereroe nero creato dalla Marvel Comics nel 1966, il film racconta la lotta guidata da Re T’Challa per difendere la sua nazione di Wakanda, la più avanzata dell’universo Marvel. Candidato all’Oscar come miglior film – la prima volta per un adattamento a fumetti – e acclamato dalla critica, Black Panther ha generato oltre 1 miliardo di dollari di incassi al botteghino. Questo film è stato celebrato negli Stati Uniti come un importante momento culturale per ribaltare gli stereotipi, raffigurando un prospero Paese africano che accoglie i rifugiati ed estende la sua tecnologia alle nazioni più povere.Prima di questo ruolo, il più importante della sua carriera, Chadwick Boseman aveva interpretato la leggenda del baseball Jackie Robinson in “42 – La vera storia di una leggenda americana” di Brian Helgeland, il più grande successo nella storia di Hollywood per un film di baseball. È stato anche elogiato per la sua interpretazione del cantante James Brown in “Get on Up” di Tate Taylor nel 2014. Più recentemente, era apparso in “Da 5 Bloods – Come fratelli” di Spike Lee.

sei ashina

Il 15 settembre l’attrice giapponese Sei Ashina, protagonista del film “Seta” scritto da Alessandro Baricco e diretto dal francese Francois Girard, è stata trovata morta nel suo appartamento di Tokyo, in quello che i media locali descrivono come un “apparente suicidio”. La star aveva 36 anni. Secondo quanto riferito dalla stampa nipponica, il suo corpo ormai senza vita è stato scoperto da un parente, allarmato dal fatto che non rispondesse al telefono. A quanto riferito, aveva una corda al collo e il dipartimento di polizia metropolitana di Tokyo ritiene che si sia suicidata, sebbene non sia stato trovato alcun biglietto, né fosse noto alcun problema personale. Nata a Koriyama, citta’ della prefettura di Fukushima, il 22 novembre 1983, Ashina aveva iniziato la sua carriera come modella per poi intraprendere la strada della televisione e del cinema, dove ha recitato in varie serie e realizzato anche numerosi doppiaggi. Ma a consacrarla a livello internazionale era stato proprio il film tratto dal libro di Baricco, adattato per il cinema dallo stesso scrittore, girato nel 2007 e presentato in anteprima in Giappone nel 2008.

Enrique Irazoqui

Il 16 settembre è morto in un ospedale di Barcellona, Enrique Irazoqui. Attivista politico e intellettuale, celebre per aver interpretato il ruolo di Gesù nel ‘Vangelo secondo Matteo’ (1964), capolavoro di Pier Paolo Pasolini, aveva 76 anni. Nato nel 1944 da una famiglia borghese, fu sin da giovane militante comunista e antifranchista. Su mandato del sindacato universitario clandestino di Barcellona, arrivò in Italia per convincere i massimi esponenti della cultura italiani a tenere conferenze nelle università spagnole contro la dittatura. In questa occasione conobbe, tra gli altri, Pier Paolo Pasolini che, folgorato dal suo volto, gli offrì il ruolo di Gesù ne Il Vangelo secondo Matteo, affascinato anche dal contrasto con la sua ideologia. Irazoqui devolse la paga alla causa del movimento clandestino antifranchista. Rientrato in Spagna, venne punito dal regime franchista per aver partecipato alla realizzazione di un film ritenuto di propaganda comunista. Laureato in Economia a Parigi, iniziò a lavorare a capo di un’azienda, lasciando il posto dopo cinque mesi per contrasti ideologici. Negli Stati Uniti si laureò in Letteratura spagnola, diventando successivamente docente. Irazoqui fu anche un campione di scacchi.

Juliette Greco

Il 23 settembre l’icona della canzone francese, Juliette Gréco, è morta all’età di 93 anni, Nata a Montpellier il 7 febbraio 1927, a 16 anni partecipò alla resistenza francese contro gli occupanti nazisti. In realtà la giovane Juliette voleva fare l’attrice, non la cantante. Prese lezioni d’arte drammatica e mosse i primi passi sul palcoscenico della Comédie-Française nell’opera dove il regista Jean-Louis Barrault mise in scena “Le Soulier de Satin” di Paul Claudel. Tra teatro, cinema e grandi serate con poeti, artisti, attori e registi Juliette divenne ben presto protagonista delle notti parigine di Saint-Germain-des-Prés e del Tabou, il club privato dove si riunivano gli esistenzialisti di cui divenne la regina. Qui la chiamarono “la toutoune” (il cagnolino buono) e il suo trucco agli occhi, corposo e abbondante, il suo maglione e i pantaloni neri, crearono una moda negli anni ’50 che valicò i confini francesi. Era il mese di luglio del 1950 quando il filosofo, cedendo alle sue sollecitazioni, prese un solenne impegno con la futura cantante. E poco dopo a Juliette arrivarono davvero due canzoni firmate dal padre dell’Esistenzialismo. Si intitolano “Ne faites pas suer le marin” e “La perle de Paissy”, ma la cantante non le interpreterà mai. Se i versi di Sartre non verranno incisi, altri illustri personaggi le regaleranno canzoni preziose per i suoi concerti. Hanno nomi importanti come quelli di Jacques Prévert, Raymond Queneau, Boris Vian, Jacques Brel, George Brassens, Serge Gainsbourg, Charles Aznavour, Leo Ferré. Quando ormai è un mito, Charles Aznavour le regalerà “Je hais les dimanches”, un brano rifiutato da Edith Piaf. A metà degli anni Cinquanta Juliette Gréco era ormai tra i protagonisti assoluti della scena musicale. Nel 1954 prese sotto la propria ala protettrice un cantautore destinato a grande successo, Jacques Brel e fu la prima a portare sul palcoscenico le sue complesse canzoni. Il suo successo fece emergere gli autori fino a quel momento rimasti confinati a Saint-Germain-des-Prés. Nel suo repertorio entrarono le canzoni di Georges Brassens, Charles Trent e Léo Ferré.

sean connery

Il 31 ottobre è morto Sean Connery, aveva 90 anni. Attore scozzese, celebre soprattutto per avere portato per primo sul grande schermo il personaggio di James Bond e averlo interpretato in sette film della saga. Nato in un sobborgo di Edimburgo il 25 agosto 1930 dopo essere stato congedato dalla Marina per problemi medici si affaccia nel mondo dello spettacolo e sul finire degli anni 50 al cinema. Nel 1962 la svolta si chiama James Bond personaggio iconico tratto dai romanzi di Ian Fleming che si prestava perfettamente alle caratteristiche fisiche e recitative di Connery. Per sette volte la spia più famosa del mondo portò il volto dell’attore scozzese poi la decisione di sciogliere il legame con il servizio segreto di sua Maestà per non essere legato indissolubilmente al quel personaggio. Fu una scelta vincente. Al di là di James Bond, Connery nella sua carriera ha vinto un Oscar nel 1988 per “The Untouchables – Gli Intoccabili”, due premi Bafta e tre Golden Globe. Nel corso della sua lunga e proficua carriera ha interpreto innumerevoli ruoli spaziando in tutti gli ambiti del cinema e offrendo ai registi e agli spettatori la garanzia di una spettacolo sempre all’altezza del nome. Oltre che per il ruolo di 007, infatti, Connery è passato alla storia della settima arte anche per aver portato sul grande schermo il padre di Indiana Jones al fianco di Harrison Ford, ma anche il francescano Guglielmo da Baskerville protagonista della trasposizione cinematografica del Nome della Rosa di Umberto Eco, senza contare il comandante Marko Ramius in Caccia ad Ottobre rosso, oppure Juan Sánchez Villa-Lobos Ramírez che rivela il segreto dell’immortalità a Christopher Lambert in Highlander è stato anche prima Robn Hood in Robin and Marian nel 1976 e poi Riccardo I d’Inghilterra nel Robin Hood del 1991 al fianco di Kevin Costner. E la lista sarebbe infinita, l’ultima sua presenza al cinema nel 2003, dopo aver interpretato Allan Quatermain in La leggenda degli uomini straordinari. È stato nominato sir dalla regina Elisabetta II all’Holyrood Palace nel 2000.

Gigi Proietti

Il 2 novembre è morto Gigi Proietti, da diversi giorni ricoverato in clinica perché non si sentiva molto bene e stava facendo degli accertamenti per uno stato di affaticamento. Le sue condizioni si sono aggravate nel tardo pomeriggio di domenica, in seguito a uno scompenso cardiaco. Alle 5.30, nel giorno del suo 80esimo compleanno, Proietti è morto. La causa non sarebbe il Covid, ma problemi cardiaci. La famiglia, fino all’ultimo, ha voluto mantenere il massimo riserbo riguardo alle sue condizioni di salute. n vero mattatore, che passa dalla musica (fa il verso a Louis Armstrong, diverte con Nun me rompe er ca’ ispirandosi agli chansonnier) alle celebri macchiette di Petrolini, per arrivare a Shakespeare. I primi successi dell’attore romano arrivano in una cantina in Prati in cui recita Brecht e poi con lo Stabile dell’Aquila diretto da Antonio Calenda, che lo guida in testi di Gombrowicz e di Moravia. Artista geniale, istrionico, poliedrico, Gigi Poietti ha trascorso gran parte della sua vita sui palcoscenici di tutta Italia. Attore sopraffino, regista e cantante, ha attraversato decenni di teatro, cinema e tv, e ha prestato la voce a star come De Niro, Hoffman e Stallone. Ha iniziato a calcare le scene dagli anni 60, poi ha lavorato in diversi film, da ‘Febbre da cavallo’ a ‘Tosca’. Il successo in teatro e al cinema era stato confermato in tv con la serie ‘Il maresciallo Rocca’. Nel 2002 il ritorno sul grande schermo con il sequel ‘Febbre da cavallo – La mandrakata’, diretto da Carlo Vanzina e di recente era stato Mangiafuoco nel ‘Pinocchio’ di Matteo Garrone.

valentina pedicini

Il 20 novembre è morta Valentina Pedicini. Regista 42 enne, da tempo malata di cancro. Poco conosciuta forse al grande pubblico, ma voce tra le più interessanti nel panorama cinematografico italiano. Nonché, una delle pochissime autrici in un mondo dove la creatività si declina, esclusivamente quanto inspiegabilmente, al maschile. Documentarista dal tratto fortemente realista e regista dalla poetica che mi piace definire silenziosa, capace di scavare a fondo tra le pieghe dell’intimità soggettiva ed esistenziale, senza farsi confessione ma severo atto politico, Valentina Pedicini ci ha regalato pellicole che meritano di essere menzionate tra le più significative di questi anni.  Ricordiamo “Dal Profondo“, documento che scende nel  entre buio della terra per raccontarci la storia dell’unica minatrice italiana nelle profonde cavità del Sulcis, dei pregiudizi maschili e della lotta contro di essi condotta dalla protagonista. Oppure, “Dove cadono le ombre“, allucinante racconto di un progetto di eugenetica nazista portato avanti, nella cosiddetta civilissima e liberalissima Svizzera, contro la comunità Jenisch, i cui appartenenti sono stati oggetto e vittime di internamento, sterilizzazione, elettroshock e rieducazione, perché considerati etnia inferiore e dedita all’alcol e alla promiscuità. Con particolare predilezione, ca va sans dire, per il genere femminile.

daria nicolodi

Il 26 novembre è morta all’età di 70 anni l’attrice e sceneggiatrice Daria Nicolodi. A dare la notizia della scomparsa è stato il regista Dario Argento che con lei aveva avuto un legame sia professionale che sentimentale. Protagonista, tra gli altri film, di “Profondo rosso” e “Inferno” e sceneggiatrice di “Suspiria”, la Nicolodi era la mamma di Asia Argento.

David Prowse

Il 29 novembre è morto David Prowse, noto per aver interpretato Darth Vader nella trilogia originale di Star Wars, all’età di 85 anni. La morte dell’attore nato a Bristol è stata annunciata questa mattina su Twitter dalla sua agenzia. Prowse, che ha messo il suo corpo, ma non la sua voce, a Darth Vader, era anche ampiamente conosciuto nel Regno Unito per una campagna di sensibilizzazione stradale che insegnava ai bambini ad attraversare la strada e per la quale nel 2000 ha ricevuto l’Ordine dell’Impero Britannico. Dopo il suo ruolo in Star Wars, è rimasto lontano dal cinema, ma in precedenza ha avuto altri ruoli in film come Arancia meccanica e ha interpretato Frankenstein in tre occasioni.

franco giraldi

Il 3 dicembre è morto Franco Giraldi. Aveva 89 anni. Era ospite di una casa di riposo per anziani ed ufficialmente è deceduto in seguito alle complicazioni per Covid-19. Regista gentile, uomo di grande cultura, esordiente dietro la macchina da presa e subito al successo casuale grazie agli western, intellettuale triestino impregnato di quel magma culturale e storico tra Carso e Istria come gli amici, e in parte colleghi, Tullio Kezich, Claudio Magris, Callisto Cosulich. Fu proprio quest’ultimo sul finire degli anni ’40, quando Giraldi era ancora un liceale, a cedergli la direzione di un sofisticato circolo di cinema di Trieste. Sempre Cosulich lo aiutò quando Giraldi si trasferì a Roma a 21 anni nel conoscere l’ambiente della critica cinematografica, del giornalismo e infine della produzione di film. Dapprima Giraldi entrò all’Unità, grazie al regista Elio Petri, poi dopo diverse interviste a star del cinema italiano, finì ad essere il regista della seconda unità di Per un pugno di dollari su cui, come molti ricorderanno, nessuno avrebbe mai scommesso una lira, ma che diventò uno dei più grandi successi di tutti i tempi. Così come Sergio Leone si era spacciato da americano con il nome d0arte Bob Robertson, anche Giraldi si fece chiamare Frank Garfield, in onore dell’amato John Garfield, ma un errore degli stampatori delle locandine lo fece diventare Frank Grafield. Nel 1966 dopo l’addio di Leone alla Jolly film, Giraldi come Grafield accetta la regia di 7 pistole per i MacGregor, spaghetti western all’ennesima potenza che sfonda al botteghino e richiede a Giraldi sempre nello stesso anno Sugar Colt, poi nel ’67 altri due spaghetti western: 7 donne per i MacGregor e Un minuto per pregare, un minuto per morire. Nel 1968 dirigerà una commedia con Ugo Tognazzi – La bambolona – e con l’attore cremonese proseguirà un sodalizio fino al 1971 con Cuori solitari e La supertestimone. Nel 1972 dirige Gigi Proietti e Monica Vitti ne Gli ordini sono ordini tratto da Moravia. Successivamente trarrà spunto da diversi autori dell’area triestina come Giani Stuparich per la regia di uno sceneggiato Rai nematicamente importante, Un anno di scuola (1977) dove si racconta la storia della prima ragazza che entra far parte di una classe maschile di un liceo classico di Trieste nel 1929. Vicino al Partito Comunista Italiano, firmerà assieme ai colleghi dell’area comunista (Bertolucci, Lizzani, Pontecorvo, Scola, tra gli altri) due documentari cult per la sinistra italiana: La morte di Enrico Berlinguer (1984) e Un altro mondo è possibile su Genova 2001.

Warren Berlinger

Il 5 dicembre è morto Warren Berlinger, attore di Happy Days che sul set conobbe il suo grande amore. Il mondo dello spettacolo piange la morte dell’attore statunitense, scomparso dopo essere stato ricoverato presso l’Henry Mayo Newhall Hospital di Valencia, in California. Berlinger aveva 83 anni ed è stato uno dei volti più amati non solo di Happy Days, ma anche di tanti altri film di successo come La corsa più pazza d’America, Eroe per caso e Il lungo addio. Ad annunciare la scomparsa di Warren è stata la figlia Elizabeth con un comunicato su The Hollywood Reporter. Berlinger aveva esordito da giovanissimo, recitando sul palco di Broadway dove aveva conosciuto Betty Lou Keim, sua futura moglie e grande amore della sua vita. Nel 1956 aveva iniziato a recitare sul grande schermo, debuttando in Gioventù ribelle e Innamorati in blue jeans. Poco dopo era approdato nelle serie tv, recitando anche in pellicole cult come Voglio sposarle tutte con Elvis Presley, Tutti pazzi in coperta e Billie. Fra le sue interpretazioni più famose, oltre a quella in Happy Days nei panni del sergente Betchler, c’è senza dubbio quella ne Il lungo addio e Il mondo secondo Garp. Era il 1974 quando sugli schermi andò in onda la prima puntata di Happy Days. Nessuno poteva immaginare che la serie tv con protagonista Fonzie e la famiglia Cunningham sarebbe presto diventata un cult, amata da generazioni di telespettatori. Nel corso degli anni molte cose sono cambiate, le carriere dei membri del cast sono andate avanti, ma tutti sono rimasti legati a Happy Days.

Jutta Lampe

Il 5 dicembre è morta a 82 anni l’attrice tedesca Jutta Lampe. Interprete anche cinematografica – è stata la giornalista Jule al centro, insieme all’amica Marianne, di Anni di piombo di Margarethe Von Trotta (1981) – Lampe si è formata come attrice ad Amburgo con Eduard Marks e ha fatto il suo esordio nei teatri di Wiesbaden e Mannheim, per poi trasferirsi a Berlino.PARLANDO di lei Stein la aveva definita «lo spirito della Schaubühne»: fra i tanti titoli l’aveva diretta nell’Orestea e nei Villeggianti di Gorki: «Jutta in sè vantava due qualità: la serietà e la follia», raccontava ancora di lei Stein, che la incontrò nei primi anni Sessanta. A ritagliarsi parti sul grande schermo è arrivata invece alla fine degli anni Settanta, grazie a Margarethe Von Trotta che le affida il ruolo della protagonista Maria in Sorelle – L’equilibrio della felicità (1979) e con cui lavora ancora appunto in Anni di piombo e nel 2003 in Rosenstrasse, il suo ultimo ruolo per il cinema: nel film che ripercorre la protesta di Rosentrasse del 1943 interpreta la protagonista Ruth – sopravvissuta all’Olocausto e cresciuta negli Stati uniti – all’età di sessant’anni. E al cinema recita anche in Dostoevskij – I demoni (1988) di Andrzej Wajda e in The Distant Land di Luc Bondy. Il tredici dicembre avrebbe compiuto 83 anni.

David Lander

Il 6 dicembre l’attore statunitense David L. Lander, protagonista della popolare sitcom «Laverne & Shirley» (1976-83), dove ha interpretato Andrew «Squiggy» Squiggman per tutte le otto stagioni, è morto al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles per le complicazioni dovute alla sclerosi multipla. Aveva 73 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato oggi dalla famiglia. All’attore fu diagnosticata la Sla nel maggio 1984, ma ha tenuto segreta la malattia per 15 anni. A rendere noto David Lander al grande pubblico è stato il suo ruolo in «Laverne & Shirley», sit-com nata come spin-off della serie tv «Happy Days». Lander è stato un prolifico interprete di telefilm, recitando in tante serie, come «Galaxy High School», «Love Boat», «I segreti di Twin Peaks», «8 sotto un tetto», «Quattro tatuaggi per un super guerriero», Beatiful.

pamela tiffin

Il 5 dicembre è morta l’attrice statunitense Pamela Tiffin, starlet degli anni ‘60 che conquistò la popolarità in Italia grazie a film come «Straziami ma di baci saziami» e «Oggi, domani, dopodomani», è morta in un ospedale di New York, per cause naturali, all’età di 78 anni. L’annuncio della scomparsa, avvenuta mercoledì scorso, è stato dato dalla figlia, l’attrice e regista di video musicali Echo Angelica Danon, a «The Hollywood Reporer». Era la moglie del filosofo italiano Edmondo Danon, figlio del noto produttore cinematografico Marcello. In prime nozze era stata sposata con il produttore cinematografico Clay Felker (1962-1969), da cui poi divorziò dopo il suo arrivo a Cinecittà. Nata ad Oklahoma City il 13 ottobre 1942 come Pamela Tiffin Wonso, iniziò la carriera come la modella, conquistando anche la copertina di «Vogue», per poi approdare quasi casualmente al mondo del cinema. Il film di esordio fu «Estate e fumo» (1961) di Peter Glenville, affiancando Geraldine Page e Laurence Harvey e ottenendo una candidatura al Golden Globe come migliore attrice debuttante. Sempre nel 1961 venne scelta dal regista Billy Wilder per prendere parte alla commedia satirica «Uno, due, tre!», conquistando due candidature al Golden Globe come migliore attrice non protagonista e come migliore attrice debuttante. Pur continuando a fare la modella recitò in altre pellicole di genere brillante come «Alla fiera per un marito» (1962) di José Ferrer, «Appuntamento fra le nuvole» (1963) di Henry Levin e «Mentre Adamo dorme» (1964) di Jean Negulesco. La sua carriera proseguì con film più impegnativi, come «Detective’s Story» (1966) di Jack Smight, accanto a Paul Newman, e al fianco di Burt Lancaster e Lee Remick nel western parodistico «La carovana dell’alleluia» (1965) di John Sturges. Anche a causa della crisi coniugale con il marito Clay Felker, a metà degli anni ‘60 l’attrice si trasferì in Italia, stabilendosi a Roma fino al 1974. Rimasta affascinata dall’ambiente di Cinecittà oltreché di Roma, vi si stabilirà fino al 1974. Apprezzata per la freschezza, la sensualità e anche una certa dose di ironica ingenuità, nel bel paese la Tiffin partecipò a fortunate pellicole come «Delitto quasi perfetto» (1966) di Mario Camerini, accanto a Philippe Leroy, «L’arcangelo» (1969) di Giorgio Capitani, insieme a Vittorio Gassman, e «Il vichingo venuto dal sud» (1971) di Steno, accanto a Lando Buzzanca. A Cinecittà la splendida brunetta di Oklahoma City divenne bionda e fu protagonista di successo di diverse commedie: dopo il piccolo ruolo della moglie bionda in «Oggi, domani, dopodomani» (1965) e «Un delitto quasi perfetto» di Mario Camerini (1966), con Philippe Leroy, Tiffin ottiene la parte che la consegna alla storia del cinema italiano, quella Marisa Di Giovanni contesa tra Nino Manfredi e Ugo Tognazzi nel film di Dino Risi, «Straziami ma di baci saziami» (1968). In seguito lavora con Lando Buzzanca («L’arcangelo» e «Il vichingo venuto dal sud», commedie di grande successo di pubblico), con Franco Nero («Giornata nera per l’ariete») e interpreta anche altri film minori («E se per caso una mattina…», «La signora è stata violentata», «Amore mio, uccidimi!»). La carriera cinematografica di Pamela Tiffin termina a Roma nel 1974 a soli 32 anni. Sposato Edmondo Danon, abbandonato la recitazione per tornare a vivere a New York e dedicarsi soprattutto alle due figlie, Echo Angelica (nata nel 1976) e Aurora Hillego (nata nel 1981) e al marito, il quale divenne direttore dell’Istituto Hesperia per il Medioevo e il Rinascimento.

 Kim Ki-duk

L’11 dicembre è morto Kim Ki-duk, regista sudcoreano di film diventati cult come L’isola e Ferro 3. Vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2012, aveva 59 anni ed è morto per complicazioni legate al Covid19.
Il regista è morto in Lettonia, dove si era recato per acquistare una casa nella località marittima di Jurmala. Da alcuni giorni il suo entourage aveva del tutto perso i contatti. Le opere di Kim Ki-Duk si distinguono per la ricorrenza di tematiche ed elementi duri, mostrati allo spettatore in maniera fredda e quasi naturale. Parliamo di una violenza che a differenza di tanto cinema contemporaneo, non appare mai fine a se stessa ma, piuttosto, inglobata all’interno di un quadro più grande ed elevato che è quello dell’analisi dell’animo umano, del mutismo che caratterizza la maggior parte dei personaggi che abitano le sue storie, simbolo di una reazione, anch’essa fredda e quasi incosciente, di chi oppone ai soprusi della vita la rinuncia alla comunicazione verbale. Tra le sue opere più note si ricordano L’isola (2000), Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (2003), che lo consacra in tutta Europa, La samaritana, Orso d’oro per la miglior regia al 54° Festival del Cinema di Berlino, e Ferro 3 – La casa vuota, ritenuta la sua summa artistica, ottiene un Leone d’argento per la miglior regia alla 61. Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

Jeremy Bulloch

Il 18 dicembre è morto Jeremy Bulloch – il famigerato cacciatore di taglie Boba Fett di «Star Wars» – all’età di 75 anni a causa di non meglio precisate «complicazioni di salute, compresi diversi anni di convivenza con la malattia del morbo di Parkinson», come riporta il suo sito ufficiale. Noto principalmente per il ruolo di cattivo nella trilogia dei film iniziali della popolare saga («L’impero colpisce ancora» del 1980; «Il ritorno dello Jedi» del 1983, mentre nel 2005 il regista George Lucas lo richiamò per «Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith»), in realtà nella sua carriera Bulloch ha preso parte a più di un centinaio di produzioni cinematografiche, televisive e teatrali, fra cui le serie «Doctor Who» e «Robin of Sherwood», e ha anche interpretato dei ruoli secondari in alcuni film di James Bond. «Jeremy ha avuto una vita lunga e felice come attore – continua la nota – e ha trascorso le sue ultime settimane circondato dalle cure amorevoli del personale del St George’s Hospital di Tooting, della moglie Maureen e di due dei suoi tre figli, Jamie e Robbie».

Claude Brasseur

Il 23 dicembre Claude Brasseur, celebre attore francese, è venuto a mancare all’età di 84 anni: grande star del cinema d’Oltralpe, aveva avuto un ruolo di spicco nel film cult Il tempo delle mele, che gli ha dato notorietà a livello internazionale. Classe 1936, erede di una famiglia di grandi artisti, Claude Brasseur ha seguito le orme di suo bisnonno prima e di suo padre poi, studiando recitazione e avviando una prolifica carriera tra teatro e cinema. Ha sempre regalato grandi emozioni al suo pubblico, con il suo sorriso incantevole e uno sguardo che sapeva ammaliare. Attore versatile e poliedrico, ha portato in scena decine di personaggi iconici, passando con disinvoltura da ruoli comici ad altri decisamente più drammatici. Ha lavorato con alcuni dei nomi più famosi della sua epoca, tra cui il regista François Truffaut, e ha trovato successo anche nel nostro Paese. Claude ha infatti recitato in diversi film italiani, a partire dai primi anni ’70: tra gli altri, ricordiamo Gli eroi di Duccio Tessari e, molto più recente, Matrimoni di Cristina Comencini. Il suo ultimo lavoro risale al 2018, quando è stato protagonista della commedia Tutti in piedi, diretto da Franck Dubosc. Ma il suo ruolo più celebre rimarrà per sempre quello di François Berreton, nel film capolavoro Il tempo delle mele.

Il 26 dicembre è morto l’attore statunitense Lee Wallace, noto per aver interpretato il ruolo del sindaco di Gotham nel film “Batman” (1989) del regista Tim Burton, è morto a New York dopo una lunga malattia all’età di 90 anni. L’annuncio della scomparsa, che risale al 20 dicembre scorso, è stato dato dalla famiglia, come riferisce “The Hollywood Reporter”. Wallace è apparso anche in altri film importanti, tra cui “Una squillo per l’ispettore Klute” (1971) di Alan Pakula, “La pietra che scotta” (1972) di Peter Yates, “Soldato Giulia agli ordini” (1980) di Howrd Zieff e “La vedova americana” (1992) di Beeban Kidron. L’interprete del sindaco di Gotham nell’adattamento cinematografico delle avventure a fumetti di Batman (Bruce Wayne) aveva suscitato qualche perplessità a causa della sua somiglianza con Ed Koch, sindaco di New York dal 1978 al 1989. L’attore ha interpretato il ruolo di sindaco anche nelle pellicole “Il colpo della metropolitana – Un ostaggio al minuto” (1974) di John Sargent e Daniel” (1983) di Sydney Lumet. Per il piccolo schermo Wallace ha recitato in diversi telefilm, tra cui “Kojak”, “Lou Grant”, “American Playhouse”, “The Equalizer” e “Law & Order”. E’ stato anche un prolifico attore teatrale a Broadway.

Robert Hossein

Il 31 dicembre è morto a 93 anni appena compiuti l’attore e regista francese Robert Hossein, noto per il ruolo del conte di Peyrac nella serie di film ‘Angelica’. Nato il 30 dicembre 1927 da un compositore iraniano e da un’ortodossa russa, l’attore, nato Abraham Hosseinoff, è cresciuto in povertà e ha deciso dopo la guerra, all’età di 15 anni, di dedicarsi all’arte drammatica. Interprete di musical come ‘I miserabili’, ‘Un uomo di nome Gesù’ e ‘Notre Dame de Paris’, Hossein è diventato un sex symbol negli anni ’60 grazie al ruolo di Jeoffrey de Peyrac nel film ‘Angelica, la marchesa degli angeli’, che gli ha dato la grande notorietà.
A Reims ha fondato il suo “teatro popolare” e una scuola che ha lanciato Anémone e Isabelle Adjani. Nella sua lunga carriera al cinema, dal 1948 al 2019, ha recitato per Roger Vadim accanto a Brigitte Bardot nei film ‘Il riposo del guerriero'(1962), ‘Il vizio e la virtù’ (1963), Barbarella (1968). Nel 1969 ha partecipato al film di Luigi Magni ‘Nell’anno del Signore’.

Vip morti nel 2020, cantanti e musicisti

franco ciani

Il 3 gennaio è morto Franco Ciani, 62 anni, cantante, produttore e musicista, primo marito di Anna Oxa, si è tolto la vita soffocandosi con un sacchetto di plastica giovedì sera in un hotel di Fidenza. Stando a quanto riferisce “Il Corriere della Sera”, l’artista, autore fra gli altri, di alcuni brani di successo come “Ti lascerò” (che vinse Sanremo nell’89, interpretata dalla stessa Oxa e da Fausto Leali) e “Tutti i brividi del mondo”, era oberato dai debiti. A trovare il corpo senza vita venerdì mattina sarebbe stata una cameriera dell’albergo. Pare che prima di morire Ciani abbia voluto modificare la foto del suo profilo Instagram mettendo l’immagine di un angelo. In un messaggio al suo impresario Nando Sepe il cantante ha motivato il suo tragico gesto parlando di problemi economici e professionali, tra cui anche l’umiliazione di aver visto scartata dal Festival di Sanremo una sua canzone affidata alla ex Matia Bazar Roberta Faccani. Ciani era nato a Bologna il 17 agosto 1957, aveva sposato Anna Oxa, allora diciannovenne, nel 1982 e aveva collaborato con molti artisti — fra cui Lucio Dalla e Marina Fiordaliso. Dopo il divorzio dalla Oxa i due non avevano più avuto rapporti.

neil peart

L’11 gennaio è morto in California all’età di 67 anni Neil Peart, batterista e paroliere del famoso gruppo rock progressive Rush; aveva un cancro al cervello. Lo ha annunciato ieri la band canadese. La band nata nel 1968 e a cui Peart si era unito nel 1974 in sostituzione di John Rutsey, iniziando così la sua avventura con il cantante-bassista Geddy Lee e il chitarrista Alex Lifeson. Partendo dall’hard-rock per spostarsi gradualmente verso il jazz-rock, Neil Peart aveva uno stile brillante e una tecnica molto precisa, che lo rendeva uno dei batteristi più rispettati e apprezzati dai suoi colleghi e musicisti.

narciso parigi

Il 25 gennaio è morto Narciso Parigi. Il musicista, artista e tifoso della Fiorentina è morto all’età di 92 anni. Grazie a lui e al suo inno, il colore viola del club toscano ha brillato ancora di più attraverso note indimenticabili de la “Canzone Viola”. Sul sito ufficiale del club il presidente Rocco Commisso e tutta la Fiorentina hanno espresso il loro cordoglio per la scomparsa di Parigi nato a Campi Bisenzio nel 1927.

Mirella Freni

Il 9 febbraio è morta Mirella Freni è morta a 85 anni nella sua casa di Modena, dopo una lunga malattia. Era coetanea e concittadina di Luciano Pavarotti: i due si conoscevano fin da bambini e tante volte, insieme, hanno trionfato sui teatri d’opera in giro per il mondo. “Ho perso un fratello”, disse lei, quando, nel 2007 Big Luciano se ne andò. E’ stata una delle voci più belle e riconoscibili del mondo della lirica, portando il bel canto italiano nei principali teatri del mondo.

Alete Corbelli

Il 12 febbraio è morto Alete Corbelli, musicista di Caterina Caselli, tra i mentori di Pierangelo Bertoli, maestro di decine di ragazzini, tra cui Alberto Bertoli e Nek. Si è spento ieri a 78 anni dopo tre anni di malattia nella sua casa di Castellarano , una delle pietre angolari del patrimonio musicale locale. Al lavoro in una macelleria in via Cavallotti prima di villa Segrè, Alete lascia il negozio a 19 anni per suonare la chitarra fondando i ‘Freemen’, gruppo apprezzato in paese dai giovanissimi. Ed è in questa fase che si incrociano i destini con Caterina Caselli che, a metà anni ‘60, aveva bisogno di rinnovare gli orchestrali. La collaborazione continuerà per qualche anno, durante i quali partecipa anche a tre film e a diversi programmi Rai. Successivamente fonderà ‘I Dies Irae’, assieme al fratello di Pierangelo Bertoli, sfiorando la partecipazione al Festival di Sanremo, per poi ritagliarsi spazi nei piano bar e nei locali con musica dal vivo. Gli anni ‘80 lo vedranno invece soprattutto insegnante di musica in casa, «in quel seminterrato – lo chiama Nek – al di là di quella porticina che dava su un piccolo cortile, c’era un universo da scoprire. Ti sarò sempre riconoscente». Un maestro di chitarra amato e ricordato ancora oggi da chi la musica ha continuato ad amarla per passione e da chi ne ha fatto a sua volta anche un mestiere: «Insegnò a migliaia di ragazzi – è la riflessione di Alberto Bertoli – come si suona la chitarra senza perdere mai il sorriso. Ciao ‘Leto’, come ti chiamavano scherzosamente, rimarrai sempre nei nostri cuori». Commossi anche i ricordi del fratello di Alete, Franco Corbelli, 76 anni, chitarrista anche lui: «Perdiamo una persona umile, disponibile, senza mai un filo di invidia in un mondo molto competitivo come quello musicale», e del musicista Marco Dieci: «Grande chitarrista, lo ricordo, oltre che per la grande abilità musicale, per un senso dell’umorismo trascinante, tipico sassolese».

Franco del prete

Il 13 febbraio è morto il batterista Franco Del Prete, morto nella tarda serata di ieri a 76 anni. Nato a Frattamaggiore, lo storico musicista napoletano fu tra i fondatori prima degli Showmen e poi dei Napoli Centrale, per trasformarsi in paroliere, spesso accanto all’eterno amico James Senese, ma anche al servizio di Eduardo De Crescenzo e di Sal Da Vinci, prima di chiudere la sua carriera dando vita all’ennesima band, i Sud Express. Nato a Frattamaggiore il 5 novembre 1943, negli anni Sessanta fu tra i fondatori degli Showmen, la prima band italiana di rhythm and blues, che pose le basi del movimento che poi si chiamò neapolitan power, forte del fondamentale apporto della voce di Mario Musella, il nero a metà reso celebre da Pino Daniele, e del sassofono di James Senese. Tra i loro successi: Credi credi in me, Un’ora sola ti vorrei, Non si può leggere nel cuore, Gloria, ricchezza e te, Tu sei bella come sei ma anche una intensa versione di Catari’. Sciolti e riformati gli Showmen ad inizio anni Settanta senza lo scomparso cantante e il sassofonista, proprio accanto a quest’ultimo diede vita nel 1975 ad un’altra formazione seminale, i Napoli Centrale che dettarono la strada del jazz-rock italiano, ma anche la lingua del neapolitan power, preparando appunto la strada per Pino Daniele nell’uso del dialetto. Coltrane, ma soprattutto il Miles Davis elettrico e i Weather Report sono i modelli della nuova avventura, ma il cantato, su suggerimento di Raffaele Cascone, è in napoletano, come ricorda un cavallo di battaglia come Campagna, canzone dello sfruttamento dei campi. Il gruppo, in cui milita per un breve tempo anche Pino Daniele, al basso, dopo lo storico esordio con Napoli Centrale del 1975, sforna lp come Mattanza, un anno dopo, e Qualcosa ca’ nun more del ’77, prima di sciogliersi, per tornare, nel 1992, come una sorta di estensione dell’attività solista di Senese, che ha portato avanti il marchio sino ad oggi, incontrando ogni tanto l’amico Del Prete ai tamburi o come autore dei testi, si pensi soprattutto al lavoro svolto nell’intenso Zitte! Sta venenn’ ‘o mammone del 2001 o al più recente ‘O sanghe del 2006. Come batteria Franco collabora con Gino Paoli nel 1980 all’lp Ha tutte le carte in regola, dedicato a Piero Ciampi, poi, siamo al 1991, fa coppia con Gianni Guarracino e scrive per Eduardo De Crescenzo E la musica va e le canzoni di Cante jondo. Nello stesso tempo e con lo stesso partner autorale firma Vera per Sal Da Vinci, che vince la seconda ed ultima edizione del Festival italiano, tentativo di un anti-Sanremo di Canale 5 condotto da Mike Bongiorno, successo anche in America latina. Nel 2001 sigla, stavolta con Marcello Vitale, Pioverà – Habibi ane che Peppino Di Capri porta a Sanremo. Del Prete ha firmato anche per Lucio Dalla, Raiz (Almamegretta), Zulù (99 Posse), Tullio De Piscopo, Peppe Barra, Enzo Avitabile e tanti altri, ma dal 2006 aveva messo sangue e passione, parole e tamburi nella sua ultima creatura artistica, i Sud Express, aggiungendo agli antichi stilemi del neapolitan power una forte dose di reggae. Instabili nella voce, i Sud Express diventano la band di Enzo Gragnaniello nell’album del 2011 Radici, ma anche nel quasi omonimo docufilm di Carlo Luglio Radice, preceduto nel 2009 da L’ultimo apache e seguito nel 2018 dal lavoro collettivo La chiave. Poeta di periferia, o di provincia se si preferisce, innamorato del suo strumento e della musica, Del Prete ha bevuto la vita senza preoccuparsi di essere in prima o in seconda fila, sul palco o dietro le quinte, al centro o ai margini dei progetti che ha attraversato. Prima che la malattia lo portasse via ha salutato il suo pubblico dal palco del teatro De Rose di Frattamaggiore, al suo fianco un altro dei suoi storici soul brother, Enzo Avitabile.

Franco Bordoni

Il 13 febbraio è morto il cantante lirico Franco Bordoni, famoso baritono specializzato nei ruoli verdiani, magistrale Rigoletto, che si è esibito con le più grandi stelle dell’opera, come Montserrat Caballé, Martina Arroyo, Raina Kabaivanska, Grace Bumbry, Gwyneth Jones, Ghena Dimitrova, Jaime Aragall, Placido Domingo, Carlo Bergonzi, Luciano Pavarotti, José Carreras, Mario Del Monaco e Jon Vickers. Si è spento a Casalecchio di Reno (Bologna) dove abitava, all’età di 88 [sta_anchor id=”prozac”]anni[/sta_anchor].

elisabetta imelio prozac +

Il primo marzo è morta Elisabetta Imelio, 44 anni, voce, bassista e fondatrice dei Prozac +. La cantante è morta nella notte all’ospedale Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (Pordenone) a causa di un tumore. I Prozac+, lanciati dalla Imelio insieme con Gian Maria Accusani ed Eva Poles, erano nati negli anni Novanta. Scalarono le classifiche nel 1998 con l’album “Acido Acida” sfiorando le 200mila copie vendute. Insieme ad Accusani, Imelio aveva anche fondato il gruppo Sick Tamburo.

Alfred McCoy Tyner

Il 7 marzo si è spento all’età di 81 anni Alfred McCoy Tyner. Il famoso pianista jazz, che con la sua arte ha saputo influenzare decine di musicisti, è morto nella sua casa nel nord del New Jersey. Nessun dettaglio è stato fornito dalla famiglia circa le cause del decesso. La trionfale carriera di Mc Coy Tyner comincia alla tenera età di 13 anni quando, influenzato dalla madre musicista, si dedica allo studio del pianoforte. Nel 1960 inizia la sua grande avventura nel mondo jazz entrando, come sostituto di Steve Kuhn, nello storico quartetto jazz di John Coltrane. Con loro anche il batterista Elvin Jones e Jimmy Garrison, al contrabbasso. Con il quartetto, tra il 1961 e il 1965, incide alcuni dei più bei lavori della musica jazz, da “My Favorite Things”, “A Love supreme” e “Ballads”. L’idillio con Coltrane dura però poco e, causa divergenze artistiche, Tyner decide di lasciare il quartetto e di intraprendere la carriera da solista, fondando un trio jazz del quale sarà leader. Con la sua casa discografica, la Blue Note Records, tra il ’67 e il ’70 pubblica una serie di album importanti di stampo hard bop, come “The Real McCoy”, “Tender Moments” e “Expansions”. Ma anche gli anni ’70 sono prolifici per la sua grande musica con le tourneé in giro per l’America e l’incisione di “Sahara”, “Enlightenment”, “Fly with the wind” del 1976. Insieme a Bill Evans, Herbie Hancock, Chick Corea e pochi altri Alfred McCoy Tyner è stato uno dei principali esponenti del piano jazz moderno, seguito non solo dal grande pubblico ma anche dai giovani musicisti.

Kenny Rogers

Il 21 marzo è morto Kenny Rogers, considerato una icona della musica country. L’artista, secondo quanto si apprende dai media statunitensi che hanno riportato la notizia, è morto la notte scorsa all’età di 81 anni. L’annuncio della scomparsa di Kenny Rogers è arrivato dalla sua famiglia, secondo quanto riportano i media americani. Rogers, che viveva nello Stato della Georgia, è deceduto per “cause naturali” nella sua abitazione. Rogers è stato anche fotografo e attore statunitense, membro della Country Music Hall of Fame. Tra le sue canzoni più note sono da ricordare The Gambler, Lucille, Lady e Just Dropped In (To See What Condition My Condition Was In), contenuta nella colonna sonora de Il grande Lebowski dei fratelli Coen. Ha ricoperto il ruolo di attore in numerosi film ed è comparso in spettacoli televisivi. Il suo nome è legato anche alla proprietà di una catena di ristoranti in franchising chiamata Kenny Rogers Roasters. Nel 1983 ha duettato con Dolly Parton nella canzone Islands in the Stream (scritta dai Bee Gees).

Gabi Delgado-Lopez

Il 23 marzo Gabi Delgado-Lopez è morto all’improvviso A darne la notizia su Facebook è Robert Görl, l’altro fondatore dei Deutsch-Amerikanische Freundschaft, seminale band di musica elettronica tedesca. Aveva 62 anni. Il loro approccio minimalista, basato su sequencer e drum machine, ha fatto da modello per l’intero genere techno, e per epigoni come Nitzer Ebb o Front 242. Insieme ai Kraftwerk e ai Can, la band è considerata la più influente band tedesca dell’epoca e pioniera della Neue Deutsche Welle, dell’electropunk, del synthpop, ma pure della techno house. Gabi Delgado-López era nato il 18 aprile 1958 a Cordoba, Spagna. All’età di otto anni si trasferisce con la sua famiglia in Germania. Da adolescente suona in varie band punk tra il Reno e la Ruhr, in seguito fonda la fanzine The Ostrich e nel 1978 dà vita ai DAF (Deutsch-Amerikanische Freundschaft, amicizia tedesco-americana) a Wuppertal con Robert Göhrl, Kurt Dahlke, Wolfgang Spelmanns e Michael Kemner. Delgado ha vissuto a Londra dopo la fondazione della band e si è trasferito a Berlino nel 1986. Ha pubblicato otto album con DAF, tra cui Alles Ist Gut, dl 1981, prodotto da Conny Plank, che è un classico del genere. I DAF sono stati, come i newyorchesi Suicide, in un certo senso anche i precursori di tante band anni Ottanta, dai Pet Shop Boys a Soft Cell, dagli Orchestral Manoeuvres in The Dark ai Wolfgang Press, dove il cantante (qui Delgado) è relativamente estroverso mentre il musicista che sperimenta con l’elettronica (Görl) è un tranquillo e riservato. L’influenza della band tedesca è percepibile anche nei primi Depeche Mode, con l’abbondanza di pelle nera e un certo immaginario tra industriale e dark. Si ricorderà Der Mussolini, di cui esiste perfino un remix dance ad opera di Giorgio Moroder. Della discografia di Delgado fanno parte anche un disco con Delkom e tre con DAF/DOS, la band fondata con Wotan Wilke-Möhring. Da solista, Delgado ha inciso tre album – il primo nel 1983, l’ultimo nel 2015.

Manu Dibango

Il 24 marzo è morto Manu Dibango, sassofonista, compositore, vibrafonista e cantante camerunese. Aveva 86 anni (nato a Douala, il 12 dicembre 1933). In un percorso iniziato nei primi anni Settanta Manu Dibango ha sviluppato uno stile fusion contaminando jazz, soul e funk con elementi della musica tradizionale camerunese. La conferma del decesso è arrivata da Thierry Durepaire, gestore delle edizioni dell’artista, spiegando che Dibango è spirato al mattino in un ospedale del parigino. Manu Dibango conobbe il successo planetario nel 1972 con uno dei brani più celebri della cosiddetta world music.

Joe Amoruso

Il 24 marzo è morto all’ospedale del Mare di Napoli Joe Amoruso, pianista e tastierista dello storico gruppo di Pino Daniele. Amoruso, 60 anni, nel 2017 era stato colpito da un’emorragia cerebrale prima di un concerto a Lesina in Puglia. Oggi l’arresto cardiaco. Amoruso, originario di Boscotrecase, dopo la scomparsa di Pino Daniele si esibiva spesso in amarcord del ‘Nero a metà’ con cui aveva lavorato a dischi che hanno fatto la storia della musica napoletana e italiana. Amoruso e Pino Daniele, insieme a James Senese, Tullio De Piscopo e Tony Esposito, si erano ritrovati nell’operazione ‘Ricomincio da 30’ nel 2008 dei concerti natalizi al Palapartenope.

detto mariano

Il 25 marzo è morto Detto Mariano, autore e arrangiatore di successi del Clan di Adriano Celentano e poi di molti brani di Mina e Battisti, è morto a 82 anni a Milano dov’era stato ricoverato quindici giorni fa per le conseguenze del coronavirus. Era in rianimazione ma le sue condizioni erano giudicate stazionarie e nessuno si aspettava un suo repentino peggioramento. La sua attività principale erano le canzoni ma a partire dagli anni 80 Mariano ha scritto una trentina di colonne sonore cinematografiche tra le quali quella per Yuppi Du, per Eccezziunale veramente e per Il ragazzo di campagna. Nel 2006 gli era stato consegnato il Leone d’oro alla carriera. Oltre alla sua attività di arrangiatore, a cominciare da Il ragazzo della via Gluck sempre per Celentano, Nel sole di Al Bano, Insieme e Viva lei per Mina e Emozioni per Lucio Battisti, Mariano aveva scritto una quarantina di canzoni, tra le quali Ciao amore del 1961, uno dei maggiori successi di Adriano Celentano. Tra i suoi brani più noti come autore c’è anche L’immensità, scritta con Mogol e al centro di una lunga disputa con Don Backy, che ne rivendicò tutta la paternità ricordando che all’epoca non ebbe modo di poterla depositare alla Siae non essendo ancora iscritto come autore.

corrado sfogli

Il 26 marzo è morto Corrado Sfogli, chitarrista e direttore della Nuova Compagnia di Canto Popolare è scomparso oggi a 69 anni dopo aver lottato contro un male incurabile. Sfogli è uno dei grandi rappresentanti della musica napoletana. Sfogli era nato a Napoli ed era entrato nella Nccp nel 1976. La sua è stata una vita spesa nello storico gruppo di musica popolare. Una vita artistica durante la quale ha anche collaborato con diverse orchestre tra cui quella del teatro San Carlo di Napoli ed ha lavorato come compositore nel cinema con le musiche di ‘Another time, another place’ per la regia di Michael Redford. Tra i suoi lavori anche la composizione delle musiche dello spettacolo teatrale di Giuseppe Patroni Griffi, ‘La Celestina’.

Il 27 marzo è morto Gianni Secco, scomparso a 74 anni d’età. Negli ultimi anni aveva dovuto combattere con quella che definiva la “malattia”, di cui aveva parlato ampiamente in un’intervista concessa a Edoardo Pittalis (che lo aveva descritto come “uno dei più famosi interpreti della musica e della poesia popolare veneta. Conduttore televisivo di programmi popolari, con i Belumat ha portato canzoni e versi in giro nel mondo, dovunque ci sia stata emigrazione veneta”) e pubblicata a settembre sul Gazzettino.

mirna doris

Il 27 marzo è morta Mirna Doris. La regina e voce storica della canzone napoletana è stata stroncata da un cancro all’età di 77 anni. Ad annunciarne il decesso è stata la clinica privata di Napoli dove l’artista era ricoverata. La conferma della scomparsa di Mirna Doris, Annunziata Chiarelli all’anagrafe, è arrivata dopo un ‘balletto’ di notizie sui social tra conferme e smentite. Questa mattina lo stesso profilo Facebook ufficiale della cantante napoletana aveva dato la notizia della sua scomparsa, salvo poi smentirla dopo poche ore. Il tutto perché vi era stato un errore della struttura sanitaria dove era ricoverata Mirna Doris, con un presunto scambio di cartelle. Dopo aver vinto il Festival di Napoli nel 1968 la carriera di Mirna Doris è proseguita tra numerosi successi e partecipazione televisive, soprattutto in Rai, ma anche in teatro, dove è stata interprete della sceneggiata napoletana. In particolare a darle le luci della ribalta è la vittoria del Festival di Napoli 1968 con il brano ‘Core spezzato’, in coppia con Tony Astarita. Un successo bissato l’anno successivo con ‘Preghiera a ‘na mamma’, in coppia questa volta con Aurelio Fierro. Più volte aveva anche dato l’annuncio dell’addio alle scene, ma anche dopo alcuni problemi di salute sopraggiunti nel 2015 la regina della musica napoletana aveva continuato ad esibirsi fino al 2018.

Il 30 marzo è morto Bill Withers (nato William Harrison Withers Jr. 81 anni), uno dei nomi più importanti del soul e dell’R’n’B americano. Conosciuto per la sua voce baritonale e per i suoi sontuosi arrangiamenti soul, Withers ha scritto alcune delle canzoni più ricordate degli anni Settanta, tra cui “Ain’t No Sunshine”, “Lean On Me”, “Just The Two Of Us” con Gover Washington Jr., “Lovely Day” e “Use Me”. Anche se ha smesso di registrare nel 1985, le sue canzoni sono rimaste una grande influenza sull’R&B e sull’hip-hop tanto che il il suo pezzo “Grandma’s Hands” è stato campionato su No Diggity di Blackstreet, ed Eminem ha reinterpretato “Just The Two Of Us” nel 1997 “Bonnie And Clyde”.

Il primo aprile la leggenda del jazz di New Orleans, Ellis Marsalis Jr, è morto ieri all’età di 85 anni per complicazioni legate al Covid-19. Ad annunciare il decesso è stato il direttore emerito dell’Ellis Marsalis Center for Music, Quint Davis, parlando alla Cnn. Branford Marsalis, figlio dell’artista, ha poi spiegato al New York Times le cause del decesso. «Ellis Marsalis era una leggenda, il prototipo di quello che intendiamo quando parliamo di jazz di New Orleans», ha dichiarato il sindaco di New Orleans, LaToya Cantrell. Quattro dei sei figli di Marsalis hanno seguito le orme del padre, costruendosi una carriera nel mondo della musica: Wynton è direttore artistico del Jazz at Lincoln Center e vincitore di numerosi premi, mentre Branford è un sassofonista jazz, che ha registrato album con artisti del calibro di Sting.

Adam Schlesinger

Il 2 aprile è morto il cantautore e compositore Adam Schlesinger, frontman e fondatore della band Fountains of Wayne e autore delle musiche di molte serie TV come Crazy Ex-Girlfriend che gli valse un Emmy Award. Ad ucciderlo le complicazioni del coronavirus. Aveva 52 anni. Divorziato, lascia due bambine. Poche ore prima del decesso il suo avvocato aveva fatto sapere che Schlesinger era “molto malato e sedato dai medici per le sue gravi condizioni”.  Con i Fountains of Wayne, la band che aveva fondato con Chris Collingwood, ottenne due nomination ai Grammy nel 2003 per Miglior gruppo esordiente, sebbene avessero cominciato nel 1996, e per Miglior performance pop per il brano Stacy’s Mom il loro maggior successo di sempre. Nella sua carriera di compositore di musiche per serie e film Schlesinger era stato nominato varie volte agli Oscar, ai Tony, ai Grammy e agli Emmy, che aveva vinto per due volte, tra le quali quella del 2018 per la canzone Antidepressants Are So Not A Big Deal inserita nella colonna sonora di Crazy Ex-Girlfriend. Nel ’97 gli arrivò una nomination agli Oscar per il tema della colonna sonora del film prodotto, diretto e interpretato da Tom Hanks Music graffiti (titolo originale: That Thing You Do!): “Senza Adam Schlesinger temo che non potrà più esistere la nostra etichetta Playtone, senza la sua That Thing You Do!”, ha scritto Hanks in un tweet, riferendosi alla compagnia da lui fondata. “Era unico e meraviglioso, è un giorno terribilmente triste”.

john prine

L’8 aprile il cantante John Prine, vincitore del Grammy, è morto a 73 anni per le conseguenze del coronavirus. Prine, che da ragazzo consegnava la posta, emerse dalla scena del contry-folk di Chicago negli anni ’70 per diventare uno dei cantautori più influenti della sua generazione. Era stato ricoverato in ospedale il 26 marzo scorso con sintomi di Covid-19, la malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus, secondo la moglie Fiona Whelan Prine, che era anche la sua responsabile. Nato a Chicago il 10 ottobre 1946, fu arruolato nell’esercito degli Stati Uniti nel 1966, di stanza in Germania durante la guerra del Vietnam, prima di tornare a casa per dedicarsi alla musica. E’ stato paragonato addirittura a Bob Dylan, che del resto ha sempre definito Prine uno dei suoi cantautori preferiti. Vinse il suo primo Grammy Award nel 1991, Best Contemporary Folk Album, per “The Missing Years”. Nel 2005 il secondo Grammy nella stessa categoria per “Fair and Square”. Nel dicembre 2019, la Recording Academy lo ha premiato con un premio alla carriera.

Prine era sopravvissuto al tumore nel 1998, subendo un intervento chirurgico al collo e alla lingua che aveva lasciato alla sua voce con un tono ancora più profondo. Nel 2013 gli era stato diagnosticato un cancro al polmone sinistro e lo aveva rimosso. Prine si era messo in quarantena oltre una settimana fa dopo che sua moglie, Fiona Pine, era risultata positiva al coronavirus. Tra i tanti che avevano manifestato vicinanza al cantautore, anche l’ex Pink Floyd Roger Waters che aveva pubblicato sul proprio canale Facebook un video esprimendo tutto il proprio dolore. L’ultimo album pubblicato da John Prine, “The Tree of Forgiveness” risale all’aprile 2018.

Chynna Rogers

Il 9 aprile è morta Chynna Rogers, 25 anni. I primi successi arrivarono nel 2013 quando ottenne buoni numeri con il singolo “Selfie” seguito, l’anno dopo, da “Glen Coco” e “I’m Not Here” fino alla pubblicazione del primo EP “This Isn’t Happening” nel luglio del 2015. La cantante aveva problemi di dipendenza. di cui parlò anche nel mixtape “Ninety” (“Gran parte scritto nei momenti più bui della mia dipendenza”) e in un’intervista del 2018 quando disse che si sentiva pazza, non riusciva a stare ferma un attimo, ma non voleva uscire per non rendere glamour quella sua dipendenza: “Vedevo lati di me stessa che altri non avrebbero mai visto”. Nel 2017 pubblicò l’Ep “Music 2 Die 2” mentre la sua ultima pubblicazione l’Ep “in case i die first” (“In caso muoia prima”).

Il 14 aprile è morto a 46 anni Mirko Bertuccioli de I Camillas. Era stato uno dei primi casi gravi di coronavirus in Italia: già all’inizio di marzo era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva all’ospedale San Salvatore di Pesaro. La situazione è peggiorata ulteriormente negli ultimi giorni, fino all’annuncio del decesso, arrivato con un post su Facebook. Più conosciuto come “Zagor”, era voce e co-fondatore del gruppo con Valerio “Toto” Ondadei, detto “Ruben”, con cui ha pubblicato 4 album in studio, tra cui l’ultimo “Discoteca Rock“, uscito nel 2018.

Il 17 aprile il cantante francese Christophe, interprete di successi come ‘Aline’ e ‘Mots Bleus’, è morto a Brest, in Francia, all’età di 74 anni. A confermarlo all’AFP la moglie Véronique Bevilacqua, che ha parlato genericamente di enfisema e malattie polmonari, senza mai nominare il coronavirus come causa del decesso. Il giornale ‘Le Parisienne’, invece, da subito aveva indicato il virus come responsabile della malattia ma la famiglia non ha mai confermato. L’artista era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva di un ospedale di Parigi lo scorso 26 marzo, e successivamente trasferito a Brest dove è avvenuto il decesso. Christophe era salito alla ribalta del successo con “Aline”, nel 1965, ed ha poi attraversato mezzo secolo della canzone francese con un percorso del tutto personale e apprezzato dal pubblico.

Il 22 aprile è morto il chitarrista dei Falling In Reverse Derek Jones, a 35 anni, stando a quanto comunicato dal fondatore della band Ronnie Radke. Il chitarrista entrò ufficialmente nei Falling in Reverse nel 2010 e da allora è rimasto l’unico membro che è riuscito a resistere a vari cambiamenti di line up per una band che nel tempo si è costruita uno zoccolo duro di fan, mescolando metalcore, hard rock e pop-punk. Jones è presente, infatti, in tutti e quattro gli album firmati dalla band, ovvero l’album di debutto “The Drug in Me Is You” del 2011, da poco certificato oro negli Usa (500 mila copie), mentre l’ultimo della band è del 2017 e si intitola “Coming Home”, ma negli ultimi anni aveva pubblicato diversi singoli compresa la hit “Popular Monster” e “DRUGS” che vedeva anche la collaborazione di Corey Taylor degli Slipknot.

Il 25 aprile è morto all’età di 78 anni Hamilton Bohannon. Negli anni 70 e i primi anni 80 era diventato un’icona dei dancefloor di tutto il mondo ed è stato un punto fondamentale nello sviluppo dell’R&B e della dance. Bohannon si trasferì dalla sua nativa Georgia a Detroit da giovane per esibirsi come batterista in una band itinerante di Stevie Wonder. Ha lavorato per la Motown con molti dei più grandi artisti di questa etichetta tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, tra cui The Temptations, Marvin Gaye e The Supremes. Il suo primo grande successo è stato “Foot Stompin Music” nel 1975 e a seguire il successo internazionale “Disco Stomp”. Ma è stato il suo passaggio alla Mercury Records più avanti nel decennio che lo ha portato all’apice del suo successo discografico. “Let’s Start The Dance” è diventato il suo più grande successo e una delle canzoni più iconiche dell’era della discoteca. Negli anni ’80, Bohannon ha continuato a lavorare con la sua etichetta sia come artista che come produttore. E con l’ascesa dell’era hip-hop, le sue canzoni sono tornate attualissime. I suoi suoni sono stati campionati da artisti come Snoop Dogg, Digable Planets e Jay Z. Ha anche realizzato il sogno di molti padri, lavorando con suo figlio, Hamilton Bohannon II, e, onore riservato a pochi, aveva una strada che porta il suo nome nella sua città natale di Newnan, in Georgia.

Tony Allen

Il 30 aprile il musicista nigeriano Tony Allen, batterista e creatore dell’afrobeat insieme al suo connazionale e compagno di band Fela Kuti, è morto a Parigi all’età di 79 anni. Lo ha reso noto il suo manager, Eric Trosset. Allen era il batterista e direttore musicale della band «Africa 70», con la quale creò tra gli anni 60 e 70 l’afrobeat, mischiando elementi di musica tradizionale africana con il funk e il jazz di matrice americana.

Cady Groves

Il 4 maggio è morta la cantante Cady Groves all’età di 30 anni, le cause della morte sono, per il momento, sconosciute. Da un po’ di tempo la cantante era ferma, e il suo ultimo singolo “Oil and Water” risale al 2017, mentre la sua canzone più nota è “This little girl” del 2012, che è stato ascoltato oltre 12 milioni di volte in streaming. Non è la prima tragedia che colpisce la famiglia della cantante, dal momento che sono due i fratelli della cantante che sono morti giovani: Casey e kelly, infatti, sono morti rispettivamente nel 2007 e nel 2014 all’età di 28 anni.

Il 3 maggio, dopo essere stato trovato positivo al coronavirus in seguito a un ricovero per problemi di cuore, Dave Greenfield, tastierista dei The Stranglers dal 1975. Aveva compiuto 71 anni a fine marzo. La parola genio si ripete nei primi ricordi di Greenfield, che passerà certamente alla storia del rock per aver portato, come d’altra parte il gruppo stesso, sonorità e riferimenti sofisticati all’interno del movimento punk dei tardi anni settanta. L’ondata del ’77 ha portato in alto anche loro, che pure erano più vecchi e avevano più esperienze alle spalle degli altri gruppi apparsi quasi all’improvviso in quei mesi. «Abitavamo la stessa flora e la stessa fauna» commenterà poi Burnel. The Stranglers aggiunsero all’energia innovativa dei loro colleghi dell’epoca un certo gusto dark e gotico (il primo album porta il titolo Rattus Norvegicus, nome scientifico della forma più comune di topo) e le tastiere di Greenfield. Fu lui a scrivere il brano musicale che divenne Golden Brown, il successo più grande della band, interpretato poi da molti altri artisti. Famoso per il testo, che loro definire «simile a un test di Rorschach, in cui ciascuno vede ciò che vuole vedere» (probabilmente si parla di eroina, forse di una donna) e per il clavicembalo di Greenfield, il pezzo consegna The Stranglers all’immortalità rock, come hanno sancito i concerti che imperturbabili hanno tenuto fino a pochi mesi fa, anche in Italia, anche al Teatro della Concordia di Venaria Reale lo scorso dicembre.

Boon Gould

Il 7 maggio Boon Gould, ex chitarrista dei Level 42, di cui fu anche fondatore nel ’79 insieme al fratello Phil e allo stesso cantante e bassista Mark King. Le cause del decesso non sono state ancora chiarite. Gould, trovato senza vita a casa sua all’età di 64 anni, lasciò i Level 42 nel 1987 per problemi di saluti dovuti a un esaurimento nervoso e frequenti attacchi di panico. Successivamente continuò a scrivere testi per la band e nel 2012 suonò con gli ex compagni in occasione di una ‘reunion’. Ha pubblicato due album da solista “Tin Man” e “Love Kills Overtime”. Negli Anni ’80 i Level 42 furono un gruppo di punta grazie a hit come “Lessons in Love” e al basso portentoso di Mark King.

little richard

Il 9 maggio è morto Little Richard, uno dei Grandi Padri Fondatori del Rock’n’Roll, morto a 87 anni. Un personaggio fuori da ogni schema, con una vena di pura follia, che, come tutti gli artisti di colore dell’epoca, ha sempre giustamente lottato contro il mancato riconoscimento del loro contributo alla nascita di quella nuova musica che ha cambiato il mondo. All’anagrafe di Macon, Georgia, era registrato come Richard Wayne Pennyman, ma fin da bambino il suo soprannome è stato Little Richard. Un’infanzia difficile in un ambiente religiosissimo che non lo ha protetto dagli atti di bullismo subiti per i suoi modi effeminati e la sua andatura sghemba provocata da una congenita differenza di lunghezza delle gambe. Il piccolo Richard si è accostato alla musica in chiesa e ha fatto una dura gavetta musicale nel circuito della musica nera. La sua fortuna è cominciata quando è andato a registrare a New Orleans nel leggendario studio di Cosimo Matassa, uno dei santuari del Rock’n’Roll, per registrare con gli stessi musicisti di Fats Domino. Nel settembre del 1955 incide “Tutti Frutti” e cambia la storia. Quel brano, così carico degli umori più potenti del Rhythm and Blues, è un successo immediato. Ma com’era abitudine nell’America segregata dell’epoca in cui la musica nera aveva una classifica a parte, il brano fu affidato a cantanti bianchi e così anche Little Richard fu colpito dalla nemesi di Elvis: una volta inciso da “The King” per il pubblico “Tutti Frutti” diventò un brano di Elvis. Come per altri padri del Rock’n’Roll, come Fats Domino o Jerry Lee Lewis, il periodo d’oro di Little Richard è a cavallo tra gli anni ’50 e ’60: incide capolavori come “Long Tall Sally”, “Slippin’ and Slidin'”, “Good Golly Miss Molly”: il suo stile era unico. Suonava il piano con furia, aveva un look eccessivo ed ambiguo che ha fatto da modello per generazioni, cantava con un tono acutissimo, come se fosse sempre sull’orlo di una di quelle crisi che travolgono le donne delle cerimonie gospel, esibiva la sua ambiguità sessuale. Una figura dirompente con una carica erotica disturbante per l’America puritana dell’epoca. Sui suoi brani è stato costruito l’edificio del Rock’n’Roll ma anche Little Richard non ha avuto quello che meritava. A complicarsi la vita ci ha pensato anche da solo, soprattutto dopo essere diventato un divo. Crisi religiose che lo hanno portato a lasciare la musica, abusi di droga, una vita sessuale piuttosto complicata che gli ha dato anche qualche problema con la Giustizia. Ha contribuito a inventare il Rock’n’Roll ma non ha saputo adeguarsi ai tempi che cambiavano, anche se le sue intuizioni sono state decisive per gli sviluppi futuri della musica Black. Una vita costellata di incontri, follie, episodi incredibili: fare con lui un discorso coerente non era facile. La sua voce si impennava in una risata inquietante come quando, ai tempi in cui arrivò a Roma come ospite del “Fantastico” di Celentano, e ammise la verità su uno degli errori più clamorosi della sua carriera di band leader: il licenziamento di Jimi Hendrix. “La verità è che ero geloso: mi rubava la scena, avevo capito subito che un genio”. Risata. All’epoca, Jimi, che era ancora un oscuro session man in cerca di gloria, aveva raccontato una versione molto più prosaica: non aveva ricevuto il compenso pattuito. Molti soldi, pare, gli arrivarono da Michael Jackson che, come aveva fatto per quelle dei Beatles, si era comprato i diritti delle sue canzoni. Nonostante gli eccessi e i clamorosi Up and Down della sua vita leggendaria (raccontava che in una delle sue conversioni buttò in un lago tutti i suoi gioielli) ha continuato ad esibirsi fino a poco tempo fa, anche se aveva qualche problema di salute. Con Little Richard se ne va un altro dei padri fondatori del Rock’n’Roll, un artista che ha scritto la colonna sonora di un’epoca in cui la musica annunciava al mondo che usciva dalla guerra che i giovani erano i nuovi protagonisti della società. E che, nella sua follia, è stato anche uno dei primi ad aver intuito la potenza dell’immagine.

ezio bosso

Il 15 maggio è morto Ezio Bosso, 48 anni. Pianista, direttore d’orchestra e compositore, se n’è andato all’età di 48 anni. Dal 2011 soffriva di una malattia neurodegenerativa diagnosticatagli dopo un intervento al cervello. Bosso era nato a Torino il 13 settembre 1971. Durante la sua carriera è apparso diverse volte in tv, commuovendo milioni di telespettatori. Celebre è la sua esibizione a Sanremo 2016, in cui suonò il brano “Following a bird”. Lo scorso 2 aprile scriveva su Facebook: “Sono in ogni nota che ho curato / Esisto in ogni nota insieme / Alle mie sorelle e fratelli / Figli o nipoti / Sono ogni nota studiata / Suonata e donata / Amata / Perché non c’è nota che non ami / E che non abbia amato”.

Il 27 maggio la 32enne Alice Severi, nota concertista e pianista, è stata trovata senza vita nella sua casa a Domodossola. Le cause del decesso non sono ancora chiare: gli inquirenti stanno indagando. Alice Severi si occupava di insegnare il pianoforte in una scuola di Milano. Si era fatta conoscere già quando aveva 7 anni: nel 1992 vinse il premio internazionale Stresa, dedicato ai giovani pianisti. Ammirata in patria, la Severi si è esibita spesso negli Stati Uniti, anche nel corso dei programmi dell’emittente Nbc. Col tempo, aveva continuato a farsi conoscere tramite i video che pubblicava su Youtube.

bob kulick

Il 30 maggio chitarrista statunitense Bob Kulick, conosciuto soprattutto per aver collaborato con i Kiss, considerato il “quinto” membro della band newyorchese, lavorando soprattutto in studio, è morto all’età di 70 anni. Era il fratello maggiore di Bruce Kulick, che è stato chitarrista solista dei Kiss dal 1984 al 1996. E proprio il fratello minore Bruce ha dato la notizia della scomparsa sui social: “Ho il cuore spezzato di dover condividere la notizia della scomparsa di mio fratello Bob Kulick. Il suo amore per la musica e il suo talento di musicista e produttore dovrebbero sempre essere celebrati. So che ora è in pace, accanto ai nostri genitori, e me lo vedo lassù che suona la sua chitarra più forte che mai”. Anche la band dei Kiss sui social ha espresso le condoglianze per la scomparsa del rocker: “Abbiamo il cuore spezzato. Le nostre più sentite condoglianze alla famiglia Kulick in questo momento difficile”. All’infuori dei Kiss, Bob Kulick ha suonato la chitarra in alcuni dischi di Meat Loaf e con i W.A.S.P. negli album “The Crimson Idol” e “Still Not Black Enough”, senza però mai esibirsi in pubblico con il gruppo. Bob suonò poi la chitarra per il disco omonimo “Michael Bolton” (1983) del musicista Michael Bolton e per Lou Reed in “Coney Island Baby” (1976) Nato a New York il 16 gennaio 1950, Bob Kulick esordì nei primi anni Settanta come chitarrista con la band Hookfoot. Nel 1973 tenne un’audizione per entrare nei Kiss come chitarrista solista ma gli fu preferito Ace Frehley. Ciononostante i Kiss decisero di tenere da conto Bob impiegandolo nel caso in cui Frehley non fosse stato nelle condizioni di lavorare. Con i Kiss Bob ha suonato in alcune tracce degli album “Alive II” (1978), “Killers” (1982) e “Creatures of the Night” (1982). Bob Kulick ha inoltre collaborato con il frontman dei Kiss Paul Stanley per il suo album solista “Paul Stanley” (1978), sia nel suo tour del 1989, sempre da solista. Bob Kulick negli anni Ottanta formò il gruppo Balance con Peppy Castro e Doug Katsaros.

Chris Trousdale

Il 4 giugno  il cantante americano Chris Trousdale, ex bimbo prodigio della boy band dei Dream Street, è morto a 34 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla sua manager, Amanda Stephan. «È con il cuore pesante che confermiamo la scomparsa di Chris Trousdale avvenuta il 2 giugno. E’ stato una luce per tanti e mancherà moltissimo alla sua famiglia, agli amici e ai fan in tutto il mondo». Il cantante era ricoverato in un ospedale di Burbank, in California, e anche se la sua manager ha parlato di una malattia «non precisata», pare certo che il cantante sia morto per complicazioni legate al coronavirus, come hanno scritto sui social alcuni amici, sebbene la famiglia non abbia confermato la notizia. Trousdale aveva solo 8 anni quando iniziò a esibirsi a Broadway in spettacoli come «Les Misérables» e «The Sound of Music». E’ stato uno dei fondatori dei Dream Street: aveva iniziato a cantare, tredicenne, nel 1999, esibendosi con loro fino allo scioglimento, nel 2002 (gli altri componenti del gruppo erano Jesse McCartney, Greg Raposo, Matt Ballinger e Frankie Galasso). Nel periodo di massimo successo, il gruppo musicale ha fatto tournée con artisti come Britney Spears e Aaron Carter. Tra le canzoni più note dei Dream Street, ci sono «It Happens Every Time» e «I Say Yeah». Trousdale aveva poi tentato la strada da solista ma con scarso successo. Nel 2010 aveva partecipato a un episodio della serie tv «Shake it up» e nel 2012 al talent show «The Voice», senza superare le audizioni. Ha comunque continuato a cantare e l’anno scorso aveva inciso la canzone [sta_anchor id=”dones”]«Summer»[/sta_anchor].

pau dones

Il 9 giugno è morto all’età di 53 anni Pau Donés, leader e cantante degli Jarabe de Palo. Soffriva di un cancro dall’agosto del 2015. Lo annuncia la stampa spagnola, riprendendo un post della famiglia sui social. La famiglia del cantante ringrazia “il team medico e tutto il personale” degli ospedali che hanno seguito Pau, “per il lavoro e la dedizione che gli hanno dedicato in questo periodo” e chiede “il massimo rispetto per la privacy in questo momento difficile”. Nato a Montanuy, in Aragona, Donés ha legato la sua carriera agli Jarabe de Palo dal 1995. Nel 1996 l’album di debutto, La flaca, titolo di uno dei brani contenuti nel disco che fu la canzone dell’estate 1997. Un successo inarrestabile, continuato poi con Depende (1998), De Vuelta y Vuelta (2001) o Bonito (2003). L’ultimo album, Traga o escupe, risale alla fine di maggio.

Keith Tippett

Il 14 giugno il musicista britannico Keith Tippett, pianista e compositore di spicco della stagione d’oro del British jazz degli anni sessanta e settanta, diventato un’icona del jazz rock, è morto ieri all’età di 72 anni. Nato a Bristol il 25 agosto del 1947, Tippett è stato un instancabile bandleader, agitatore della scena musicale inglese, pioniere dei linguaggi più inediti, frequentatore del jazz come dell’avanguardia classica, compositore e arrangiatore, pianista visionario e personalissimo sperimentatore. Tippett è stato protagonista con varie formazioni, in duo, trio, quartetto e sestetto e con l’orchestra Centipede, in cui erano riunite insieme diverse generazioni di musicisti jazz e rock britannici. L’interscambio tra il jazz e la parte più colta del rock, il cosiddetto rock progressivo, è stata una delle prerogative di Tippett, che apparve in tre album dei King Crimson, uno dei gruppi prog più noti: In the Wake of Poseidon, Lizard (entrambi del 1970) e Islands (1971). Le esperienze successive sono state con i Mujician (un quartetto con Paul Dunmall, Paul Rogers e Tony Levin), le big band Dedication Orchestra e Tapestry e il duo con la moglie Julie Driscoll, cantante inglese rock progressive e jazz rock, protagonista della Swinging London anni Sessanta. Pianista, compositore, leader di famose big band e didatta, Keith Tippett per quasi mezzo secolo è stato una figura di primo piano nel jazz contemporaneo. Dagli anni Settanta, con costante rigore e vitalità, Tippett ha legato il suo nome, oltre ai King Crimson, a quelli di John Surman, Elton Dean, Marc Charig, Mike Westbrook e Soft Machine. Lee sue ‘composizioni spontanee’ per pianoforte combinavano tecnica fenomenale e vivida immaginazione.

Yohan

Il 16 giugno la star del K-Pop Yohan, membro dei TST (noti precedentemente col nome di Top Secret) è morto all’età di 28 anni. Il cantante, il cui vero nome è Kim Jeong-hwan, aveva 28 anni e come si è compreso non sono chiare quali siano state le cause del decesso. Yohan ha trovato la sua popolarità inizialmente come membro del gruppo NOM, per confluire, successivamente, nei TST, che inizialmente si chiamavano Top Secret. Il passaggio avvenne quando la band precedente si sciolse: i TST hanno pubblicato il proprio ultimo – quarto – singolo lo scorso gennaio e negli ultimi mesi era stata impegnata proprio a promuoverlo. Sono stati tantissimi i fan che si sono riversato sia sulla pagina ufficiale della band che su quella personale del cantante per esprimere, anche in inglese, il proprio dolore e le proprie condoglianze.

vera lynn

Il 18 giugno è morta Vera Lynn, a 103 anni, nella sua dimora nel Sussex. Lutto nazionale per gli inglesi che la consideravano un gradino sotto Elisabetta, dalla quale la separavano nove anni. Sorridente, perfetta, mai un capello fuori posto nel suo ruolo affatto simbolico di tenere alto il morale delle truppe e i connazionali sotto i bombardamenti. Lei era The Forces sweetheart, ovvero l’eterna fidanzata delle forze di sua maestà e il suo celebre inno quel We’ll meet again, «ci incontreremo di nuovo» nella sua voce aggraziata diventava un incoraggiamento a non rinunciare, a resistere. Nata nel 1917 nell’East End londinese con il nome anagrafico di Vera Margaret Welch, salita alla ribalta bambina nel 1924 con la prima esibizione ai microfoni della Bbc e divenuta star nazionale già a 15 anni come vocalist della Howard Baker Orchestra, Vera Lynn è stata la voce gentile, impostata ma soprattutto irriducibile, della resistenza britannica al nazifascismo. Toccò l’apice della fama animando nella stagione della guerra un programma musicale radiofonico cult, intitolato Sincerely Yours, e girando tre film. Il governo di Winston Churchill la volle in tour pure fra i militari al fronte, in India e in Birmania nel 1944, per confortarli, distrarli, sostenerne l’orgoglio. Tutto il repertorio della Lynne è infarcito di canzoni sentimentali e patriottiche, come The White Cliffs of Dover’ o There’ll Always Be an England.

luciano rondinella

Il 28 giugno è morto Luciano Rondinella, cantante, discografico, promoter. Aveva 86 anni. Luciano veniva da due famiglie storiche del teatro e della musica napoletana: la madre Maria Sportelli, figlia di Giacomo e sorella dell’attore Franco, il padre Francesco Rondinella – in arte Ciccillo. Suo fratello era Giacomo Rondinella, star della melodia napoletana scomparso il 26 febbraio 2015. Luciano Rondinella cominciò a cantare da bambino entrando nel coro parrocchiale e, dopo aver perfezionato la voce, esordì a 17 anni nel 1950. Debuttò come attore nel 1954 in una compagnia di rivista accanto a Nino Besozzi e nello stesso anno girò L’oro di Napoli di Vittorio De Sica. Alto, bello, forte, fu poi scritturato da Garinei e Giovannini in L’adorabile Giulio, con Carlo Dapporto e Delia Scala. Dotato di una voce calda ed estesa e di sicura personalità, raggiunse la popolarità al Festival di Napoli del 1959 con Primmavera, ma l’anno prima aveva già interpretato un musicarello, Sorrisi e canzoni al fianco di Maria Fiore. Passato dall’etichetta discografica Vis Radio alla Philips, nel 1960 si aggiudicò il Festival Internazionale di Firenze con il brano Rondini fiorentine e prese parte alla Sei Giorni della Canzone con Olimpya in Rome. Nel 1961 giunse in finale a Canzonissima con Santa Lucia e debuttò a Sanremo con Che freddo, divisa con Edoardo Vianello. Poi vide oscurarsi il futuro della canzone napoletana e preferì fare un passo indietro, senza mai rinunciare a salire sul palco per rendere omaggio ad un amico, per essere al fianco di un collega, per sostenere una causa culturale che reputava giusta Attivissimo anche come operatore, produttore, organizzatore, negli anni ’70 affiancò alle edizioni Rondinella l’etichetta Hello (fece cantare Bovio a Mario Merola, lanciò Vittorio Marsiglia), poi aprì al Vomero un negozio di dischi poi diventato storico, Top Music; negli ’80 si impegno nel rilancio e restauro del teatro Bellini a Napoli, dove poi aprì nel 1992 il Girulà, un bistrot verace in cui gli piaceva ancora esibirsi nei classici partenopei, spesso con le figlie Francesca e Amelia. In piena Chiaia era il suo sogno di dare una casa alla canzone napoletana, dove il cibo e il vino erano veraci e alle pareti c’erano ricordi del passato, foto e locandine d’epoca, mentre ai tavoli, sino al 2007, anno della chiusura, potevi incontrarci Roberto Murolo, Carlo e Aldo Giuffrè, Elio Pandolfi.

L’11 luglio è morto il rapper Lil Marlo, ad Atlanta, la sua città natale. Mentre restano ignote le cause della morte, il sito TMZ, che per primo ha riportato la notizia, cita una fonte della polizia: dice che il rapper, il cui vero nome era Rudolph Johnson, è stato ucciso mentre guidava. Aveva 27 anni. Marlo ha firmato con la Quality Control di Atlanta — etichetta di rapper come Yachty, Migos, Lil Baby, City Girls e altri — nel 2017, e ha pubblicato un album con Lil Baby, «2 the Hard Way», più tardi nello stesso anno, così come il suo debutto, «The Wire». Ha pubblicato un paio di mixtape, «The Real 1» e «9th Ward God», nel 2018, e ha pubblicato il suo ultimo album, «1st & 3rd«, a febbraio. Ha anche pubblicato diversi singoli ed è apparso nelle prime due compilation di «Quality Control: Control the Streets». Lascia quattro figli piccoli: Kemora, Rihanna, Marlo e Rudy.

Il 13 luglio Benjamin Keough, 27 anni, figlio di Lisa Marie Presley e nipote di Elvis Presley, è morto in seguito ad un apparente suicidio con arma da fuoco a Calabasas, nella contea di Los Angeles. Lo riferisce Tmz, che ha avuto conferma della notizia dal manager della madre. Anche il giovane era musicista, come il nonno, la madre e il padre Danny, ma aveva sempre tenuto un basso profilo. Piu’ nota la sorella, l’attrice Riley Keough, che ha partecipato a numerosi film indipendenti e horror, incluso ‘The lodge’ nel 2019.

Il 26 luglio Peter Green, co-fondatore dei Fleetwood Mac e poi leggendario solista, è morto a 73 anni: la notizia è stata data dalla sua famiglia, che ha fatto sapere che il musicista si è spento “pacificamente nel sonno”. Green, il cui vero nome era Peter Allen Greenbaum, era nato a Londra nel 1946. Salì alla ribalta nel 1966, quando fu chiamato a sostituire (prima temporanemente, poi a titolo definitivo) Eric Clapton nei Bluesbreakers di John Mayall, la blues band inglese più celebre degli anni 60. Insieme a Mick Fleetwood e John McVie, anche loro nella band di Mayall, e al chitarrista Jeremy Spencer decise di formare un nuovo gruppo destinato a fare la storia. I Fleetwood Mac entrarono in scena imponendo uno stile fortemente legato al blues, firmando brani celeberrimi come Black magic woman, poi ripresa da Carlos Santana, e Albatross, ma nel giro di un paio d’anni Green decise di abbandonare la band per divergenze personali e artistiche: il 20 maggio del 1970 tenne il suo ultimo concerto con la band. Il chitarrista, alle prese con problemi di instabilità mentale (gli fu diagnosticata una forma di schizofrenia) decise di intraprendere una carriera solista e di abbandonare la strada del blues per dedicarsi a una forma musicale inedita e totalmente d’avanguardia: il suo esordio solista, The end of the game, resta uno dei dischi più coraggiosi e sperimentali dell’intera storia del rock. Una sorta di free rock lisergico, oscuro e inquietante ma estremamente moderno. In quella riuscita miscela sonora, Green aveva probabilmente proiettato i suoi fantasmi. Dopo quell’album, i suoi problemi mentali lo trascinarono in un vortice che lo portò a sparire dalle scene per tutto il decennio: anni in cui si liberò di tutti i suoi averi, perfino della sua chitarra (acquistata da Gary Moore, altro gigante del rock blues). Dopo ricoveri e degenze, che spinsero la stampa britannica a definirlo “il Syd Barrett del blues inglese”, Green tornò sulle scene nel 1979 con l’album In the skies: un disco rilassato, godibile, ma lontano parente del frenetico e visionario suono di dieci anni prima. Dal suo rientro, arrivato dopo una sorta di eremitaggio misterioso, Green pubblicò una serie di dischi di morbido blues privi di grande ispirazione. Dopo una nuova pausa, durata più di dieci anni, Green si ripresentò sulle scene nel 1997 con una nuova band, The Splinter Group, che riuniva vecchie glorie della scena inglese come Nigel Watson e Cozy Powell. Dopo l’album omonimo, con gli Splinter pubblicò altri sette dischi, restando nel solco di un blues gradevole ma privo di grinta, in cui però il Robert Johnson Songbook restituì dignità a una stella che si è spenta troppo presto. Nel 1988 entrò a far parte della Rock And Roll Hall Of Fame insieme ai Fleetwood Mac. Di lui B.B.King aveva detto: “E’ l’unico chitarrista che mi fa sudare freddo”.

Il 30 luglio si è spento a 47 anni Malik B, rapper e fondatore dei The Roots. Ad annunciarlo è stato lo stesso gruppo di Filadelfia, attraverso un post sui social media. Il suo vero nome era Malik Abdul Basit ed è stato uno dei principali animatori della band, assieme a Ahmir “Questlove” Thompson e a Tariq “Black Thought” Trotter, con cui ha inciso i primi quattro dischi dei The Roots, prima di uscirne nel 1999. Un anno più tardi il gruppo, celebre per la sua capacità di miscelare l’hip hop e il suono degli strumenti dal vivo, avrebbe vinto il suo primo Grammy Award, prima di diventare celebre anche in Italia grazie al singolo “The Seed 2.0”. Malik B era tornato nel gruppo per alcune partecipazioni nei dischi “Game Theory” (2006) e “Rising down” (2008). Come solista ha inciso in studio due dischi, “Street Assault” e “Unpredictable”. Le cause della sua morte non sono state rese note.

Gordon Faggetter

Il 13 agosto è morto Gordon Faggetter, ex batterista del gruppo inglese Cyan Three e primo dei sei mariti avuti da Patty Pravo. Nato nel 1948 nella contea del Surrey nel Regno Unito, si era poi trasferito a Brighton dove con due amici fondò il gruppo dei Cyan Three, i “tre dagli occhi azzurri”. La stessa formazione con la quale nel 1967 arrivò in Italia, invitati da Alberigo Crocetta, fondatore del Piper Club di Roma, per accompagnare le esibizioni di Patty Pravo. Successivamente il gruppo accompagnerà anche Mia Martini. Oltre all’attività di musicista, Gordon Faggetter si è dedicato alla pittura. Sue sono tra l’altro molte delle copertine dei 33 giri di maggior successo di quegli anni realizzate per artisti italiani, tra i quali, oltre a Patty Pravo, Francesco De Gregori. E’ suo il disegno nella copertina dell’omonimo album di De Gregori universalmente noto come “La pecora”. Una serie di prestigiose mostre collettive e personali tenute nei primi anni 70 lo consacrarono poi come uno dei più sensibili pittori contemporanei. Dal 1973 Gordon si era stabilito definitivamente a Roma, dove si è spento all’età di 72 anni.

jack sherman

Il 18 agosto il musicista statunitense Jack Sherman, chitarrista noto per aver collaborato con i Red Hot Chili Peppers dal 1983 al 1985, è morto all’età di 64 anni. Non sono state rese note le cause del decesso. Sherman era nato a Miami, in Florida, il 18 gennaio 1956. Era entrato a far parte dei Red Hot Chili Peppers nel dicembre del 1983, poco dopo la loro nascita a Los Angeles, prendendo il posto di Hillel Slovak, nel frattempo tornato insieme al batterista Jack Irons nei What Is This?. Sherman aveva preso parte alla lavorazione dell’omonimo album di debutto del 1984 dei Red Hot e aveva partecipato al primo tour negli Usa della band. Il chitarrista aveva poi suonato anche nel successivo album «Freaky Styley» (1985). Dopo il rientro di Slovak nei Red Hot Chili Peppers nel 1985, Sherman aveva abbandonato la band per incompatibilità di carattere con il cantautore e frontman Kiedis.

Il 28 agosto è morto Pier Luigi Cremonini, ‘Gigi’ per gli intimi, 81 anni, nato a Castelfranco Emilia (nel Modenese), supercollezionista di dischi di afro-americana, amico di Dalla, Di Marco, Alberto Alberti, Villotti, ma anche di grandi star d’oltreoceano, punto di riferimento per il movimento jazzistico locale. È spirato ieri all’Ospedale Maggiore dov’era ricoverato da tempo.

Erick Morillo

Il primo settembre è morto Erik Morillo, famoso dj internazionale Erick Morillo. Non è ancora chiara la causa della morte. Disc jockey, produttore discografico e remixer colombiano di musica house era nato a Cartagena de Indias il 26 marzo 1971. Aveva 49 anni. Il cadavere dell’uomo è stato rinvenuto nella sua abitazione di Miami Beach dalla Polizia. È stato il fondatore ella etichetta Subliminal Records assieme a Harry Romero e Josè Nuñez. Fino al 2012 è stato Dj resident ogni estate al Pacha di Ibiza del Mercoledì notte.

Il 4 settembre è morto Gianni Sacco, storico interprete della canzone neomelodica napoletana. Già dallo scorso mese di maggio le sue condizioni di salute non rassicuravano nè la famiglia nè i numerosi amici e colleghi che si sinceravano quotidianamente. Tra i suoi brani più popolari vanno ricordati “Crociera”, “A banca nazionale”, “Te vulesse sempe”, “’A sora ’e Maria” e “’Nu capriccio”. I funerali del cantante si terranno venerdì 4 settembre alle ore 17 a Napoli presso la chiesa del Sacramento a Salvator Rosa 288.

Frederick “Toots” Hibbert

Il 12 settembre è morto a 77 anni Frederick “Toots” Hibbert, cantante e leader della band reggae dei Toots and the Maytals, che negli anni Sessanta contribuì a rendere famosa nel mondo la musica giamaicana. Hibbert è morto a Kingston, Jamaica: non sono state rese note le cause della morte, anche se si sa che era stato ricoverato per sintomi compatibili con la COVID-19. Hibbert aveva fondato la sua band negli anni Sessanta, raggiungendo la prima popolarità nei Settanta. È considerato uno degli inventori del reggae, che nacque in quegli anni come evoluzione dello ska e del rocksteady, i due generi più diffusi in Giamaica. Si pensa che Hibbert sia stato tra i primi a usare la parola “reggae”, nel titolo della canzone del 1968 “Do the Reggay”. L’ultimo disco del gruppo, Got to Be Tough, era uscito soltanto a fine agosto.

alien huang

Il 16 settembre il cantante, attore, conduttore televisivo e imprenditore taiwanese Alien Huang, conosciuto anche come Huang Hong-Sheng o Xiao Gui è morto a 36 anni nella sua casa di Taipei. La polizia locale ha confermato che il corpo di Huang è stato trovato senza vita mercoledì mattina (ora locale) nella sua casa nel distretto di Beitou di Taipei. La causa della morte deve ancora essere determinata ma si sospetta il suicidio. Huang è la terza celebrità asiatica morta in circostanze misteriore all’età di 36 anni in tre giorni consecutivi. Il 14 settembre è morta infatti l’attrice giapponese Ashina Sei ed è di oggi la notizia della morte dell’attrice coreana Oh In-hye. Sulla morte di Huang i media locali hanno pubblicato numerosi dettagli che devono ancora essere confermati. Secondo Apple Daily Taiwan, è stato trovato mezzo nudo in casa e sul pavimento c’erano macchie di sangue. Secondo altre ricostruzioni il corpo di Huang è stato trovato disteso nel corridoio fuori dal bagno. Secondo quanto riportato da United Daily News, la vasca da bagno era piena d’acqua. E in casa non sarebbero state trovati droghe, alcol o segni di effrazione. Ex membro della boy band giapponese Hc3, e anche della band taiwanese Cosmo, Huang (alias Xiao Gui o Little Ghost) aveva costruito una carriera nel mondo dell’intrettanimento a 360 gradi: aveva recitato in diversi film, tra cui Din Tao: Leader of the Parade e il recente Agire per amore, in moltissime serie tv e come conduttore di show televisivi come 10.

luciano ghezzi

Il 2 ottobre è morto Luciano Ghezzi, storico bassista che fu fondatore del gruppo ClanDestino ed era noto per la sua collaborazione con Luciano Ligabue. Ghezzi è morto improvvisamente all’età a 57 anni. Nato il 14 novembre 1963, lontano parente del direttore d’orchestra e compositore Gorni Kramer, Ghezzi aveva mosso i primi passi nella musica a fine anni 70, suonando in diverse band della scena musicale di Reggio Emilia (“Casablanca”, “Agents” e “The Avengers”) e aveva sviluppato un sodalizio con il chitarrista Max Cottafavi e il batterista Gigi Cavalli Cocchi. Fu quest’ìultimo a coinvolgerlo nel 1989 nel progetto dell’esordiente Luciano Ligabue, che cercava una band per l’incisione del suo primo disco. Ghezzi, Cavalli Cocchi e Cottafavi – gruppo che dal 1991 ha assunto il nome di ClanDestino – collaboreranno con Ligabue fino al 1994. In questo sodalizio, Ghezzi ha inciso le parti di basso dei primi 4 dischi di Ligabue (“Ligabue”, Lambrusco coltelli rose & popcorn”, “Sopravvissuti e sopravviventi” e “A che ora è la fine del mondo?”), è presente anche nel best of “Primo tempo” e ha suonato per tutto il “Neverending tour”. Con Ligabue ha aperto i concerti degli U2 a Torino e Napoli nel 1993. In seguito, i ClanDestino hanno inciso nel 1994 l’album omonimo, ma in breve tempo Ghezzi ha lasciato il gruppo per motivi personali (sarà protagonista di una reunion nel 2003). Ha successivamente collaborato con la band dei Delinquenti e ha co-fondato gli Eclipse, nota tribute band dei Pink Floyd. Nel 2007 Ghezzi è tornato sul palco con i ClanDestino, con una formazione in parte modificata e il nome di Club Destino.

Eddie van Halen

Il 6 ottobre è morto Eddie van Halen, il leggendario chitarrista e co-fondatore dell’omonima band, all’età di 65 anni. Lo riportano i media americani citando la famiglia. Da tempo era malato di cancro alla gola. E’ considerato tra i chitarristi più influenti nella storia dell’heavy metal e del rock. Icona degli anni 80, ha raggiunto il successo nel mondo grazie al singolo “Jump”. Nato in Olanda e cresciuto in California, Eddie van Halen fondò nel 1974 i Van Halen con il fratello maggiore Alex, batterista. Cresciuto nel mito di Eric Clapton, Eddie con la band raggiunse il successo commerciale alla fine del decennio e in particolare con “1984”, cinque volte disco di platino e scrigno della più celebre hit della band, “Jump”. Con i quattro dischi seguenti, “5150” (1986), “OU812” (1988), “For Unlawful Carnal Knowledge” (1991) e “Balance” (1995), i Van Halen scalarono le classifiche; successivamente la band rallentò la propria produzione e dopo una serie di avvicendamenti arrivò “Van Halen III”, del 1998. Ma fu un insuccesso di critica e di vendite. L’ultimo lavoro del gruppo, “A Different Kind of Truth”, è del 2012.

johnny nash

Il 7 ottobre è morto Johnny Nash, famoso soprattutto per il brano I Can See Clearly Now. Il cantante aveva 80 anni ed è morto a Houston in Texas per cause naturali. Nash iniziò come cantante pop ma le sue canzoni più famose furono melodie reggae. È considerato uno dei primi cantanti non giamaicani ad aver inciso musica reggae a Kingston in Giamaica appunto ed era amico di Bob Marley. I Can See Clearly Now, uscito nel 1972, rimase in testa alle classifiche per settimane. Nash divenne popolare anche per l’interpretazione della colonna sonora del cartone animato L’invincibile Ercules.

alfredo cerruti

Il 18 ottobre Alfredo Cerruti si è spento a 78 anni (era nato a Napoli il 28 giugno 1942), produttore discografico, autore televisivo, personalità carismatica, fidanzato di Mina a metà anni ’70, voce inconfondibile di quegli sketch e fondatore degli Squallor, gruppo rock demenziale che ha pubblicato ben 35 album , dai titoli espliciti come Arrapaho, essendo tra l’altro stato censurato dalle radio.

spencer davis

Il 19 ottobre Spencer Davis, il musicista inglese autore con Stevie Winwood di un classico del rhythm and blues come “Gimme Some Lovin’”, è morto per le conseguenze di una polmonite, come riportato dai suoi agenti alla BBC. Aveva 81 anni. Con lo Spencer Davis Group, in cui suonavano anche i fratelli Stevie e Muff Winwood, Davis era stato alla guida di una delle band protagoniste della British invasion in America insieme a Beatles e Rolling Stones, caratterizzandosi però per uno stile decisamente influenzato dal soul. Per anni la sua fama è stata messa in ombra dal frontman della band, l’interprete dei brani scritti insieme a Davis, ovvero Stevie Winwood che nella band oltre a cantare si occupava di suonare l’organo. Secondo il fratello Muff Winwood, il fatto che la band avesse preso il nome di Davis fu quasi del tutto casuale.

Stefano D'Orazio

Il 6 novembre Stefano D’Orazio, storico batterista dei Pooh, è morto all’età di 72 anni. E’ successo in quel di Roma dopo una carriera nel mondo della musica, non solo come batterista, ma anche come paroliere e cantante. Lo conferma al Fattoquotidiano.it Riccardo Vitanza di Parole e dintorni, l’agenzia che ha curato per anni la comunicazione dei Pooh. Ad annunciarlo per primo, sui social, l’amico Bobo Craxi: “Stefano amico mio. Suona e scrivi anche lassù”. D’Orazio, scomparso per il Covid-19, come ha rivelato Loretta Goggi durante “Tale e Quale Show”, era l’indimenticato batterista dei Pooh dal 1971, quando ha sostituito Valerio Negrini che aveva deciso di abbandonare per essere solo l’autore della band. D’Orazio era anche il responsabile della parte finanziaria e manageriale del complesso. Un uomo concreto ma anche molto amato da Red Canzian, Roby Facchinetti e Dodi Battaglia. Dopo 38 anni, il 30 settembre 2009, aveva deciso di mollare tutto e dedicarsi alla sua attività di imprenditore musicale e autore di musical come “Pinocchio”, “Aladin”, “Mamma Mia”, “W Zorro” e “Cercasi Cenerentola”. In realtà Stefano D’Orazio non ha mai mollato i Pooh perché in qualche modo tutti quanti lo hanno aiutato anche nelle sue attività imprenditoriali musicali. Fino all’ultimo singolo scritto durante il lockdown a quattro mani con Roby Facchinetti “Rinascerò Rinascerai” (che ad oggi conta oltre 16 milioni di visualizzazioni su Youtube), i cui proventi ricavati dalla vendita sulle piattaforme musicali sono stati destinati all’Ospedale papa Giovanni XXIII di Bergamo, ancora in prima linea nella lotta al Coronavirus. Sempre con Roby Facchinetti, D’Orazio aveva in programma la scrittura di un nuovo musical, “prodotto dagli australiani, con Roby ci stiamo lavorando da due anni. Una cosa completamente fuori dai canoni, tridimensionale e multimediale. Ora è tutto fermo”.

Il 19 dicembre è morto Erminio “Peppe” Salvaderi, noto musicista e co-fondatore dei Dik Dik, la celebre band de L’isola di Wight. Pepe Salvaderi era stato fra i fondatori dei Dik Dik, band di Milano nata nella seconda metà degli anni Sessanta. Elemento fondamentale del gruppo, cantava come seconda voce, oltre a suonare la tastiera e la chitarra ritmica. Appassionato di musica sin da giovanissima, aveva iniziato la sua carriera studiando chitarra con Miguel Alberniz, in seguito con gli amici d’infanzia, Lallo (Giancarlo Sbriziolo) e Pietruccio (Pietro Montalbetti), aveva fondato nel 1965 i Dik Dik. Il nome della band deriva da quello di una gazzella africana. Nati negli anni Cinquanta con un altro nome, i Dik Dik arrivarono al successo dopo la firma con la casa discografica Ricordi, poi il debutto con 1-2-3/Se rimani con me e la fama nel 1966 con Sognando la California.

Vip morti 2020: altri ruoli

vip morti nel 2019

Il primo gennaio all’età di 77 anni è morto David Stern, che è stato per tre decadi il Commissioner della NBA, che grazie a lui si è sviluppata ulteriormente ed ha visto aumentare il proprio prestigio. Stern era in gravi condizioni dallo scorso 12 dicembre. Stern è stato uno degli uomini più importanti e conosciuti degli ultimi 40 anni dell’NBA. In queste ore sui social rimbalzano ovunque sue foto con i grandissimi di questi ultimi decenni da Larry Bird a ‘Magic’ Johnson, da Koe Bryant a Michael Jordan fino a LeBron James. Stelle che hanno luccicato anche grazie al lavoro di Stern che ha rivoluzionato il campionato di basket americano rendendolo visibile in ogni angolo del mondo. I big del basket sono diventati ancora più popolari e hanno firmato anche contratti milionari grazie agli accordi che proprio Stern era riuscito a trovare con le tv, che hanno permesso a ogni franchigia di guadagnare cifre enormi. Lo scorso 12 dicembre Stern si trovava a pranzo a New York quando si sentì male, fu portato rapidamente in ospedale, ma dall’ospedale non è più uscito, le sue condizioni erano critiche a causa di un’emorragia cerebrale. E’ stato lui ad aprire le danze dei Vip morti nel 2020.

Nathael Julan

Il 3 gennaio è morto Nathael Julan, attaccante del Guingamp, ad appena 23 anni per le conseguenze di un tragico incidente stradale. A darne conferma è stato lo stesso club bretone, attualmente iscritto al campionato di Ligue 2 (l’equivalente francese della nostra serie B). Il giocatore nel corso della giornata di venerdì 3 gennaio aveva regolarmente svolto l’allenamento con il resto della squadra, per poi lasciare il centro sportivo a bordo della sua automobile di cui ha fatalmente perso il controllo. La dinamica del sinistro è stata descritta da ‘L’Equipe’. Il quotidiano francese ha spiegato che Julan era al volante della sua vettura e da solo a bordo, quando ha sbandato ed è andato violentemente a sbattere sulle strade di Pordic, nel dipartimento della Cotes-d’Armor (Bretagna). Prodotto delle giovanili del Le Havre, Julan era un attaccante di notevoli mezzi fisici (era alto 196 cm per 83 kg). Dopo gli esordi con il Le Havre, era divenuto un giocatore del Guingamp il 31 gennaio 2018. Aveva anche trascorso la stagione 2018-2019 in prestito al Valenciennes, prima di fare ritorno in rossonero quest’anno.

Il 4 gennaio è morto all’ospedale di Novara, dove era ricoverato dal giorno di San Silvestro a seguito di un aneurisma, Emilio Giletti, 90 anni, padre di Massimo, giornalista e conduttore della trasmissione “Non è l’Arena” su La7. Domani i funerali a Ponzone Trivero, in provincia di Biella. Giletti era un noto imprenditore tessile, titolare dell’azienda di famiglia che produceva uno dei migliori filati del settore. Negli anni Cinquanta Giletti è stato un giovane talento dell’automobilismo, ingaggiato dalla Maserati per correre con le vetture sport e le monoposto accanto al mitico Juan Manuel Fangio, che aveva già conquistato il primo Mondiale di F.1 sull’Alfa Romeo. La carriera di Giletti ad alto livello durò soltanto tre stagioni, negli anni Cinquanta, concludendosi con il ritiro a meno di 25 anni, per obbedire alla volontà dei genitori. È stato anche sponsor di Edi Orioli e dello sfortunato Fabrizio Meoni alla Parigi-Dakar.

Il 5 gennaio è morta a Roma, a 92 anni, Lorenza Mazzetti, scrittrice, regista, pittrice. Fu vincitrice del premio Viareggio Opera prima nel 1961 col romanzo autobiografico ‘Il Cielo cade’ (ed. Garzanti poi ripubblicato da Sellerio), autore di molti altri libri e di film. Da quell’opera fu tratta la pellicola omonima di Andrea e Antonio Frazzi, con Isabella Rossellini e Jeroen Krabbe, sceneggiata da Suso Cecchi D’Amico, già applaudita dalla critica del Jewish Film Festival di Washington nel 2000, poi premiata con menzione speciale al festival di Berlino nel 2001. Lorenza Mazzetti scrisse altri romanzi come ‘Uccidi il padre e la madre’, ‘Con rabbia’, ‘Diario Londinese’ e ‘Album di famiglia’. Nel cinema fondò il Free Cinema Movement e fece i film ‘K’ (1953) e ‘Together’ (1956), con Michael Andrews, Eduardo Paolozzi, quotato miglior film d’avanguardia a Cannes. Ha diretto il Puppet Theatre di Roma. Ma notevole è pure la sua vicenda personale che la vide nel 1944 superstite della strage nazista di Focardo di Rignano sull’Arno (Firenze), paese dove viveva dopo esser stata adottata con la gemella Paola dalla zia Cesarina Mazzetti e Robert Einstein, cugino di Albert Einstein di cui Hitler aveva ordinato lo sterminio di familiari e parenti per l’attivismo antinazista dello scienziato. Un anno dopo quell’eccidio lo zio Robert Einstein, fortuitamente scampato alla morte, si suicidò. Della strage di Focardo si occupò pure da presidente della Provincia, nel 2007, Matteo Renzi chiedendo al Governo di fare piena luce. L’episodio ha segnato per sempre Lorenza Mazzetti la quale non cessò mai la ricerca dei responsabili.

John Baldessari

Il 6 gennaio uno dei più famosi artisti americani contemporanei, John Baldessari, è morto a 88 anni nella sua casa di Venice in California. Lo ha annunciato la galleria Marian Goodman, che lo rappresentava, definendolo una persona “intelligente” e un artista “incomparabile”. Baldessari, che aveva realizzato migliaia di opere combinando immagini e parole e inserendo una dose di umorismo nell’arte concettuale, era stato premiato alla Biennale di Venezia del 2009 con il Leone d’Oro alla carriera e nel 2014 aveva ricevuto dal presidente Barack Obama la Medaglia Nazionale per le Arti. Figlio di un robivecchi italiano emigrato in California e di una infermiera danese, Baldessari aveva cominciato la sua carriera come pittore semiastratto. A metà anni 60 aveva cominciato a sperimentare oltre la tela, girando film, creando collage e installazioni. Nel 1970 era diventato famoso prendendo le distanze dalla sua produzione precedente: aveva bruciato i quadri ripudiati del periodo 1953-1966 nel crematorio di una impresa di pompe funebri di San Diego, usando poi le ceneri per fare biscotti. “The Cremation Project” – o meglio l’urna che conteneva i dolcetti – fu esposto al MoMA di New York nella mostra “Information”, la prima importante rassegna di arte concettuale organizzata in America.

italo moretti

Il 9 gennaio è morto Italo Moretti, famoso inviato della Rai in Sud America. Aveva 86 anni. È stato conduttore del Tg2 e direttore del Tg3. Nella sua vita è sopravvissuto a una sciagura aerea nello scalo di Addis Abeba, vicenda di cui fece un reportage che gli valse il Premio Saint-Vincent. Ha sempre inseguito la verità sul caso Alpi-Hrovatin, e non a caso è stato anche presidente del Premio Ilaria Alpi per il giornalismo televisivo. Originario di Giulianova, in Abruzzo, classe 1933, aveva iniziato la sua carriera a soli 17 anni collaborando a Perugia con le redazioni locali dei quotidiani nazionali. Intelligente, tenace, entrò in Rai nel 1966. Nella sua lunga carriera si è occupato di sport, cronaca, politica interna ma soprattutto di politica estera. Nel 1968 iniziò il suo lavoro in America Latina. Da Cile, Argentina e Urugua, ha raccontato i regimi golpisti e autoritari di quei paesi, documentando la tragedia dei desaparecidos. Nel 1976 Italo Moretti passò alla redazione del Tg2 continuando a dedicarsi al Sud America, ma anche alla politica di Portogallo e Spagna. Nel 1987 fu nominato vice-direttore del Tg3 di cui diventò poi direttore nel 1995. Dal ’96 al ’98 fu condirettore della Tgr Italo Moretti è stato anche scrittore . Tra i tanti riconoscimenti anche la Colomba d’Oro per la pace, il Microfono d’Argento, il Premiolino, il Premio Scarfoglio.

Francesco Claudio Averna

Il 9 gennaio è morto Francesco Claudio Averna, ex presidente dell’omonima società produttrice del noto amaro siciliano, icona di successo in Italia e nel mondo con lo slogan “il gusto pieno della vita”. L’imprenditore di Caltanissetta, 66 anni, era ricoverato all’Istituto Tumori per una malattia che non gli ha dato scampo. Commendatore al merito della Repubblica Italiana, aveva gestito la società assieme al cugino Francesco Rosario fino al 2014, quando l’azienda Averna è stata venduta al gruppo Campari. Lascia la moglie Francesca e la figlia Alessandra.

giampaolo pansa

Il 12 gennaio è morto Giampaolo Pansa, protagonista di oltre mezzo secolo di carta stampata. Aveva 84 anni. Nato il primo ottobre del 1935 a Casale Monferrato, esordì a 26 anni alla Stampa. Ha frequentato le redazioni delle testate più autorevoli, lasciando ovunque una traccia della sua forte personalità. Impetuosa, travolgente, anche generosa. La sua firma è legata ai capitoli più importanti della storia italiana, a cominciare dal disastro del Vajont, raccontata per il quotidiano diretto da Giulio de Benedetti. Sul Giorno di Italo Pietra dedicò i suoi articoli alle trasformazioni dell’Italia negli anni del boom, con le contraddizioni del passaggio da Paese contadino a realtà industriale. Tornato alla Stampa nel 1969 fu incaricato da Alberto Ronchey di scrivere della strage di piazza Fontana. E pochi anni più tardi, al Corriere della Sera, firmò insieme a Gaetano Scardocchia l’inchiesta che contribuì a svelare lo scandalo Lockeed. Nel 1977 l’approdo a Repubblica e l’inizio del suo lungo sodalizio professionale e umano con Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo. Nel 1978 Pansa assume la vicedirezione del quotidiano, affiancando Scalfari nelle scelte più difficili imposte dalla stagione del terrorismo. Oltre che autore di straordinari reportage, Pansa fu inventore di uno stile giornalistico che ha fatto scuola. “Giornalista dimezzato”, “Dalemoni” (sull’intesa tra D’Alema e Berlusconi), “Parolaio rosso” (Bertinotti), “Balena bianca” (la Democrazia Cristiana) sono soltanto alcuni lemmi di un suo personalissimo lessico con cui ha svecchiato la cronaca politica italiana, scrutata con il suo leggendario binocolo ai congressi di partito. Pochi come Pansa hanno avuto il passo del rubrichista: per l’Espresso nel 1984 – direttore Giovanni Valentini – ideò la fortunata rubrica “Chi sale e chi scende” (che ancora oggi vanta molti imitatori) e nel 1987 esordì su Panorama con il Bestiario (direttore Claudio Rinaldi), poi trasferito su l’Espresso. Anche i titoli dei suoi saggi restituiscono la verve polemica, rivolta soprattutto al mondo dei giornali: “Comprati e venduti”. “Carte false”. “Lo sfascio”. “Il malloppo”. “Carta straccia”. Rivendicava con orgoglio il ruolo di “rompiscatole”, epiteto che diede anche il titolo a un libro autobiografico. Al lavoro del giornalista, Pansa ha affiancato per cinquant’anni quello dello storico. A cominciare dalla tesi di laurea dedicata alla “Guerra partigiana tra Genova e il Po”, sotto il magistero di Guido Quazza. A incoraggiarlo verso gli studi storici fu anche Alessandro Galante Garrone, suo professore di Storia moderna e contemporanea negli anni torinesi dell’università. Da quel mondo di studi convintamente antifascista, Pansa si sarebbe allontanato tra gli anni Novanta e il nuovo secolo, quando cominciò il suo lungo viaggio attraverso le zone oscure del partigianato. Il primo titolo di successo fu “Il Sangue dei vinti” che suscitò polemiche non lievi: nelle vesti di aguzzini e seviziatori, tra il maggio del 1945 e la fine del 1946, s’incontrano alcuni dei partigiani che avevano liberato il Paese da nazisti e fascisti.

pietro migliaccio

Il 16 gennaio è morto Pietro Migliaccio, a Roma a 86 anni il nutrizionista Pietro Antonio Migliaccio, volto noto della televisione e docente in Scienza dell’alimentazione. La notizia è stata resa nota sul sito del suo studio medico. Specialista in Gastroenterologia, presidente emerito della Società italiana di Scienza dell’Alimentazione aveva infatti partecipato a numerose trasmissioni come divulgatore. Era fra i massimi esperti in Italia di nutrizione e sostenitore della dieta Mediterranea, contro gli eccessi delle diete estreme. Per la sua notorieta’ era stato anche imitato da Fiorello, provocando il divertimento dello stesso scienziato. Nato a Catanzaro nel 1934 per oltre 25 anni è stato ricercatore dell’Istituto nazionale della Nutrizione. Fra le sue cariche Laureato a Roma presso l’Università La Sapienza in Medicina e Chirurgia. Libero Docente in Scienza dell’Alimentazione e Specialista in Gastroenterologia; esperto in Auxologia.

pietro anastasi

Il 17 gennaio è morto a 71 anni l’ex calciatore Pietro Anastasi, fra i migliori attaccanti italiani degli anni Settanta. Siciliano, trasferitosi in Lombardia negli anni Sessanta, esordì in Serie A con il Varese nel 1967, due anni prima di trasferirsi alla Juventus, che lo pagò 650 milioni di lire battendo la concorrenza dell’Inter. Anastasi giocò otto stagioni alla Juventus, segnando 78 gol e vincendo tre campionati. Nel 1968 fu tra i convocati della Nazionale che vinse i suoi primi e unici Campionati europei: nella finale ripetuta contro la Jugoslavia segnò il gol del definitivo 2-0. Negli ultimi anni di carriera giocò anche con Inter, Ascoli e Lugano. Dopo il ritiro allenò le giovanili del Varese e divenne opinionista televisivo. Nel 2018 gli era stato diagnosticato un tumore.

Il 21 gennaio è morto Emanuele Severino, il filosofo che il 26 febbraio avrebbe compiuto 91 anni. Nei suoi tanti libri pubblicati e nelle tante conferenze a cui ha partecipato ha affrontato il tema del divenire e della morte, con un solo obiettivo: negarne l’esistenza. Emanuele Severino è scomparso a Brescia il 17 gennaio scorso, l’annuncio della morte è stato dato a funerali avvenuti.

bill ray

Il 21 gennaio il fotografo statunitense Bill Ray, autore di memorabili ritratti di vip e di un leggendario reportage dall’interno del club dei motociclisti degli Hells Angels, commissionato nel 1965 da Life ma poi non pubblicato nella sua casa di New York. Ray iniziò la carriera nel 1957 come freelance collaborando con “Life”, entrando in pianta stabile nello staff del magazine nel 1964, dove poi è rimasto fino alla chiusura. Divenne famoso per i suoi scatti di celebrità quasi sempre in pose inusuali: da Marilyn Monroe, mentre canta «Happy Birthday» per il presidente John F Kennedy sul palcoscenico del Madison Square Garden, a Elvis Presley nell’intimità mentre si pettina il ciuffo; da Faye Dunaway e Steve McQueen in relax sul set nel 1967 a Ronald Reagan a cavallo per la campagna elettorale a candidato governatore tallonato da un giovane che protesta contro di lui nel 1966, fino ai Beatles sulla scaletta dell’aereo al loro arrivo all’aeroporto di Los Angeles nel 1965. Dopo l’esperienza con Life, Ray ha firmato 46 copertine per il magazine Newsweek, continuando a fotografare star d Hollywood a cantanti e e capi di stato. I suoi lavori sono comparsi in molti delle più importanti lavori sono apparsi Fortune. Nel 1965 Ray fu incaricato da Life di realizzare un reportage sui motociclisti degli Hells Angels, considerati teppisti sulle Harley-Davidson. Il fotografo riuscì a farsi accettare all’interno del club; tuttavia l’intero reportage non fu mai pubblicato per volere dell’editore. Dopo cinquant’anni quelle immagini, rimaste a lungo nel cassetto, hanno visto finalmente la luce in un volume. Ray realizzò un diario di viaggio da San Bernardino a Bakersfield, in California, in sella alle Harley Davidson inseguendo i bikersì più famosi e detestati per un mese. I tatuaggi, le giacche di pelle, i raduni e le soste nei bar, i momenti di svago e i continui controlli della polizia: l’obiettivo di Ray, l’unico a intercettare in anticipo il fenomeno, riuscì a immortalare la vita quotidiana dei motociclisti. Il libro è poi diventato una mostra che ha fatto il giro del mondo.

Il 22 gennaio è morto Salvatore Carbone, classe 1946, mitico terzino destro del Sorrento che approdò in serie D nel 1967-68, con 27 presenze e una rete. Cresciuto nel vivaio del Napoli, era arrivato a Sorrento insieme a tanti giovanissimi della squadra azzurra. Il loro mentore fu Andrea Torino, coordinatore del settore giovanile del Napoli prima di seguire Gioacchino e Achille Lauro nella storica avventura rossonera conclusa con l’approdo in serie B nel 1970-71. Salvatore Carbone nell’anno del campionato di Promozione fu uno dei protagonisti più brillanti. Con loro i sorrentini Gaetano Mastellone, Salvatore Acampora, Lello Centro, Antonio Schisano, con l’attaccante Ascatigno a completare una rosa di categoria superiore, guidata da Gennaro Rambone. Sul filo dei ricordi, Salvatore Carbone da allora diventò sorrentino per sempre. Lasciate le scarpe al chiodo, dopo le parentesi alla Puteolana e all’Alatri, si dedicò alla macelleria di famiglia a Napoli, poi al ruolo di autista di noleggio. Aveva 73 anni.

Edwin Straver

Il 24 gennaio è morto Edwin Straver, motociclista olandese a causa delle ferite riportate nella caduta del 16 gennaio, mentre stava correndo la penultima tappa della Dakar 2020 da Shubaytah a Haradh. Dopo una battaglia tra la vita e la morte durata una settimana, il pilota si è arreso il 24 gennaio. Aveva 48 anni. A dare la notizia ufficiale del decesso è stata l’organizzazione della Dakar su Twitter: “Siamo stati informati dalla famiglia Straver che Edwin è morto a causa delle ferite riportate durante la caduta: tutta l’organizzazione della Dakar porge le sue condoglianze alla famiglia e agli amici di Edwin”. Edwin Straver, pilota di motocross, stava partecipando alla sua terza Dakar. L’edizione 2019 è stata speciale per la sua carriera, con la vittoria nella categoria “Original by Motul” (30° posto assoluto). Quest’anno stava gareggiando nella stessa categoria della Dakar, fino all’incidente nell’undicesima tappa che gli ha causato la frattura di una vertebra cervicale. La caduta sarebbe avvenuta a bassa velocità (circa 50 chilometri orari) in una zona caratterizzata da diverse dune. Nel comunicato della Dakar si legge che, subito dopo l’incidente, un elicottero ha raggiunto il luogo dell’impatto per soccorrere Straver, che si trovava in arresto cardiaco. I medici hanno provato a rianimare il pilota, prima di trasportarlo all’ospedale di Riyadh, dove è stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva. Dopo le prime cure, mercoledì 22 gennaio Straver è stato trasportato in Olanda: due giorni dopo è morto a 48 anni nel suo Paese di nascita. È la seconda vittima nella Dakar 2020 (svolta in Arabia Saudita), dopo il portoghese Paulo Goncalves, caduto durante la settima tappa nella categoria [sta_anchor id=”kobe”]moto[/sta_anchor].

Il 26 gennaio è morto Kobe Bryant, campione di Basket. Aveva 41 anni. La causa un incidente con l’elicottero. Il dipartimento di polizia ha rivelato che, a causa delle avverse condizioni di visibilità, tutti gli elicotteri delle autorità di polizia, nella mattinata di domenica, sono rimasti a terra per precauzione. La fitta nebbia potrebbe essere la causa dell’incidente. Il Los Angeles Times scrive che tra i morti ci sono anche l’allenatore di baseball universitario John Altobelli insieme alla moglie Keri e alla figlia 13enne Alyssa, e Christina Mauser, allenatrice e collaboratrice di Bryant. Il gruppo stava andando alla Mamba Sports Academy, un centro sportivo di proprietà di Bryant a Thousand Oaks, per una partita di allenamento della squadra di basket di Gianna, allenata dallo stesso Bryant.

Il 26 gennaio l’ex nazionale olandese Robbie Rensenbrink , che da anni lottava contro la atrofia muscolare progressiva (stretta parente della Sla), è morto all’età di 72 anni. E’ stato tra gli attaccanti protagonisti dell’Olanda negli anni ’70, finalista della Coppa del Mondo nel 1974 e nel 1978: suo il palo che in finale negò agli Orange il titolo contro l’Argentina. Rensenbrink ha vestito anche la maglia dell’Anderlecht, con cui è stato campione del Belgio nel 1972 e nel 1974, la Coppa delle Coppe nel 1976 e nel 1978, nonchè la Supercoppa europea.

Mary Higgins Clark

Il 31 gennaio è morta a 92 anni la scrittrice Mary Higgins Clark, una cinquantina di libri e 300 milioni di copie vendute nel mondo, considerata la «regina della suspense», vincitrice nel 2000 del Mistery Writers of America e nel 2010 del Premio Agatha alla carriera. L’annuncio della scomparsa «circondata dall’affetto dei suoi cari» è stato dato dall’editore dell’autrice, Simon and Schuster. Origini irlandesi, Mary Higgins Clark era nata nel 1927 nel Bronx. Infanzia difficile: nel 1939perde padre Luke forse stroncato dal superlavoro per far vivere la famiglia. La madre non ce la fa a mantenere Mary e i suoi due fratelli, e affitta le stanze di casa, il fratello si ammala di osteomielite — morirà di meningite dopo essersi arruolato in Marina. Mary si dà da fare, trova qualche lavoretto, è centralinista in un albergo e hostess della Pan Am per un anno; ma non smette di scrivere. Si sposa nel 1949 con Warren Clark, il cui cognome conserverà per tutta la vita. Ma la felicità ancora una volta le sfugge di mano: Mary resterà vedova con cinque figli nel 1964. Ed è allora che si decide a pubblicare: scrivere è un amore di gioventù. Il primo titolo non è un giallo, è una biografia romanzata e rosa di George Washington, e non ha grande successo. Ma con il secondo, il suo primo thriller del 1974, Dove sono i bambini?, è subito bestseller: in tre mesi il romanzo vende per 3 mila dollari ne vale 100 mila. La sua cifra è la sensibilità che guida il fiuto per il crimine. Non per niente, il suo stile è considerato magistrale nell’ambito del thriller psicologico di cui è stata pioniera e maestra. Il suo editore italiano è Sperling & Kupfer, per il quale nel 2019 è uscito Non chiudere gli occhi, scritto a quattro mani con Alafair Burke.

Il primo febbraio si è spento all’età di 64 anni Andy Gill, chitarrista e membro fondatore del gruppo post punk dei Gang of Four. L’addetto alle sei corde della formazione originaria di Leeds è scomparso il 1 febbraio in seguito a una breve malattia [sta_anchor id=”gaucci”]respiratoria[/sta_anchor].

Luciano Gaucci

Il primo febbraio è morto Luciano Gaucci, a Santo Domingo dove si era trasferito. Aveva 81 anni. Gaucci è stato presidente del Perugia dal 19991 al 1999 e ha continuato a controllarlo fino a metà del decennio successivo, portando il Grifone a vette importanti per una realtà di provincia. Gaucci, che iniziò la sua ascesa imprenditoriale da una ditta di pulizie, ha portato il Perugia dalla serie C alla A, ha lanciando giocatori come Marco Materazzi e Hidetoshi Nakata. Concluse anche alcune operazioni un po’ forzate, ma che gli diedero grande popolarità. Come quando nel 2003 tesserò Saadi Gheddafi, figlio del Colonnello. Grande appassionato di cavalli, è stato proprietario del mitico Tony Bin. Gaucci, con le sue “sbroccate” leggendarie ha fatto anche la fortuna degli addetti ai lavori: si ricorda una celebre litigata col presidente del Bari Matarrese davanti alle telecamere.

Il 3 febbraio, il critico letterario George Steiner, eclettico uomo di lettere che nella sua opera si e’ spesso dedicato al paradosso del potere morale della letteratura e della sua impotenza di fronte ad un evento come l’Olocausto, è morto all’eta’ di 90 anni nella sua casa di Cambridge, in Inghilterra. Ne da’ notizia il figlio David citato dal sito del New York Times. Saggista, scrittore, insegnante e, appunto, critico letterario, Steiner era succeduto a Edumnd Wilson come critico del New Yorker, svolgendo tale attivita’ per oltre 30 anni, dal 1966 al 1997. Al centro della sua concezione, come sottolineato da lui stesso nel suo ‘Grammars of Creation’, basato su un ciclo di lezioni tenute all’Universita’ di Glasgow nel 1990, era lo “stupore, che puo’ sembrare ingenuo alla gente, davanti al fatto che si puo’ usare il discorso umano per amare, costruire, perdonare, ma anche per torturare, odiare, distruggere e annichilire”. Nelle sue memorie intitolate ‘Errata: An Examined Life’, del 1998, Steiner aveva sottolineato come sulla sua formazione avesse influito il fatto di essere cresciuto poliglotta, parlando il francese, il tedesco e l’inglese. In Italia la maggior parte della sua opera è stata pubblicata da Garzanti che sta ristampando molti titoli introvabili. Il più recente è ‘Una certa idea di Europa’ nella collana PGL.

gianni minervini

Il 4 febbraio è morto il produttore Gianni Minervini nato nel 1928, figlio del giornalista Roberto e fratello della scultrice Annamaria. Aveva 91 anni. Nel 1976 fondò la AMA Film in società con Antonio e Pupi Avati. Oscar per il miglior film straniero con Mediterraneo nel 1991 ha anche prodotto il primo film di Roberto Benigni, Berlinguer ti voglio bene e i primi film di Gabriele Salvatores. Come attore aveva interpretato il ragazzo fiorentino che fa una sonora pernacchia ad Alberto Sordi nel film Souvenir d’Italie. “Un produttore innovativo capace di prendere i suoi rischi con il quale nel 1976 avevamo fondato, insieme a mio fratello Pupi, la Ama Film” dice all’ANSA Antonio Avati del produttore Gianni Minervini morto a Roma all’Ospedale Fatebenefrattelli dell’Isola Tiberina dove sono anche previsti i funerali domani alle 15 nella chiesa di San Bartolomeo. Con lui abbiamo fatto film di Pupi come ‘La casa delle finestre che ridono’ e ‘Una gita scolastica’ e soprattutto abbiamo prodotto il primo film di Benigni, ‘Berlinguer ti voglio bene’ che ci aveva fatto assistere a un suo spettacolo, con noi due soli spettatori, al Teatro Alberichino di Roma. E pensare che la collaborazione con Gianni Minervini – conclude – era iniziata nel 1975 con un film sfortunatissimo come ‘Bordella’ che fu anche sequestrato”.

giovanni cattaneo

Il 5 febbraio è morto a 85 anni Giovanni Cattaneo. Da tempo viveva in una casa di cura con la pensione minima dopo essere stato vittima di una truffa. Per i piùcontinuava ad essere il volto più celebre di ‘Capitan Findus’. Protagonista della pubblicità dei bastoncini di pesce nella tv a cavallo tra gli anni ‘70 e ’80, Giovanni Cattaneo era stato il primo a dare un volto allo storico marchio alimentare. Dopo di lui furono altri ad indossare i panni di ‘Capitan Findus’, ma lui era stato il primo. “Il mondo dello spettacolo mi piaceva, eppure nessun lavoro mi ha mai fatto paura”, aveva raccontato a Il Giorno nel 2012: “Mi alzavo alle 4 per andare a scaricare i camion all’Ortomercato, sono stato facchino, tassista, bagnino nelle piscine comunali, bibliotecario, bidello e maschera alla Scala. Per un periodo ho fatto anche il vigile”, aveva detto.

beverly popper

Il 6 febbraio è morta Beverly Popper, aveva 88 anni. Nata a New York nel 1922, Beverly Pepper si è dapprima dedicata alla pittura, in un’evoluzione dalla figurazione all’astrazione, per poi dedicarsi a partire dal 1961, definitivamente, alla scultura, che ha messo in questione con una sperimentazione continua di materiali e forme. Il suo percorso è segnato proprio da questa indefessa ricerca sulle proporzioni e i possibili elementi che l’hanno portano alla realizzazione di sculture monumentali, installazioni e progetti di Land Art. In Italia trovò un ambiente ideale per sviluppare i propri interessi studiando nelle fonderie, le tecniche più diverse per modellare , ad esempio, il ferro e la ghisa. Capacità tecniche che mise a frutto nella creazione delle sue opere più celebri in uno splendido studio, un castello medievale a Todi, dove continuò a immaginare anche i suoi progetti di Land Art. Proprio a Todi, lo scorso settembre è stato inaugurato il parco Beverly Pepper con le sculture monumentali in acciaio, che l’artista aveva donato alla città. Tra i suoi lavori più recenti bisogna ricordare la scultura ambientale Brufa Broken Circle, in acciaio corten, pietra, terra, prato e ghiaia, dal nome della piccola cittadina umbra, mentre nel 2018 è stata inaugurata all’Aquila, parte del progetto Nove artisti per la ricostruzione, Amphisculpture, un maestoso anfiteatro realizzato all’interno del Parco del Sole di Collemaggio. Le sue sculture sono presenti nelle collezioni di numerosi musei del mondo: dal Metropolitan Museum di New York al Museum of Fine Arts di Boston, dall’Hirshhorn Museum di Washington alla Galleria Nazionale di Roma.

Claire Bretécher

Il 12 febbraio Claire Bretécher è morta a Parigi, all’età di 79 anni. Divenne famosa negli anni ’60 e ’70, con le sue strisce satiriche sulla società francese e sul ruolo delle donne. Negli anni ’80 crea Agrippina, il suo personaggio più noto, una adolescente un po’ spigolosa alle prese coi problemi della crescita legati alla sua età. Prima donna celebre in un mondo, quello delle bandes dessinées, fino ad allora prettamente maschile, prima donna a mettere al centro delle sue graffianti storie le donne e il loro complesso rapporto con la società francese dell’epoca, in pieno ’68 transalpino, poi lungo gli anni ’70 e i cambiamenti radicali di costumi e mentalità. “Una delle pioniere della letteratura di genere, impose il suo stile e i suoi toni del tutto originali”, così la ricorda la casa editrice Dargaud, da lei fondata, e che ha pubblicato negli anni le sue opere. Letteratura ma anche altro. Pittura, anche, soprattutto nella seconda parte della carriera. Nata a Nantes, sulla Loira, si forma a Parigi con mostri sacri come Goscinny – creatore di Asterix e Lucky Luke – il disegnatore Uderzo, Peyo – l’inventore dei puffi – insomma con la ‘scuola dei belgi’ che domina la scena negli anni ’60. Non solo Agrippina. La sua serie dei “Frustrati” mette alla berlina gli intellettuali radical-chic della sinistra francese del decennio successivo, guadagnandosi l’apprezzamento del filosofo Roland Barthes, che nel 1976 definisce Bretécher “il miglior sociologo francese”. Vince il prestigioso Grand prix di Angouleme ed entra di diritto tra i grandi, anzi le grandi, una delle prime, una delle poche, della nona arte.

simona viceconte

Il 14 febbraio Simona Viceconte, sorella di Maura Viceconte, la campionessa di maratona che si è tolta la vita proprio un anno fa (il 10 febbraio 2019), si è suicidata all’età di 45 anni nella giornata di giovedì 13 febbraio. Come riporta il ‘Corriere della Sera’, Simona, che come Maura era originaria della Valsusa ma si era trasferita a Teramo, si è tolta la vita impiccandosi alla ringhiera delle scale del palazzo dove abitava. Mamma di due bambine, Simona Viceconte non ha lasciato biglietti o messaggi per motivare il tragico gesto. Proprio come la sorella Maura. Maura Viceconte, bronzo europeo nel 1998 a Budapest e in gara ai Giochi di Sydney 2000 come maratoneta, aveva sconfitto un tumore dopo una lunga malattia. Il 10 febbraio 2019 si è tolta la vita, impiccandosi a un albero del giardino. Simona, per impiccarsi, ha scelto invece la ringhiera delle scale del palazzo in cui abitava. A trovarla è stata una vicina, che era appena rientrata dal portone principale. La Procura ha disposto un’autopsia per far chiarezza sulle condizioni di salute e sullo stato clinico della donna.

caroline flack

Il 15 febbraio è  morta la conduttrice britannica Caroline Flack, nel suo appartamento a Londra. Non sono state rese note le cause, ma secondo alcune fonti non confermate e riportate dal Daily Mail, si tratterebbe di suicidio. La presentatrice aveva 40 anni ed era diventata famosa in Gran Bretagna dopo aver preso parte al popolarissimo show della rete televisiva ITV2, Love Island. Altri due concorrenti della stessa trasmissione sono morti suicidi: Mike Thalassitis e Sophie Graydon. Flack tra poche settimane avrebbe dovuto testimoniare al processo in cui era accusata di aver aggredito il fidanzato, Lewis Burton. Il tribunale le aveva vietato di contattarlo, ma lui l’aveva raggiunta condividendo su Instagram una loro foto insieme, accompagnata dalla frase “Buon San Valentino, ti amo”.

Il 17 febbraio Harry Gregg, considerato uno degli eroi del disastro aereo di Monaco che decimò la squadra del Manchester United nel 1958, è morto all’età di 87 anni. Lo ha annunciato lunedì la fondazione che porta il suo nome. Portiere, Gregg salvò diverse persone, tra cui un bambino e i compagni di squadra Bobby Charlton e Jackie Blanchflower, dal disastro dell’aereo che trasportava la squadra il 6 febbraio 1958. Un volo 609 della British European Airways si schiantò al suo terzo tentativo di decollo da una pista ricoperta di neve mista a fango all’aeroporto di Monaco-Riem: morirono 23 dei 44 passeggeri, tra cui otto dei «Busby Babes», i giocatori cresciuti nelle giovanili dei Red Devils e allenato da Matt Busby. Gregg, nordirlandese, non era invece un prodotto del vivaio: era stato acquistato dal Doncaster nel dicembre 1957 per 23.500 sterline, all’epoca il trasferimento più costoso della storia per un portiere, e fu poi votato miglior ultimo difensore ai Mondiali del 1958. Aveva parlato dell’incidente nel 2018, in occasione di una cerimonia per i 60 anni dalla tragedia: «Mentirei se dicessi che ci penso tutto il tempo. In effetti, impazzirei. So che i media vorrebbero parlare di quello che è successo in pista. Non incolpo le persone per questo. Ma se tutto ciò che ho fatto, o tutto ciò che ho realizzato si riducesse a ciò che è successo in Germania, a Monaco, se la mia vita si fosse limitata a quello, non avrei ottenuto molto».mL’incidente avvenne al rientro della squadra da una partita di Coppa Europa a Belgrado. Dopo una sosta a Monaco, l’aereo si schiantò durante il decollo in condizioni meteorologiche avverse.

Barry Hulshoff

Il 18 febbraio è morto all’età di 73 anni Barry Hulshoff: fu difensore centrale dell’Ajax che dominò il calcio europeo nei primi anni ’70. Stazza imponente, capelli lunghi e barba folta, Hulshoff è stato uno dei pilastri del club di Amsterdam: 385 partite ufficiali tra il 1966 e il 1977, con 24 reti. L’annuncio della scomparsa, “dopo una breve malattia”, è stato dato dall’Ajax sul proprio sito ufficiale.  Nel suo palmares, figurano tre Coppe dei Campioni (1971, 1972 e 1973), una Coppa Intercontinentale (1972) e una Supercoppa Uefa, oltre a numerosi titoli e trofei nazionali. Lasciata l’attività di giocatore, Hulshoff cominciò quella di allenatore proprio all’Ajax, ma senza mai occupare panchine importanti, prima di ritirarsi nel 2002 per lavorare nello staff dei Lancieri. In nazionale ha raccolto solo 14 presenze, saltando il Mondiale del 1974 in Germania Ovest a causa di un infortunio.

Il 17 febbraio è morto Larry Tesler, l’informatico che negli anni ’70 ha inventato i comandi «taglia», «copia» e «incolla», ancora oggi in uso su computer, smartphone e tablet. Lawrence Gordon Tesler, questo il nome completo. Si è spento all’età di 74 anni, ma la notizia è divenuta pubblica solo nelle ultime ore. «L’inventore di taglia, copia e incolla, del trova e sostituisci, e di altro ancora era l’ex ricercatore di Xerox Larry Tesler. La vostra giornata lavorativa è più facile grazie alle sue idee rivoluzionarie», ha twittato Xerox, la società in cui l’informatico iniziò la sua lunga carriera, proseguita poi in Apple, Amazon e Yahoo.

jean daniel

Il 19 febbraio è morto Jean Daniel, fondatore del Nouvel Observateur, divenuto Obs. Lo ha annunciato il settimanale sul proprio sito web. “È morto mercoledì notte all’età di 99 anni dopo una lunga vita di passione, impegno e creazione”, si legge. Jean Daniel aveva fondato nel 1964 con Claude Perdriel Le Nouvel Observateur, di cui è stato direttore della pubblicazione fino al 2008.

Il 19 febbraio è morto Jens Nygaard Knudsen, inventore dei personaggi Lego. Ai quali non aveva mai dato un’età, un sesso, un volto preciso, soprattutto una razza, il colore di una pelle (il colore giallo fu scelto soltanto perché, in un sondaggio, risultò «il preferito dei bambini»). Quei pupazzetti o figurine avevano un’espressione neutra, perché tutti potessero giocare con loro in libertà, perché ogni bambino potesse scegliere la loro espressione, in un certo senso la loro «anima». Knudsen è morto mercoledì a 78 anni in una casa di riposo sulla costa occidentale della sua Danimarca. Aveva lavorato come disegnatore per la Lego dal 1968 al 2000, e aveva esercitato la sua fantasia su quei progetti di figurine per quasi 10 anni, prima di lanciarle ufficialmente nel 1978. Avevano quasi subito conquistato il mercato mondiale, superando i rivali americani come quelli della Hasbro, anche durante la crisi più profonda dell’industria dei giocattoli: la Lego, che produce in Danimarca, nella Repubblica Ceca e in Ungheria, solo nel 2019 e solo in Cina ha aperto 80 nuovi negozi.

Katherine Johnson

Il 24 febbraio è morta a 101 anni Katherine Johnson, la matematica, informatica e fisica statunitense, afroamericana e originaria della Virginia, che ha contribuito con i suoi calcoli a lanciare la corsa nello spazio lavorando per la Nasa. La sua storia è stata raccontata nel film del 2016 Il diritto di contare (Hidden Figures il titolo originale). Nel 2015 l’allora presidente degli Usa, Barack Obama, l’ha insignita della Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile negli Usa.

clive cussler

Il 24 febbraio è morto Clive Cussler, aestro dell’avventura con oltre 126 milioni di copie vendute nel mondo, 8 milioni in Italia. Si è ispirato alle sue imprese e alla sua esperienza di cacciatore di emozioni nei suoi romanzi bestseller tra cui ‘Sahara’, ‘Recuperate il Titanic!’ , ‘Salto nel buio’ e ‘Virus’. La sua morte a 88 anni, è stata annunciata oggi dalla seconda moglie, Janet Horvath, sui suoi profili social con “il cuore affranto”. “Condivido la tristezza per la morte di mio marito lunedì. E’ stato un privilegio e un grande onore condividere la vita con lui”. Clive, dice la moglie, “era la persona più cortese e gentile che abbia mai incontrato. So che le sue avventure continueranno”. Appassionato collezionista di auto e aerei d’epoca, raccolti nel Cussler Museum, ad Arvada, in Colorado, Cussler aveva fondato l”associazione no profit NUMA- the National Underwater and Marine Agency, specializzata nel recupero e conservazione dei relitti marini di interesse storico, ed era membro dell’Explorers Club di New York e della Royal Geographical Society di Londra. Passioni che si ritrovano nei suoi libri che schizzavano subito intesta alle classifiche dei più venduti, compreso l’ultimo, ‘Il destino del faraone’, uscito per Longanesi, il suo editore italiano, il 30 gennaio 2020. I suoi thriller hanno raggiunto le vette della clasifica del New York Times per più di 20 volte e i suoi libri sono stati pubblicati in 40 lingue in oltre 100 paesi. All’esordio, nel 1965 con ‘Enigma’, Cussler si è imposto subito all’attenzione con Dirk Pitt, l’ingegnere navale e maggiore dell’aeronautica statunitense, uomo d’azione per eccellenza, protagonista di alcune delle più incredibili avventure della NUMA, in viaggio in tutto il mondo con il suo insostituibile braccio destro Al Giordino. L’eroe di questa prima e famosa serie, che ha venduto 5 milioni di copie, ha ispirato anche il nome del figlio di Cussler, Dirk, con cui lo scrittore ha firmato a quattro mani gli ultimi romanzi. E sono numerosi i libri scritti da Cussler con altrui autori da Grant Blackwood a Graham Brown e da Thomas Perry a Justin Scott. Sono arrivate poi le serie dei Numa Files, degli Oregon Files, Le avventure dei Fargo e le Indagini di Isaac Bell dove ancora una volta si compenetrano la vita dell’autore e il suo universo immaginario. Oltre 80 le sue opere tra cui anche due avventure per bambini. Originario di Aurora, nell’Illinois, dove era nato il 15 luglio 1931 da madre americana e padre tedesco, Cussler si è arruolato nell’Aviazione durante la guerra di Corea dove ha lavorato come meccanico aeronautico e ingegnere di volo nel Military Air Transport Service. E’ stato sceneggiatore e direttore creativo di diverse agenzie pubblicitarie negli anni Sessanta ed ha vinto diversi premi internazionali per la televisione e radio tra cui il Cannes Lions Advertising Festival. Nel 1997, la State University di New York gli ha conferito la Laurea in Lettere per riconoscere il valore letterario dei suoi romanzi. Ne ‘Il destino del faraone’, scritto con il figlio Dirk, racconta una nuova avventura di Dirk Pitt alle prese con tre eventi all’apparenza scollegati: l’assassinio di una squadra di scienziati dell’Onu a El Salvador, una collisione mortale nel fiume Detroit e un violento attacco a un sito archeologico lungo il Nilo.

Hosni Mubarak

Il 25 febbraio Hosni Mubarak è morto a 91 anni. A confermarlo sono stati i familiari e prima ancora la televisione di Stato egiziana, che ha ricordato il fatto che l’ex presidente fosse malato da tempo e aveva subito un intervento chirurgico alcune settimane fa. Scompare quindi uno dei più longevi leader africani, per ben 30 anni al potere. Costretto poi a dimettersi durante la rivolta popolare del 2011, passata alla storia come la “Primavera araba”.

Il 27 febbraio è morta a 91 anni Lee Phillip Bell, assieme al marito William J. Bell, creatrice di Beautiful (titolo originale The Bold and the Beautiful). Secondo quanto si legge in comunicato della famiglia, la Bell è morta a Los Angeles tuttavia non si conoscono le cause del decesso. I coniugi Bell erano sposati dal 1953 e prima di creare Beautiful avevano creato Febbre d’amore nel 1973. La soap va ancora in onda sulla Cbs. Ma il vero successo lo devono a Beautiful, considerata la soap opera più vista al mondo e trasmessa in circa cento paesi. In Italia è sugli schermi tivù dal 1990, inizialmente fu trasmessa dalla Rai poi dal 1994 è ininterrottamente su Canale 5. Protagonista è la famiglia Forrester, proprietaria di una casa di moda. Negli anni, Beautiful ha vinto 31 Daytime Emmy Awards di cui 3 consecutivi come Miglior serie drammatica del daytime.

Il 29 febbraio è morto all’età di 96 anni Freeman John Dyson, fisico teorico britannico naturalizzato americano e autore di importanti studi sull’elettrodinamica quantistica e sulle interazioni tra particelle elementari che hanno generato intuizioni scientifiche rivoluzionarie.

Il 2 marzo è morto all’età di 76 anni l’artista tedesco Ulay. La notizia arriva dalla stampa di Lubiana, città slovena dove l’artista viveva da più di dieci anni. Esponente della performing art, è celebre per il legame con Marina Abramovic, l’artista serba con cui ha condiviso dodici anni di amore e di sodalizio artistico dalla seconda metà degli anni Settanta.

Jack Welch

Il 2 marzo è morto Jack Welch, l’ex amministratore delegato di General Electric, è morto all’età di 84 anni. Storico numero uno del colosso industriale americano, Welch è stato l’architetto di Ge Capital, la divisione finanziaria travolta dalla crisi finanziaria e poi venduta da Jeffrey Immelt, il successore di Welch alla guida di Ge. La General Electric è una multinazionale americana fondata nel 1892; lanciata come produttrice di materiale elettrico, nei decenni l’azienda ha diversificato l’attività in campi industriali affini a quello originario – ma in certi casi anche a settori del tutto estranei, come ad esempio le materie plastiche, di cui proprio Welch si è occupato a lungo in Ge. Oggi General Electric per fatturato e capitalizzazione è fra le maggiori conglomerati del mondo, se si parla di attività industriali (cioè a parte il petrolio, i servizi digitali e la finanza). Welch è entrato in Ge nel 1960 come ingegnere chimico, vi ha fatto carriera, è diventato presidente e amministratore delegato nel 1981 e lo è rimasto fino al 2001, e durante la sua permanenza il valore della società si è moltiplicato. Nel frattempo non ha trascurato i suoi interessi: il patrimonio personale era stimato oltre i 700 milioni di dollari, dovuti per la maggior parte a una colossale buonuscita di 417 milioni, cosa che a suo tempo suscitò polemiche. Nel 1981 quando Welch divenne amministratore delegato la Ge capitalizzava 12 miliardi di dollari, saliti a 410 miliardi quando si ritirò. La crescita è avvenuta anche attraverso 600 acquisizioni, con progressiva espansione dall’America ai mercati emergenti. Però Welch è diventato famoso anche per ristrutturazioni sanguinose, chiusure di fabbriche e licenziamenti in massa ogni volta che questo serviva ad aumentare la redditività del gruppo. In parallelo alla crescita di valore il numero dei dipendenti di Ge si è ridotto di circa 100 mila unità. Negli anni ‘90 Jack Welch ha allargato l’attività di General Electric ai servizi finanziari, sempre attraverso acquisizioni. Dopo il ritiro di Welch la capitalizzazione di Ge si è sostanzialmente dimezzata, e resta da discutere se questo sia stato dovuto a minori opportunità oggettive di mercato, a dirigenti meno capaci che sono venuti dopo di lui, oppure (come sostengono alcuni critici) a errori commessi proprio da Welch i cui effetti si sono però manifestati solo in seguito ee guadualmente. Il rilievo principale mosso a Welch riguarda la creazione di Ge Capital, che ha enormemente aumentato il giro d’affari e la capitalizzazione di General Electric ma ha anche reso il gruppo vulnerabile alle crisi finanziarie che si sono succedute in America e nel mondo negli ultimi vent’anni. I critici additano in Welch anche il capofila dei dirigenti industriali che negli anni hanno abbattuto i redditi degli operai e degli impiegati di livello medio-basso, migliorando così la redditività delle imprese ma compromettendo un sistema socio-economico che per un paio di generazioni aveva garantito il benessere e il progresso della classe media e la stabilità politica; tutte cose che oggi non sono più garantite, il che contribuisce a spiegare il successo del populismo.

Nicolas Portal

Il 3 marzo è scomparso Nicolas Portal, l’ex corridore ed attuale direttore sportivo del Team Ineos (ex Sky), aveva 40 anni. Lo riporta il sito della Gazzetta dello Sport. Il francese è morto per infarto ad Andorra, dove abitava. In passato aveva sofferto di aritmia cardiaca. In carriera nei dieci anni di professionismo aveva anche vinto sei tappe nei Tour de France. Aveva corso in forza all’AG2R, alla Caisse d’Epargne e alla stessa Sky. Dal 2013 ha iniziato la carriera da direttore sportivo, prima alla Sky e poi all’attuale Ineos, guidando campioni del calibro di Chris Froome, Geraint Thomas ed Egan [sta_anchor id=”suor”]Bernal[/sta_anchor].

suor germana

Il 9 marzo è morta a 81 anni Suor Germana, al secolo Martina Consolaro, autrice di libri di cucina di grande successo. Nata in un paesino del Veneto, Durlo di Crespadoro, Suor Germana aveva sviluppato sin da giovanissima la sua passione per la cucina, gestendo un corso di economia domestica per fidanzate. La buona cucina per lei era un modo di tenere salda la famiglia. Il primo libro è del 1983, ” Quando cucinano gli angeli”. Un successo tanto inaspettato quanto travolgente, al punto che, dal 1987 in avanti, fu pubblicata ogni anno “L’agenda di Suor Germana”. In questi anni ha collaborato con molte riviste ed è stata spesso ospite in televisione, tanti in trasmissione Rai che Mediaset, da “Mi manda Lubrano” a “Forum”. L’ultimo libro di ricette è del 2016, ” Il ricettario di Suor Germana: 30 anni di cucina casalinga”.

stefano bianco

L’11 marzo è morto Stefano Bianco in un incidente stradale a Mappano, nel torinese. Il 34enne nato a Chivasso, è stato travolto è ucciso da un autocarro che svoltando a sinistra ha omesso di dare la precedenza alla moto guidata da Bianco che proveniva da direzione opposta: nell’urto la moto è terminata contro una Fiat Panda che seguiva il camion e per lui c’è stato nulla da fare. Stefano Bianco dopo le minimoto e l’Aprilia Cup ha esordito nel motomondiale nel 2000, in Australia, con la Honda del team Benetton Playlife. Successivamente è stato 4° nel campionato Europeo Velocità 2001, per poi correre stabilmente dal 2002 al 2008, con Aprilia e Gilera in 125, con una parentesi in Superstock nel 2004 su una Suzuki. Nel 2002 i suoi migliori piazzamenti, quando fu due volte 7° nei GP di Francia e Catalogna della 125. Nel 2008 provò il debutto in 250, con la Gilera, prima a Indianapolis, poi a Phillip Island, ma senza riuscirvi.

Il 13 marzo è morto Domenico Savio, storico fondatore e segretario generale del Partito Comunista italiano marxista-leninista, ex consigliere comunale di Forio, protagonista di formidabili battaglie sociali, si è spento questa mattina per i postumi di una lunga malattia. Si definiva un «rivoluzionario di professione» e aveva da poco festeggiato gli 80 anni, lo scorso 16 febbraio, nella sede del partito a Forio, presentando a un nutrito gruppo di amici e sostenitori i primi due volumi di una serie di scritti e saggi intitolati «Una vita per il comunismo» che aveva in progetto di concludere entro quest’anno. Savio era stato candidato con il simbolo del Partito Comunista italiano marxista-leninista alla Camera dei deputati nel 2004, e al Senato nel 2006, 2008 e 2013; nonché alla presidenza della Provincia di Napoli nel 2013. A Forio, è stato consigliere comunale per il Pci dal 1971 al 1976; poi per Alternativa Comunista dal 1980 al 1981 e, infine, per il Partito Comunista italiano marxista-leninista dal 2013 al 2018.

vittorio gregoretti

Il 15 marzo è morto a Milano stroncato dalla polmonite, Vittorio Gregotti, l’architetto degli stadi di Barcellona, Genova, Agadir, Nîmes e Marrakech. Vittima di Coronavirus. Aveva spesso dichiarato: “Non sono un tifoso e so che per il progetto di uno stadio elemento essenziale è sempre la relazione con il contesto”. Era ricoverato alla clinica San Giuseppe di Milano, aveva 92 anni. Era nato a Novara nel 1927 e si era laureato nel ‘52 al Politecnico di Milano. “Gregotti concepiva l’architettura come una prospettiva sull’intero mondo e sulla intera vita”, ha scritto Stefano Boeri, che per primo in un post ne ha dato la notizia. I lavori di Gregotti hanno contribuito a cambiare la percezione delle città, in particolare il volto stesso di Milano. Tra le altre cose ha realizzato i progetti del Teatro degli Arcimboldi e del Gran Teatro Nazionale di Pechino, ha lavorato a risistemare Potsdamer Platz a Berlino ed ha progettato la nuova città di Pujiang, vicino a Shangai, valorizzando gli aspetti storici di ciò che già esisteva, cercando di mantenere l’armonia tra l’opera, la zona che la ospita e coloro che la vivono. Ha applicato lo stesso concetto agli stadi, per lui ‘luoghi di culto di tutte le società di massa’.

massimo ruggeri

Il 16 marzo è morto Massimo Ruggeri, conduttore della storica trasmissione, in onda per oltre 20 anni su Teleroma 56, «La Signora in giallorosso». Ruggeri è stato per anni un punto di riferimento per l’informazione locale di stampo romanista, e nel suo salotto si sono alternati tantissimi tra calciatori ed ex, dirigenti e giornalisti, molti dei quali sono cresciuti professionalmente nella sua trasmissione e grazie ai suoi insegnamenti. Per anni consigliere del gruppo romano dell’Ussi, è stato campione italiano di bridge: garbato, sempre gentile nei modi, dotato di una raffinata ironia che ha caratterizzato per anni lo stile della sua trasmissione, che era la sua creatura, Ruggeri è stato stroncato a 69 anni da un infarto.

Il 16 marzo è morto l’ex magistrato Francesco Saverio Pavone, acerrimo nemico del boss della Mala del Brenta Felice Maniero e testimone, dagli anni ’80, della storia criminale del Veneto. Da due settimane era ricoverato all’ospedale all’Angelo di Mestre, dopo essere risultato positivo al coronavirus. Ieri si è spento in un letto di terapia intensiva a causa della grave insufficienza polmonare. Nato a Taranto il 25 marzo 1944, è andato in pensione nel 2016 da procuratore capo di Belluno. Aveva 76 anni.

Eduard Limonov

Il 17 marzo è morto Eduard Limonov, controverso scrittore e politico russo conosciuto per i suoi romanzi autobiografici in cui aveva raccontato la guerra in Jugoslavia e per aver fondato il Partito Nazional Bolscevico, è morto a 77 anni. Nei paesi occidentali la notorietà di Limonov era dovuta al fatto che era stato protagonista di una celebre biografia dello scrittore francese Emmanuel Carrère, Limonov, diventata un caso editoriale di grande successo nel 2011.

Joaquím Peiró

Il 18 marzo si è spento all’età di 84 anni Joaquím Peiró. Nato a Madrid il 29-01-1936, l’ex attaccante ha vestito la maglia nerazzurra dal 1964 al 1966, due stagioni nella Grande Inter di Helenio Herrera, nelle quali ha vinto tutto: 2 Scudetti, 2 Coppe Intercontinentali e 1 Coppa dei Campioni a cui contribuì in maniera determinante con 16 reti in 47 partite giocate. Il suo nome rimane impresso nella storia nerazzurra, come il suo indimenticabile gol segnato il 12 maggio del 1965, nella mitica semifinale di Coppa Campioni contro il Liverpool.

Il 21 marzo è morto Gianni Mura, giornalista e scrittore, dal 1976 storica firma di Repubblica: a darne notizia lo stesso quotidiano romano. Mura, 74 anni, si è spento questa mattina all’ospedale di Senigallia (Ancona), per un attacco cardiaco improvviso. Nato a Milano nel 1945, ha seguito tutti gli sport, dal calcio al ciclismo: nel 2007 vinse il premio Grinzane con il suo primo romanzo, “Giallo su giallo”. Famose le sue rubriche su Repubblica “Sette giorni di cattivi pensieri”, l”Intervista al campionato” e “I 100 nomi dell’anno di [sta_anchor id=”bose”]Mura[/sta_anchor]“-

Il 22 marzo è morto Nino Alberto Arbasino (Voghera, 22 gennaio 1930) scrittore, giornalista, poeta, critico teatrale e politico italiano. Aveva 90 anni. Tra i protagonisti del Gruppo 63, la sua produzione letteraria ha spaziato dal romanzo (Fratelli d’Italia del 1963, riscritto nel 1976 e nel 1993) alla saggistica (ad esempio Un paese senza, 1980). Si considerava uno scrittore espressionista, e considerava Super Eliogabalo il suo libro più surrealista e anche quello più espressionista.

Il 22 marzo è morto Lorenzo Sanz, all’età di 76 anni. Aveva contratto il coronavirus e da alcuni giorni era ricoverato in terapia intensiva. Imprenditore nel ramo immobiliare, è stato presidente del Real Madrid tra il 1995 e il 2000, riportando i Blancos sul tetto d’Europa. Sanz assunse la guida del Real il 26 novembre del 1995 dopo le dimissioni di Ramón Mendoza, costretto a lasciare a causa dei problemi economici e sportivi del club della capitale. Per la rinascita scelse Fabio Capello, chiamato a risollevare le sorti di una squadra che si era classificata quinta nella stagione precedente (peggior piazzamento dal 1977), fuori dalla zona-qualificazione alle competizioni europee. Capello vinse la Liga ripartendo dalla “base”, formata dai madridisti storici Manuel Sanchis e Fernando Hierro, dalla classe dell’argentino Fernando Redondo e dal talento del giovanissimo Raul. Punta di diamante di quella squadra è il croato Davor Suker, che nel 1998 sarà secondo nella classifica del Pallone d’oro dietro a Zinédine Zidane e terzo in quella del FIFA World Player alle spalle del francese e di Ronaldo, il “Fenomeno”. Capello porta a Madrid Roberto Carlos, in contrasto con l’allenatore dell’Inter Roy Hodgson: il terzino brasiliano giocherà in Spagna per 11 stagioni, disputando 527 partite e realizzando 69 reti, tra i protagonisti assoluti del Real di Sanz e in seguito stella dei Galacticos. Nell’estate del 1996 sbarca a Madrid anche Clarence Seedorf, acquistato dalla Sampdoria: il resto è storia. Capello porta con sé uno dei suoi “fedelissimi”, Christian Panucci, acquistato nel gennaio del 1997 dal Milan per 8 miliardi di lire, il primo calciatore italiano a vestire la maglia delle Merengues. E se “don Fabio” rimarrà a Madrid per una sola stagione – ma ci tornerà nel 2006 – l’esterno ligure resterà in blanco fino al 1999, vincendo tutto. Salutato Capello, Sanz si affida al tecnico Jupp Heynckes, reduce da due buone stagioni al Tenerife. Il tedesco lo ripaga con una Supercoppa di Spagna e sopratutto con il trionfo in Champions League del 1998, che gli spagnoli non alzavano da 32 anni. Nella finale di Amsterdam i madrileni battono 1-0 la Juventus di Marcello Lippi grazie al gol dello jugoslavo – montenegrino – Predrag Mijatovic, che dal 2006 al 2009 ricoprirà anche la carica di direttore sportivo dei Blancos. Nonostante la vittoria della “Septima”, nemmeno Heynckes – reo di essersi piazzato 4° nella Liga a -11 dal Barcellona – resiste sulla panchina del Real, sostituito nell’estate del 1998 dall’olandese Guus Hiddink. Hiddink fa appena in tempo a condurre il Real alla conquista della Supercoppa Intercontinentale, il 3 dicembre del 1998 a Tokio, la seconda affermazione “mondiale” a distanza di 38 anni. I Blancos battono 2-1 i brasiliani del Vasco de Gama, ma l’avventura del “guru” olandese durerà ancora poco, esonerato e sostituito dal gallese John Toshack. Toshack – che aveva già guidato il Real vincendo la Liga nel 1990 e che nel 2002-03 allenerà il Catania in Serie B – non va oltre il secondo posto in campionato, ma viene confermato; “silurato” poi dal presidente Sanz nel novembre del 1999, sostituito da Vicente del Bosque. Del Bosque rivitalizza la squadra, che in estate si era rinforzata con l’acquisto del centrocampista inglese Steve McManamam, prelevato a parametro zero dal Liverpool. Proprio McManamam, nella finalissima del 24 maggio 2000, siglerà una delle tre reti che regalarono ai madrileni l’ottava Champions della loro storia nel 3-0 dello Stade de France al Valencia di Hector Cuper. Tra gli 11 titolari di quel Real campione d’Europa anche l’attaccante francese Nicolas Anelka, che era stato acquistato nell’estate del 1999 dall’Arsenal per 22,3 milioni di sterline e ceduto dopo una sola stagione (19 presenze e 2 reti) al Psg. Altra storia quella del giovanissimo portiere che difese i pali del Real nella finale del 2000: Iker Casillas, che aveva esordito nel settembre del 1999, sarà la colonna dei Blancos e della Nazionale spagnola per una vita. Casillas e Raul, che saluteranno il presidente Sanz poche settimane dopo il trionfo in Champions nel 2000 e al termine di un quinquennio di successi, sconfitto alle elezioni da Florentino Perez.

lucia bosè

Il 23 marzo è morta Lucia Bosè, aveva 89 anni. A dare l’annuncio è stato il figlio Miguel Bosè su Twitter. Da anni viveva nella città di Segovia, mentre le sue figlie Paola e Lucía si trovano a Valencia. Il primogenito, Miguel, vive in Messico con due dei suoi quattro figli. Divenne famosa nel 1947 quando, a soli 16 anni, vinse Miss Italia. Da lì partì la sua carriera di attrice, lanciata da Luchino Visconti, recitando in film diretti da registi del calibro di Luis Buñuel, Jean Coctaeu e Federico Fellini. Nel 1955 sposò il torero Luis Miguel Dominguín da cui ebbe i suoi tre figli: di lui, nella sua ultima intervista televisiva nel 2017 a Domenica In, disse che “si faceva tutte le puttane. Lui mi ha tradito fin dal primo giorno dopo il matrimonio”. E quando Mara Venier le domandò se la cosa l’avesse fatta soffrire o arrabbiare lei rispose sicura: “Macché, non ero gelosa. Lui se le trovava dappertutto, dentro l’armadio, sotto al letto e mi diceva che “doveva farsele”. L’ho amato, mi ha dato tutto. Non si può amare di più. Chi non ha la corna?”, domandò spiazzando tutti.

Il 28 marzo è morto a Houston, all’età di 77 anni, Fred “Curly” Neal, una delle leggende degli Harlem Globetrotters, tra i cinque giocatori che ricevette l’omaggio del ritiro della maglia assieme a Wilt Chamberlain, Marques Haynes, Meadowlark Lemon e Goose Tatum. Ai Globetrotter tra il 1963 e il 1985, disputò più di 6.000 partite in 97 paesi diversi, diventando uno dei volti più famosi della squadra esibizionistica di basket inventata da Abe Saperstein nel 1927.

filippo mantovani

Il 29 marzo è venuto a mancare Filippo Mantovani, terzogenito dell’ex Presidente della Sampdoria Paolo Mantovani, sotto la cui presidenza la Samp ha scritto le pagine più gloriose della sua storia. Filippo Mantovani aveva 54 anni ed è morto nella sua casa di Sestri Levante a causa di un attacco cardiaco. Filippo era legato in modo diretto alla società doriana della quale è stato dirigente durante gli anni di presidenza del fratello Enrico. Per la sua società del cuore ha anche ricoperto il ruolo di team manager. Tra gli acquisti più rilevanti quando fu manager, si ricorda il trequartista argentino talentuoso Juan Sebastian Veron.

Il 2 aprile è morto Zaccaria Cometti, a Romano di Lombardia a 83 anni, per complicazioni da Coronavirus. L’Atalanta scrive così sul sito ufficiale. “Atalanta in lutto per la scomparsa di Zaccaria Cometti. Bergamasco di Romano di Lombardia, Cometti è uno dei portieri cresciuti alla scuola di Carletto Ceresoli, gioca in Prima Squadra per 11 stagioni, diventa poi allenatore del vivaio, quindi allenatore in seconda ed infine, dal 1975 al 1990, allenatore dei portieri. In totale sono 38 anni: è un assoluto esempio di fedeltà ai colori nerazzurri. Zaccaria Cometti fa parte dell’indimenticabile e storica Atalanta che il 2 giugno 1963 a San Siro supera in finale 3-1 il Torino conquistando la Coppa Italia . È da considerare tra gli atalantini di sempre. Il Presidente Antonio Percassi e tutta la famiglia Atalanta partecipano al dolore dei familiari ai quali rivolgono le più sincere e commosse condoglianze.

Il 2 aprile è morto a causa di un infarto l’ex senatore di Fratelli d’Italia Antonino Caruso. Nato a Milano nel 1950 è stato senatore per quattro legislature, dal 1996 fino al 2013. Eletto con Alleanza nazionale e poi il Popolo delle libertà, nel 2012 ha lasciato il partito e ha aderito a un nuovo gruppo che avrebbe contribuito alla nascita di Fratelli d’Italia. E’ morto a 70 anni.

sergio rossi

Il 2 aprile è morto Sergio rossi, il re delle scarpe Made in Italy. L’imprenditore, e fondatore dell’omonima azienda di calzature con sede a San Mauro Pascoli, comune in provincia di Cesena, si è spento all’età di 85 anni. Da diversi giorni era ricoverato nel reparto di Terapia intensiva dell’ospedale Bufalini di Cesena perché risultato positivo al coronavirus. Si è spento nella serata di ieri, giovedì 2 aprile. A dare il triste annuncio della sua morte è stato il figlio Gianvito, anch’egli imprenditore a capo dell’azienda Ggr, esportatore di scarpe di lusso femminili. Sergio Rossi era nato nel 1935 a San Mauro Pascoli e aveva ereditato la sua passione dal padre calzolaio. Aveva aperto il suo primo stabilimento nel 1951. La sua attività, iniziata nel dopoguerra, ben presto conquistò tutto il mondo. Negli anni sessanta infatti la sua prima collezione conquistò le scene internazionali, diventando sinonimo di eleganza e qualità italiana. Molte dive indossarono le sue scarpe, come per esempio l’indimenticabile Anita Ekberg ne “La dolce vita”. Anche la rivista Vogue definì l’azienda “sinonimo di qualità italiana e design classico femminile”. Tra i modelli più famosi del marchio si ricorda l’Opanca, la cui suola curvava intorno al piede diventando tutt’uno con la parte superiore della scarpa. Solo pochi giorni fa la Sergio Rossi aveva donato 100mila euro all’ospedale Sacco di Milano per combattere il Covid-19. Dopo aver ceduto la sua azienda al gruppo Gucci, dal 2007 al 2013 è stato presidente del Cercal, il centro emiliano-romagnolo della calzatura, che cercava di avvicinare i giovani al mondo delle calzature e in particolar modo di guidarli e formarli. Era infatti sua convinzione che vi fosse un gran bisogno di creare nuove figure, modellisti, tecnici, disegnatori e stilisti, per fare in modo che l’Italia continuasse a creare e produrre le più belle scarpe del mondo.

Il 3 aprile è morto Pietro Gratton, papà del Lupetto e autore di pagine di storia legate alla nostra identità. Piero avrà sempre un posto speciale nel cuore di tutti noi”. Così la Roma ricorda sui social l’ideatore di uno dei suoi loghi più riusciti, scomparso a 80 anni. Il Lupetto disegnato da Gratton nel 1976 si è dimostrato più forte del tempo ed è stato riproposto anche nelle maglie più recenti del club giallorosso, come nel pattern dell’attuale terza maglia, quella blu. Nato a Milano nel 1939, dopo aver studiato presso il liceo artistico di via di Ripetta a Roma, Gratton è stato per 25 anni responsabile del gruppo di grafica dei servizi giornalistici del Tg2.Oltre al Lupetto, Gratton è stato anche il padre dell’Aquila stilizzata della Lazio, utilizzata dai biancocelesti tra il 1979 e il 1982, e del Galletto del Bari, sulle maglie dei biancorossi fino al 2014. Tra i suoi lavori, anche il logo di Euro ’80 e quello della Uefa, disegnato nel 1983.

ezio vendrame

Il 4 aprile è morto Ezio Vendrame, calciatore degli anni Settanta dal grande talento e dal carattere ribelle, tanto da esser stato accostato ad altri campioni come il nord irlandese George Best e all’argentino Kempes. Nato a Casarsa della Delizia il 21 novembre 1947, aveva 72 anni e da qualche mese era stato colpito da un tumore che non gli ha concesso scampo. Dotato di un piede magico, capelli lunghi e anticonformista, insofferente alla disciplina e alle regole del calcio, nel ruolo di mezzala e ala aveva giocato anche nell’Udinese, ma era stato con il Lanerossi Vicenza che aveva esordio in serie A nella stagione 1971-1972, diventando l’idolo dei tifosi biancorossi.. Dopo tre anni, per la stagione 1974-1975 passò al Napoli disputando tuttavia solamente tre partite in campionato, prima voluto e poi osteggiato dall’allenatore azzurro Luis Vinicio. Successivamente passò al Padova in serie C, dove rimase due stagioni collezionando 57 presenze. E chiuse a casa sua, contribuendo con la maglia del Pordenone alla vittoria dei neroverdi nel campionato di serie D 1978-1979 per poi giocare nella squadra del suo paese, la Junior Casarsa.
Croce e delizia degli allenatori e presidenti, era amato dai tifosi per il talento tecnico naturale e per lo spettacolo che dava anche nelle partite più anonime: in un Padova-Cremonese che scivolava sullo 0-0, per dare una scossa ai presenti dribblò la sua intera squadra da un lato all’altro del campo senza che nessuno potesse fermarlo, fino a fintare il tiro davanti al proprio portiere, che si tuffò inutilmente su di lui cercando di levargli il pallone, per poi fermarsi in prossimità della linea di porta e ritornare indietro. Sempre con la maglia del Padova, in casa dell’Udinese, fischiato sin dall’inizio dai tifosi friulani, segnò due gol, il secondo dei quali direttamente da calcio d’angolo: prima di tirare, a gesti indicò al pubblico bianconero da lì avrebbe segnato direttamente, cosa che puntualmente accadde. Ma le sue passioni erano altre, tra cui la musica e poesia: amico del cantautore Piero Ciampi, durante un incontro allo stadio Appiani con la maglia del Padova fermò il gioco per salutare pubblicamente il musicista, dopo averlo riconosciuto per caso sugli spalti. Scrittore e poeta ha scritto diverse libri, tra cui “Se mi mandi in tribuna, godo” (Biblioteca dell’immagine, 2002) dove aveva raccontato molti episodi della sua carriera sportiva, avara di riconoscimenti agonistici ma ricca di voglia di vivere.

Il 5 aprile è morto all’età di 69 anni il giornalista-scrittore Alessandro Rialti, storica firma di Stadio-Corriere dello Sport. Giornalista, scrittore e saggista, Rialti era molto seguito dai tifosi viola. Ha seguito le vicende della Fiorentina per diversi decenni Rialti era stato ricoverato in ospedale per un malore, ma sembrava che avesse recuperato. Invece oggi è morto all’improvviso. Rialti aveva contribuito anche alla rinascita del Brivido Sportivo del quale è stato prima direttore editoriale poi editorialista di primo piano.

Il 6 aprile è scomparsa di Leïla Menchari, artista franco-tunisina e direttrice del comitato colori della seta della maison, nonché direttore artistico delle vetrine della boutique della griffe al 24 di Faubourg St. Honoré a Parigi. Aveva 93 anni e, secondo la stampa parigina, è morta per le complicazioni del Covid-19. Nata nel 1927 a Tunisi, divenne decoratrice e pittrice presso la Scuola di Belle Arti della sua città natale. Alla fine degli anni ’50 si trasferisce a Parigi per intraprendere gli studi all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts, iniziando a frequentare gli intellettuali e artisti di Saint-Germain des-Près. Diviene modella e musa di Guy Laroche e amica di Azzadine Alaïa, con cui condivide la passione per l’equilibrio di forme e volumi, oltre a una predilezione per i colori tenui e i neri. Nel 1961 entra in contatto con la decoratrice di Hermès, Annie Beaumel, mostrandole alcuni disegni realizzati su pelle e ispirati a un surreale giardino, tale da suscitarne l’ammirazione e diventare sua assistente, rimanendo al suo fianco per quasi 50 anni. Nel 1978 Jean-Louis Dumas le chiede di subentrare ad Annie Beaumel, in particolare come responsabile delle decorazioni delle vetrine al 24 di rue du Faubourg-Saint Honoré. Era la regina dell’incantesimo, come la chiamava lo scrittore francese Michel Tournier, perché sapeva suscitare curiosità e sorpresa nel creare i suoi immaginifici tableuax tridimensionali, interpretati attraverso una fantasia barocca. Nel 2017, in occasione dei 90 anni dell’artista, Hermès le dedicò una mostra al Grand Palais di Parigi, dal titolo Hermès à tire-d’aile, les Mondes de Leïla Menchari, che illustrava la sua visione estetica, permettendo ad un pubblico più vasto di scoprire il suo universo unico e poetico. Una donna aperta, generosa, decisamente moderna nella ricerca perpetua della bellezza e nella passione sconfinata per la creazione e l’artigianato. Ritornava regolarmente a casa sua, ad Hammamet, dove è morta, nella villa con giardino affacciata sul mare, regalatale dai due intellettuali anglo-americani Violet e Jean Henson, che l’avevano presa sotto la loro ala protettrice quando era ancora adolescente.

susanna vianello

Il 7 aprile è morta a Roma, a soli 49 anni, Susanna Vianello, speaker radiofonica molto amata, figlia del grande Edoardo Vianello e di Wilma Goich. Se n’è andata in un mese soltanto, vinta da un tumore che non le ha dato scampo.

Il 7 aprile, Radomir Antic, ex calciatore e allenatore serbo è scomparso a 71 anni, vinto da un tumore contro il quale stava combattendo da tempo. Dopo una buona carriera da difensore in patria, Antic aveva intrapreso il percorso da allenatore arrivando in Spagna già nel 1988 con il Saragozza. Nel 1990 l’approdo al Real Madrid, avventura terminata con un esonero. Trionfale invece il passaggio all’Atletico con lo storico doblete, campionato e Coppa, del 1995-’96. Antic si è seduto in tre riprese sulla panchina dei Colchoneros, senza riuscire ad evitare la retrocessione in Segunda nel 2000. Nel 2003 la chiamata del Barcellona dopo l’esonero di Van Gaal, con eliminazione in Champions ad opera della Juventus, poi il ritorno in Serbia per qualificare la Nazionale al Mondiale 2006, le esperienze in Cina e la carriera da opinionista per Cadena Cope.

Il 7 aprile è morto a soli 56 anni Donato Sabia, potentino, classe 1963, due figlie, è stato uno dei più grandi interpreti della storia dell’atletica leggera italiana sulla nobilissima specialità degli 800 metri. Due volte finalista olimpico (quinto nel 1984 e settimo nel 1988), oro agli Europei indoor di Goteborg, Sabia realizzò – sempre nel 1984 – quella che resta una delle migliori prestazioni sul doppio giro di pista, un 1’43”88 che lo colloca ancora oggi a pochi centesimi dallo storico record di Marcello Fiasconaro. Amico e compagno di allenamenti di Pietro Mennea con cui condivise il posto in alcune staffette 4×400 e – al centro olimpico di Formia – la guida tecnica di Carlo Vittori diventando uno dei pochi mezzofondisti allenati dal celebre coach ascolano prima di passare a Sandro Donati. Sabia, carattere schivo, si distinse per la sua intransigenza nel dire no a metodi di allenamento e “cura” che all’epoca cominciavano a prendere piede proprio in Italia.

enrico veglia

L’8 aprile è morto Enrico Veglia, campione di supermoto scomparso a soli 37 anni. A fine giugno avrebbe compiuto 38 anni, ma un brutto male lo ha portato via prematuramente. Magliano e tutto il circondario piangono la scomparsa del giovane Enrico Veglia. Campione e grande appassionato di supermoto, aveva vinto diverse gare nel corso degli anni. Enrico, infatti, lo conoscevano in tanti e sono moltissimi quelli che già in queste prime ore stanno facendo sentire tutto il loro cordoglio. Lavorava come carpentiere nella ditta di famiglia, la Fratelli Veglia di Carrù. Ieri, nella sua Magliano, si è spento, lasciando la moglie Annalisa (i due si erano sposati nove anni fa), i figli piccoli Davide e Isabella, papà Giancarlo e mamma Domenica. I funerali si svolgeranno domani alle ore 15, ovviamente in forma ristretta e privata, come prescrive la normativa anticontagio.

Victor Skrebneski

L’11 aprile il fotografo statunitense Victor Skrebneski, uno dei grandi nomi della fotografia di moda a livello internazionale, tra i pionieri di quello che sarebbe stato definito lo stile glamour del fashion system, è morto a Chicago, sua città natale, all’età di 90 anni dopo una lunga battaglia contro un tumore. L’annuncio della scomparsa è stato pubblicato dal “New York Times”. E’ stato autore di numerose campagne pubblicitarie, realizzate per grandi nomi della moda e della cosmesi negli Usa e all’estero. In particolare è stato il fotografo che ha creato un’immagine rinnovata dei prodotti della Estèè Lauder, con una collaborazione durata 15 anni (1970-1985). Skrebneski lanciò la modella Karen Graham creando la campagna diventata celebre come “The Estee Lauder Woman”. I suoi scatti glamour e iconici hanno ritratto topmodel come Shaun Casey, Willow Bay e Paulina Porizkova. E’ stato anche il fotografo che nei primi anni ’80 immortalò in scatti di gran fascino Cindy Crawford, decretandone il successo internazionale. Nella sua lunga carriera ha fotografato numerosi personaggi famosi del mondo della moda, della cultura e dello spettacolo: tra gli altri Oprah Winfrey, Audrey Hepburn, Diana Ross (di cui fu il fotografo personale per un decennio), Hubert de Givenchy, Diahann Carroll, François Truffaut, Orson Welles, Bette Davis e Andy Warhol. Maestro della fotografia di moda negli anni ’80, nel decennio successivo fu consacrato con decine di mostre nel mondo. Nel 1991 a Milano si tenne l’esposizione “Skrebneski. I margini della luce”.

franco lauro

Il 14 aprile è morto ip giornalista Rai Franco Lauro, aveva 58 anni. È stato trovato morto in casa, stroncato da un infarto.Romano, aveva iniziato in testate locali, occupandosi soprattutto di calciomercato. In Rai era entrato nel 1984, diventando poi la voce del basket e dal 2008 al 2014 il conduttore di “90 minuto”. In 28 anni ha commentato otto Olimpiadi estive ed una invernale (Torino 2006), sei edizioni dei mondiali di calcio, e altrettante degli Europei, dodici Europei e tre mondiali di basket. Giornalista colto e sensibile, conosceva profondamente lo sport e sosteneva l’importanza del dilettantismo e delle categorie minori anche nel mondo del calcio. In uno dei suoi ultimi interventi durante la trasmissione sportiva “Radio Goal” su Radio Kiss Kiss Napoli di una settimana fa, parlando del futuro del mondo del pallone in Italia, aveva detto: “Il calcio è il romanzo popolare più amato dagli italiani. Ci sono tanti legami che ci accompagnano negli anni. Tutelare la base del calcio è importante, significa tutelare tutto. Non si può pensare solo al vertice e alla Serie A. Se noi facciamo morire il calcio dilettantistico, la Serie C, il calcio femminile, noi facciamo un danno a tutto il movimento e a perdere ci va anche il [sta_anchor id=”sepuvelda”]vertice[/sta_anchor]“.

luis sepuvelda

Il 16 aprile Luis Sepulveda è morto per il coronavirus nell’ospedale Universitario Central de Asturias a Oviedo, come riferisce l’Efe che cita fonti vicine all’autore. Lo scrittore cileno naturalizzato francese aveva 70 anni ed era stato ricoverato a fine febbraio dopo aver contratto il coronavirus in Portogallo. Autore di oltre 20 romanzi, oltre a libri di viaggio, saggi e sceneggiature, Sepulveda ha scritto libri di successo come “Storia di una gabbianella e di un gatto che le insegnò a volare” e “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, che gli fece vincere il Premio Tigre Juan del 1989. I sintomi del coronavirus si erano manifestati già il 25 febbraio, subito dopo che l’autore aveva partecipato al festival letterario portoghese “Correntes d’Escritas” dal 18 al 23 febbraio. In ospedale, a Sepulveda era stata diagnosticata una polmonite. Per questo motivo, l’autore era stato sottoposto al tampone per scoprire la presenza del SarsCoV2, risultando positivo. In seguito, i medici avevano deciso di trasportalo al al Central University Hospital of Asturias, all’interno di un reparto dedicato alle malattie infettive. Nato a Ovalle in Cile il 4 ottobre del 1949, Sepulveda era uno scrittore “combattente”, arrestato due volte e condannato all’esilio durante la dittatura di Pinochet, nemico del neoliberismo, ecologista convinto. Ha lottato contro il coronavirus all’Ospedale Universitario di Oviedo, a Gijon nelle Asturie, dove viveva dal 1996 con la moglie Carmen Yáñez, una poetessa cilena. Lo scorso ottobre aveva festeggiato i 70 anni a Milano in un evento organizzato dalla sua casa editrice italiana, Guanda. Nel corso della sua carriera, ha vinto il Premio Hemingway per la Letteratura, il Premio Chiara alla carriera ed è stato insignito di una Laurea Honoris Causa in Lettere dall’Università di Urbino. Durante la presidenza di Salvador Allende, Sepulveda si era iscritto al Partito Socialista ed era entrato a far parte della guardia personale del Presidente cileno. Arrestato nel 1973 dopo il colpo di stato di Pinochet, lo scrittore era stato liberato sette mesi dopo per le pressioni di Amnesty International ma, un nuovo arresto lo aveva condannato all’esilio. Poi, nel 1979 in Nicaragua si era unito alle Brigate Internazionali Simon Bolivar. In Europa si era stabilito dopo la fine della rivoluzione, prima ad Amburgo e poi in Francia. “Sono un apolide – aveva detto -. Ero ad Amburgo nel 1986 quando mi hanno rubato la cittadinanza”. In quanto alla sua vena ambientalista, tra il 1982 e il 1987 è stato membro dell’equipaggio su una nave di Greenpeace. Tra le opere più importanti di Luis Sepulveda ci sono “Storia di una gabbianella e di un gatto che le insegnò a volare” e “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”. L’autore cileno ha scritto anche libri come “Il mondo alla fine del mondo”, “La frontiera scomparsa”, “Diario di un killer sentimentale”, “Patagonia Express”, “Le rose di Atacama”. Il suo ultimo romanzo pubblicato in Italia è “La fine della storia” e l’ultima favola “Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa”. La sua produzione di favole era iniziata nel 1997 con “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, pubblicata da Salani e poi da Guanda cui sono seguite fra l’altro “Storia di un topo e del gatto che diventò suo amico” e “Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà”. “Delle mie favole sono sempre protagonisti animali e questo, come accadeva in quelle antiche, ti permette di vedere da lontano il comportamento umano per comprenderlo meglio” aveva detto lo scrittore all’Ansa.

Gene Deitch

Il 19 aprile il disegnatore e animatore statunitense Gene Deitch, regista dei classici cartoni animati di ‘Braccio di Ferro’, ‘Tom e Jerry’ e ‘Krazy Kat’ e premio Oscar per il cortometraggio “Munro” (1961), è morto, per un improvviso malore, nella sua casa di Praga all’età di 95 anni. Non sono stati forniti ulteriori dettagli ma secondo quanto comunicato dalla famiglia il decesso non sarebbe legato al coronavirus. Eugene Merril Deitch, detto Gene, era nato l’8 agosto 1924 a Chicago. Arrivò per motivi di lavoro legati all’industria cinematografica a Praga nel 1959 con l’intenzione di rimanervi per 10 giorni ma si innamorò della sua futura moglie, Zdenka Deitchová (sposata nel 1960) e da allora rimase nella capitale cecoslovacca pur recandosi spesso a Hollywood. Proprio nel 1960 nei celebri studi di animazione Bratri v Triku di Praga realizzò il film animato ‘Munro’, una feroce critica all’ottusità del mondo militare e degli adulti in generale che conquistò l’Academy Award: un bambino di quattro anni si ritrova a dover fare il servizio militare senza che nessuno si accorga del suo essere solo un semplice bambino. Gene Deitch iniziò a lavorare nel campo dell’illustrazione artistica e tecnica nel 1942 subito dopo essersi diplomato alla Los Angeles High School. Tra le sue prime mansioni ci furono progetti di aerei per la North American Aviation e copertine e disegni per la rivista musicale “The Record Changer”. Nel 1950 Deitch entrò nello studio d’animazione United Productions of America e poi fece parte dello staff di animatori di Terrytoons. Per oltre 50 anni si è diviso tra gli studi di animazione Bratri v Triku di Praa e Weston Woods Studios, facendo il regista di centinaia di cortometraggi. Ha ricevuto tre nomination all’Oscar per i film d’animazione “Here’s Nudnik”, “How to Avoid Friendship” e “Sidney’s Family Tree”. Deitch è noto anche per la creazione di cartoni animati ‘Tom Terrific’ e ‘Nudnik’. In particolare Nudnik è stato protagonista di 11 cortometraggi prodotti dalla Paramount Picture tra il 1965 e il 1967. Deitch ha lavorato anche per Hanna & Barbera tra il 1960 e il 1964: è stato il regista di 28 episodi della serie a cartoni animati “Popeye – Braccio di Ferro e ha diretto decine di episodi di “Krazy Kat” e “Tom e Jerry”.

Damiano Zugno, aveva appena 31 anni, 32 da compiere ad agosto: davvero pochi per arrendersi o sentirsi sconfitto. Aveva una grande passione, il calcio, che lo aveva segnato fin da quando aveva incominciato a prendersi quella confidenza con il pallone che li vedeva studiarsi, piacersi e diventare poi amici come avviene a tanti ragazzi.

Il 20 aprile è morto Damiano Zugno, 31 anni. Nato il 4 agosto 1988 a Mirano, Zugno è cresciuto nelle giovanili arancioneroverdi ed ha vestito le maglie di Mantova, Calvi Noale, Mestre, Real Martellago, Spinea, Istrana e Zero Branco. Società e squadre seguite e amate dai propri tifosi che ricordano Zugno con gratitudine. Era il calciatore prof, amato da appassionati e dai suoi studenti.

Innokentiy Samokhvalov

Il 21 aprile il Lokomotiv Mosca ha infatti annunciato la morte del 22enne difensore Innokentiy Samokhvalov. Da chiarire le cause del decesso, ma in base alle prime ricostruzioni il giocatore si sarebbe sentito male durante una sessione di allenamento individuale nella propria abitazione, obbligatorie in questa fase di isolamento durante la quale la Russian Premier League, al pari degli altri tornei nazionali, è sospeso come misura di emergenza sanitaria per arginare la diffusione del Coronavirus. “Si è sentito male durante una sessione di allenamento individuale. Le circostanze verranno chiarite”, ha dichiarato il Lokomotiv Mosca in una nota. Samokhvalov era arrivato nella Lokomotiv nel 2015 dall’Akademia Loko senza mai giungere alla prima squadra, ma fermandosi nel Kazanka, la formazione B che gioca nella terza divisione russa. “Era un uomo gentile e comprensivo, un buon amico. È un grande dolore per la nostra famiglia” si aggiunge nella nota della società. Il primo a ricordarlo è stato Alexandre Grichine, allenatore nel Kazanka, che ha parlato a R-Sport attribuendo la morte del giocatore a un arresto cardiaco.

Ronan O’Rahilly

Il 20 aprile è scomparso Ronan O’Rahilly, il fondatore di Radio Caroline, forse la più famosa delle radio off-shore. Avrebbe compiuto 80 anni il prossimo maggio. Grant Benson, speaker radiofonico, che iniziò la sua carriera su Radio Caroline, la famosa radio pirata che ispirò il film “I Love Radio Rock” dà il triste annuncio della scomparsa di Ronan O’Rahilly, l’imprenditore irlandese che fondò l’emittente in acque internazionali nel 1964. Radio Caroline nacque nel 1964 per volontà del giovane imprenditore musicale Ronan O’Rahilly che, stanco dei continui rifiuti da parte della BBC, allora monopolista dell’etere britannica, nel far suonare i dischi dei suoi artisti, decise che l’unica via sarebbe stata quella di fondare una radio propria, attività all’epoca vietata dalle stringenti normative inglesi.
O’Rahilly comprò quindi una nave, installò gli studi radiofonici ed un trasmettitore da 50 kilowatt e la posizionò in acque internazionale – fuori dalla giurisdizione inglese – rivoluzionando il mondo del broadcasting. Nel giro di poche settimane Radio Caroline conquistò 11 milioni di radioascoltatori e fu subito seguito da imitatori, al punto che il governo dell’epoca fu costretto ad introdurre una legge, la Marine etc. Broadcasting Offences Act, che rendeva illegale ai cittadini britannici qualsiasi forma di lavoro (anche investimenti pubblicitari), collaborazione, aiuto, sovvenzione a favore delle radio “pirata” da parte di ogni cittadino inglese. La legge entrò in vigore nell’agosto del 1967 ma Radio Caroline, la radio che ha ispirato il film campione d’incassi “I Love Radio Rock”, continuò, spostando il suo quartiere general prima in Olanda poi in Spagna per raggirarla e continuare a promuovere musica nuova, dai Pink Floyd ai Beatles, fino ad arrivare ai Rolling Stones e ai Dire Straits. L’unica radio che resistette, nonostante il divieto, fu proprio Caroline La stazione fu amata subito dal pubblico ma anche e soprattutto dagli artisti internazionali, al punto che uno di loro, George Harrison dei Beatles, contribuì a tenerla in onda nei periodi più difficili della sua storia. Alla fine furono gli elementi ad aver il meglio. Nel 1991, durante una forte temporale, si spezzò la catena dell’ancora e la Ross Revenge finì su un banco di sabbia. I DJ e l’equipaggio furono salvati da un elicottero della RAF, ma la vita in ‘alto mare’ di Radio Caroline finì definitivamente.

Il 24 aprile è morto Giuseppe Gazzoni Frascara, 84 anni, presidente dal 1993 al 2001 e proprietario, fino al 2005, del Bologna. Con lui sotto le due Torri sono arrivati giocatori come Roberto Baggio e Beppe Signori, la squadra ha raggiunto la semifinale di Coppa Uefa, è stata a un passo dalla qualificazione alla Champions League e la sua scomparsa lascia un vuoto pesante.

aldo masullo

Il 24 aprile è morto Aldo Masullo, una delle menti più lucide della filosofia contemporanea. Professore di Filosofia Morale all’Università Federico II di Napoli, 97 anni compiuti nel giorno di Pasqua, un anno fa festeggiò per il compleanno con la cittadinanza onoraria della sua Napoli, città adottiva per lui che era nato ad Avellino. Brillante conferenziere, capace di magnetizzare l’uditorio ma mai con la sola forza della retorica, Masullo ha formato con le sue lezioni generazioni di allievi, alcuni dei quali a loro volta docenti e maestri nelle università italiane. Da sempre impegnato politicamente, fu parlamentare, italiano ed europeo, e consigliere nell’amministrazione comunale di Napoli, la sua Napoli: «Nel mio sogno, sia pure saltellando e sbeffeggiando come Pulcinella, Napoli riuscirà a costruire il rispetto di se stessa», disse ricevando la cittadinanza onoraria dal sindaco de [sta_anchor id=”chiesa”]Magistris[/sta_anchor].

giulietto chiesa

Il 26 aprile Giulietto Chiesa è morto all’età di 79 anni. A darne l’annuncio il fumettista Vauro, con un post su Facebook: “Non riesco ancora a salutarlo”. Nato il 4 settembre 1940 ad Acqui Terme. È stato corrispondente da Mosca per L’Unità e La Stampa, oltre che inviato per il Tg5, il Tg1 e il Tg3. Si trasferì nella capitale sovietica con la compagna Fiammetta Cucurnia (all’epoca corrispondente per La Repubblica), La sua conoscenza della Russia lo ha portato a racontare, in numerosi libri, la fine dell’Unione Sovietica, i grandi sconvolgimenti della guerra e la globalizzazione: come La guerra infinita, fino all’ultimo Putinfobia (2016). Per Einaudi ha scritto G8-Genova, sui fatti del 2001. Per Guerini e associati ha invece pubblicato il best-seller Afghanistan anno zero, insieme a Vauro. Ha scritto anche per per vari giornalisti russi, da Literaturnaja Gazeta a Itogi, oltre a una colonna per Russia Today. Una lunga militanza politica iniziata da giovane, come dirigente della Federazione giovanile Comunista italiana. Dal 1970 al 79 è stato dirigente della Federazione di Genova del Partito Comunista Italiano. Nel 2003 è stato eletto al Parlamento Europeo. “Ricordo – scrive il vignettista, con cui ha collaborato in numerose occasioni – i suoi occhi lucidi di lacrime, a Kabul, davanti ad un bambino ferito dallo scoppio di una mina. È morto un uomo ancora capace di piangere per l’orrore della guerra. I suoi occhi sono un po’ anche i miei”.

Il 25 aprile Nicola Caracciolo, giornalista, divulgatore, autore di documentari che hanno raccontato la Storia in tv. Aveva 88 anni, essendo nato il 19 maggio 1931 a Firenze. Apparteneva alla famiglia dei principi di Castagneto: figlio di Filippo Caracciolo e Margaret Clarke, era fratello di Carlo, fondatore del gruppo Espresso e di Repubblica insieme a Eugenio Scalfari, e di Marella, moglie di Gianni Agnelli. Alla morte della sorella, il 23 febbraio 2019, aveva dichiarato: “Spero che in altri luoghi il nostro rapporto possa rimanere vivo”. La famiglia, appena sarà possibile, poterà le ceneri del nobiluomo nella sua Garavicchio, nel comune di Capalbio (Grosseto). Caracciolo era ricoverato da circa una settimana nella clinica Villa Margherita di Roma. L’annuncio della morte è stato dato da Italia Nostra, di cui era presidente onorario. Ambientalista sempre in prima linea, è stato un pioniere dell’ambientalismo: si era speso in particolare per la conservazione del paesaggio naturale e contro la realizzazione dell’autostrada Tirrenica in Maremma, dove era di casa, tanto da essere chiamato dalla gente “il principe di Capalbio“. Nella cittadina aveva guidato il premio letterario e la sezione Maremma Tuscia di Italia Nostra. Il suo impegno in Maremma era iniziato negli anni Settanta contro il nucleare e la costruzione della centrale di Montalto di Castro. Sosteneva che le “grandi opere” fossero “l’origine della corruzione del nostro Paese”. Giornalista di professione, è stato corrispondente da Washington per La Stampa. La sua passione è sempre stata la storia, fin da giovane, ed e stato autore attento alla divulgazione, curatore antesignano di dossier di storia contemporanea: memorabile l’intervista all’ultima ex regina d’Italia Maria Josè, che mai in precedenza aveva rotto il suo silenzio. Alla fine degli anni Settanta aveva intervistato in tv anche il re di maggio, cioè il consorte di Maria Josè, Umberto II. Tra gli anni Ottanta e Novanta Caracciolo ha firmato importanti inchieste televisive per la Rai: Hitler e Mussolini: Gli anni degli incontri (1998), Galeazzo Ciano una tragedia fascista (1997), Succede un quarantotto (1993), I 600 giorni di Salò (1991). Aveva scritto anche la sceneggiatura del film La fuga degli innocenti (2004) di Leone Pompucci, basato su una storia di bambini ebrei italiani sfuggiti alla persecuzione nazista e rifugiati in Palestina. Per la Rai curò anche la serie Il coraggio e la pietà, realizzata con la consulenza dello storico Renzo De Felice, suo grande amico, che, con interviste ai testimoni e ai sopravvissuti, tra cui il rabbino capo di Roma Elio Toaff, la storia degli ebrei italiani dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938. Allo stesso argomento aveva dedicato il libro Gli ebrei e l’Italia durante la guerra 1940-45 (Bonacci, 1986). Tra i suoi libri Tutti gli uomini del Duce (Mondadori, 1982). Nicola Caracciolo lascia la moglie Rossella Sleiter, che ha lavorato per molti anni come giornalista a Repubblica e ancora oggi cura sul Venerdì la rubrica “Natura“, e i figli Marella (moglie dell’artista Sandro Chia) e Filippo.

claudio risi

Il 26 aprile è morto Claudio Risi, figlio di Dino e fratello di Marco, nato a Berna il 12 novembre del 1948. Nel 1972 è aiuto regista prima di Mario Monicelli in ‘Vogliamo i colonnelli’ e poi di Carlo Di Palma in ‘Teresa la ladra’. Dal 1974 al 1984, sarà sempre aiuto regista del padre in una decina di film, a partire da ‘Profumo di donna’ fino a ‘Dagobert’. Sempre per il padre lavora anche come montatore per ‘Il commissario Lo Gatto’ (1986), mentre per il fratello Marci in ‘Tre mogli’ (2001). Esordisce alla regia a metà anni ottanta con ‘Windsurf – Il vento nelle mani’ e il televisivo ‘Yesterday – Vacanze al mare’. Tra i suoi lavori più famosi le tre stagioni della serie televisiva ‘I ragazzi della 3ª C’, che gli valgono per due volte (nel 1987 e nel 1988) il Telegatto per il miglior telefilm italiano. Nel 2005 aveva firmato insieme al padre il documentario Rudolf Nureyev alla Scala e aveva poi diretti cinepanettoni come ‘Matrimonio alle Bahamas’ (2007) e ‘Matrimonio a Parigi’ (2011).

Maj Sjöwall

Il 28 aprile la scrittrice svedese Maj Sjöwall, pioniera del giallo scandinavo con il marito Peer Wahlöö, autori in coppia della serie di dieci romanzi che ha per protagonista il commissario Martin Beck, si è spenta all’età di 84 anni dopo una lunga malattia, circondata dalla sua famiglia. Il decesso non è legato al coronavirus, ha precisato un portavoce della famiglia. La collaborazione tra i due maestri del giallo ha avuto un fine anche politico: la critica da sinistra della socialdemocrazia svedese, anche con estremizzazioni. Si contano traduzioni in una trentina di lingue (tra le quali cinese e giapponese) e diverse trasposizioni cinematografiche e televisive della saga poliziesca di Martin Beck. In Italia la casa editrice Sellerio ha pubblicato tutta l’opera narrativa di Sjöwall e Wahlöö: “Roseanna” (Roseanna, 1965), “L’uomo che andò in fumo” (Mannen som gick upp i rök, 1966) e “L’uomo al balcone” (Mannen på balkongen, 1967), poi raccolti anche nel volume “I primi casi di Martin Beck” della collana ‘Galleria’, cui seguirono “Il poliziotto che ride” (Den skrattande polisen, 1968), “L’autopompa fantasma” (Brandbilen som försvann, 1969), “Omicidio al Savoy” (Polis, polis, potatismos!, 1970), “L’uomo sul tetto” (Den vedervärdige mannen från Säffle, 1971), “La camera chiusa” (Det slutna rummet, 1972), “Un assassino di troppo” (Polismördaren, 1974). L’ultimo volume della serie è “Terroristi” (Terroristerna, 1975), anno della morte del marito. In una nota, la casa editrice Sellerio “la ricorda con affetto e gratitudine, orgogliosa di aver contribuito alla diffusione della sua opera, dal primo titolo in coppia con Peer Wahlöö, ‘Roseanna’, fino all’ultimo, ‘Terroristi'”. Maj Sjöwall, nata a Stoccolma il 25 settembre 1935, e il marito Per Wahlöö (1926-1975) si incontrarono nel 1961, quando entrambi lavoravano nel mondo del giornalismo. All’epoca Sjöwall alternava la mansione di cronista a quella di impaginatrice, mentre Wahlöö, dopo essersi occupato di cronaca nera, era diventato redattore. I due si sposarono ne 1962. Oltre all’impiego come redattore, Wahllöö scriveva libri polizieschi, e nella prima metà degli anni ’60 aveva già pubblicato diversi romanzi. Fu proprio l’urgenza di consegnare uno di questi romanzi (Uppdraget, 1963, uscito in Italia come “Ripulite la piazza”) a suggerirgli di farsi aiutare dalla moglie, cui affidò il compito di descrivere alcuni personaggi ed ambienti. Incoraggiata dal buon esito, la coppia decise di dedicarsi a un romanzo scritto a quattro mani. Dopo l’uscita di “Roseanna” (1965), il duo decise che avrebbe scritto altri gialli con al centro Martin Beck e la squadra omicidi di Stoccolma. Il successo della serie superò ampiamente i confini della Svezia. Negli ultimi anni Maj Sjöwall si è dedicata alla traduzione di gialliste come Anne Holt e Gretelise Holm, e occasionalmente, alla scrittura, curiosamente sempre a quattro mani, prima in coppia con il danese Bjarne Nielsen per il racconto “Dansk intermezzo” (Intermezzo danese, 1989), poi con l’olandese Tomas Ross per il romanzo “La donna che sembrava Greta Garbo” (Kvinnan som liknade Greta Garbo, 1990), edito anche in Italia.

Il primo maggio è morto Trevor Cherry, difensore del Leeds dei tempi d’oro (negli anni Settanta), morto a 72 anni per cause non precisate. Cherry vinse il campionato a “Elland Road” del 1973-74 e l’FA cup del 1972 ma perse la finale di Coppa delle Coppe contro il Milan di Nereo Rocco e Gianni Rivera nel ‘73 e quella di Coppa dei Campioni col Bayern dei “Kaiser” Beckenbauer e di Gerd Müller nel 1975, che tra l’altro Trevor guardò dalla panchina – dopo aver marcato Cruyff nei turni precedenti – per aver saltato le partite antecedenti per squalifica. La fascia di capitano, invece, arrivò nel 1976, in successione al roccioso Billy Bremner, proprio il compagno di reparto di Hunter e cerniera difensiva dei “pavoni”. 486 le presenze totali di Cherry con il Leeds, coronata anche dalla fascia di capitano della nazionale inglese a fine carriera. “Siamo tristi e scioccati”, ha fatto sapere il Leeds. Cherry non fu un campione del mondo del 66’, ma da dicembre scorso a oggi, oltre a Hunter, ne sono deceduti due di quella incredibile squadra che ancora oggi vanta il record di spettatori in televisione oltremanica (quasi 35 milioni).

Il 2 maggio è morto all’età di 90 anni a seguito di una lunga malattia il leggendario pilota inglese Stirling Moss. Nella storia della Formula 1 è stato il pilota che ha vinto il maggior numero di gran premi senza aver mai vinto il titolo mondiale (terminò quattro volte secondo). Fu uno dei piloti più amati, definito in patria “Mr. Motor Racing” per la sua passione e competitività in pista. Il suo atteggiamento spesso sconsiderato ha messo a dura prova il suo corpo leggero. La sua carriera terminò presto, all’età di 31 anni, dopo che un terribile incidente lo lasciò in coma per un mese nell’aprile del 1962. In carriera Moss ha vinto 16 delle 66 gare di F1 a cui ha preso parte, affermandosi come pilota tecnicamente eccellente e versatile in molte categorie.

Il 9 maggio è morto a Santo Domingo all’età di 84 anni il fotografo Bob Krieger, noto soprattutto per aver realizzato i ritratti di numerosi personaggi internazionali dello spettacolo, della politica, dell’industria, dello sport e della moda, tra cui Bill Gates, Gianni Agnelli, Indro Montanelli e Giorgio Armani. Di Agnelli fu il ritrattista ufficiale negli ultimi dieci anni della sua vita. Krieger era nato a Alessandria d’Egitto nel 1936 ma era italiano, anche se cresciuto in una famiglia cosmopolita: il padre era un nobile prussiano mentre la madre era siciliana e la sua istitutrice fu Iolanda Margherita di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III. Non si conoscono ancora le cause della sua morte. Krieger negli ultimi due mesi era rimasto confinato in un appartamento di Santo Domingo, dove era andato in vacanza, a causa delle misure di isolamento sociale per l’emergenza da coronavirus.

Il 15 maggio è morto Sandro Petrone, inviato speciale e di guerra, volto del Tg2, conduttore dell’edizione delle 13 dal 1997 al 2012. Sandro Petrone è morto a 66 anni. Attraverso l’esperienza delle primissime radio private Petrone era approdato al giornalismo, aveva lavorato per i quotidiani e poi dal 1979 era arrivato in Rai.

Shobushi

Il 14 maggio è morto il 28enne Kiyotaka Suetake, altrimenti noto come Shobushi, è morto infatti a causa di un’insufficienza multi-organo legata al Covid-19, diventando così la prima persona al di sotto dei 30 anni a perdere la vita per la pandemia. Risultato positivo il 10, le sue condizioni si erano però rapidamente aggravate e il 19 era entrato in terapia intensiva, ma non ce l’ha fatta. Professionista dal 2007, lo sfortunato lottatore aveva raggiunto l’undicesima posizione nella classifica della divisione «sandanme», la quarta categoria del sumo. All’inizio del mese il Summer Grand Sumo Tournament (il più grande evento legato al sumo) che era in programma dal 24 maggio al 7 giugno nel famoso Ryogoku Kokugikan di Tokyo è stato cancellato per impedire l’ulteriore diffusione del Coronavirus (è la seconda volta che succede nella sua storia, la prima fu nel 2011 per uno scandalo di scommesse illegali), mentre il Nagoya Grand Tournament, previsto a luglio, resta per ora in programma, ma è stato spostato a Tokyo e dovrebbe svolgersi a porte chiuse.

Il 15 maggio è morta Nanda Vigo, a 83 anni. Elaborò nel 1964 il Manifesto cronotopico, la teoria della modificazione dello spazio attraverso la luce e il coinvolgimento sensoriale «di chi fruisce di spazi e oggetti». Sempre sotto il segno della luce, tra il 1965 e il 1968 Nanda Vigo collaborò e creò con Gio Ponti la Casa sotto la foglia a Malo, Vicenza, mentre nel 1971 venne premiata con il New York Award for Industrial Design per il suo sviluppo di lampade come la Golden Gate; sempre nel 1971, poi, realizzò uno dei suoi progetti più spettacolari per la Casa Museo Remo Brindisi a Lido di Spina (Ferrara). Nella sua attività, Nanda Vigo (che nel 1982 aveva partecipato alla 40ª Biennale di Venezia) ha dunque sempre voluto, con passione e testardaggine, connettere arte, design e architettura. I suoi non sono mai oggetti o lampade soltanto: qualcosa va sempre oltre, come nel caso dei lavori realizzati per Driade, dal tavolo Essential al mobile buffet Cronotopo alla sedia-pouf Blocco, capace di riempire lo spazio. Fisicamente ma anche emozionalmente.

Il 16 maggio è morto a Roma all’età di 74 anni Mauro Sentinelli, uno dei padri della telefonia mobile in Italia, inventore dell’abbonamento ricaricabile. Laureato in ingegneria elettronica, entrò nel 1974 in Sip, poi diventata Telecom Italia, dove rimase fino al 2005 ricoprendo diversi incarichi, tra cui direttore generale di Tim. È stato a lungo consigliere d’amministrazione del gruppo telefonico. A lui si deve il lancio della TimCard, il primo abbonamento telefonico ricaricabile al mondo. Sentinelli è finito più volte nel mirino in passato in quanto pensionato più pagato d’Italia.

Il 16 maggio la fotografa tedesca Astrid Kirchherr, i cui primi scatti dei giovanissimi Beatles hanno contribuito a trasformarli in icone, curando il loro stile visivo e ideando per loro il taglio dei capelli a caschetto, è morta ad Amburgo, sua città natale, alla vigilia dell’82esimo compleanno. La scomparsa è stata annunciata dallo storico dei Beatles Mark Lewisohn, che ha precisato che Kirchherr si è spenta mercoledì scorso dopo una breve malattia. “Il suo dono ai Beatles è stato incommensurabile”, ha scritto Lewisohn su Twitter. Era nata nella città anseatica il 20 maggio 1938. Astrid Kirchherr, allieva e assistente del grande fotografo tedesco Reinhart Wolf (1930-1988), è stata la ‘musa esistenzialista’ durante gli ‘Hamburg Days’, gli anni formativi dei Beatles nell’Amburgo del dopoguerra e tappa fondamentale della cultura pop: non solo immortalò il gruppo quando ancora si stava formando ma ne influenzò profondamente l’immagine esteriore trasformandola in quella che tutti oggi conosciamo. Kirchherr incontrò per la prima volta i Beatles nel 1960 al Kiserkeller di Amburgo, uno dei molti locali sulla Reeperbahn in cui le giovani band inglesi venivano messe sotto contratto a pochi marchi per suonare rock’ n’ roll tutta la notte ed intrattenere i molti soldati americani di stanza nella città dopo la fine della seconda guerra mondiale. Kirchherr all’epoca era studentessa al politecnico e assistente del celebre fotografo Reinhard Wolf, da cui stava imparando la fotografia, e venne a sapere della band grazie all’amico e allora fidanzato Klaus Voormann. I Beatles e la Kirchherr però rimasero legati da profonda amicizia e la fotografa fu una delle poche che poté seguire la band anche negli anni successivi quando ormai erano all’apice della carriera, realizzando scatti memorabili ma anche intimi e privati, tra vacanze rubate, e week end in giro per l’Europa. I Beatles dal canto loro, cercarono sempre di ricreare quei primi anni di Amburgo, sia stilisticamente che visivamente, per molto del tempo a venire. Kirchherr fu la prima ad immortalare i Beatles in un vero e proprio servizio fotografico posato, regalando scatti oramai entrati nella storia ma che erano pressoché sconosciuti fino agli anni Novanta; inoltre fu l’unica fotografa ammessa sul set di Hard Day’s Night, il primo film della band. La storia di Astrid Kirchherr e Sutcliffe e i Beatles è raccontata dal film Backbeat – Tutti hanno bisogno di amore (1993) di Iain Softley, nel quale la fotografa è interpretata dall’attrice Sheryl Lee. Si passa dall’incontro con i cinque di Liverpool, per scandire passo a passo l’innamoramento e la comunione di idee con la band. La fotografa compare anche nel docufilm La nascita dei Beatles (1979) e nel film per la tv La vera storia di John Lennon.

ann mitchell

Il 18 maggio è morta Ann Mitchell, a 97 anni, di Covid nella casa di riposo di Edinburgo dove risiedeva dal 2018. Nascondeva una vita avvincente che sino agli anni 70 aveva celato a tutti, anche al marito Angus, e che solo nel 2009 le aveva portato un riconoscimento ufficiale dai servizi segreti britannici con l’assegnazione di «una medaglia piccola ma significativa». Mitchell ebbe un ruolo fondamentale nell’ultima fase del conflitto. James Turing, pronipote del genio matematico Alan, ha sottolineato che i diari di Mitchell nonché la poca documentazione che è rimasta sulle attività di Bletchley mostrano che le mansioni di Ann e le sue esperienze durante la guerra furono molto simili a quelle del prozio. In più, precisa, il suo ruolo e la sua bravura «aiutarono a superare i pregiudizi tipici di quei tempi e a permettere a tutti, donne e uomini, di raggiungere ciò di cui erano capaci».

Il 19 maggio Susan Rothenberg si è spenta a 75 anni. Dagli inizi della sua carriera, a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, è stata una coraggiosa artista controcorrente: ha cominciato esponendo nelle gallerie di New York cavalli di grandi dimensioni, figure indefinite e atmosfere sospese su tela, in un momento in cui la grande vetrina dell’arte degli Stati Uniti era occupata esclusivamente dai grandi nomi legati a Minimal e Concettualismo. Una strada indipendente che l’ha in seguito incoronata come pioniera, quando il quadro bianco non ha retto più e le mostre sono tornate ad essere invase da dipinti di ogni colore e formato.

Il 19 maggio a soli 55 anni è morto Cesare Barbieri, originario di Vigevano (Pavia), da alcune settimane ricoverato in una struttura sanitaria a Milano dopo esser stato recentemente colpito da un ictus che aveva aggravato le sue condizioni di salute aggiungendosi alla malattia contro la quale combatteva da tempo. Barbieri nella sua vita era riuscito ad unire due grandi passioni, quella per lo sport e quella per il giornalismo. Aveva cominciato la professione sin da giovanissimo a Radio Pavia e al settimanale locale “il Lunedì”, soprattutto occupandosi del basket, primo grande amore, poi di calcio e di cronaca. Dalle televisioni locali e il lavoro alla rivista Nuovo calcio, è passato a canali nazionali come 7 Gold, poi Mediaset Premium, Sky e la piattaforma Tim. Attualmente lavorava per Infront e il magazine sulla serie B per la Lega Calcio. Professionalmente molto preparato, si è sempre fatto apprezzare anche per il suo carattere aperto e gioviale. Gli amici e colleghi ricordano, in particolare, anche la sua passione per il campione Roberto Boninsegna.

Bruno Bernardi

Il 19 maggio è morto Bruno Bernardi, storica firma di calcio del quotidiano La Stampa per il quale ha lavorato per decenni raccontando partite, personaggi, aneddoti e retroscena della Juventus di cui era grande tifoso. Aveva 79 anni e da qualche giorno era ricoverato all’ospedale Mauriziano. Da ragazzo aveva giocato a calcio in una società dilettantistica torinese, il Pino Maina. Andato in pensione, è stato opinionista in alcuni programmi televisivi tra cui ‘Il processo di Biscardi’. Ha scritto una quindicina di libri: il più apprezzato è probabilmente ‘Rombo di tuono’, la biografia di Gigi Riva, al quale era legato da stima e amicizia.

Oliver Williamson

Il 21 maggio a 87 anni è morto Oliver Williamson, professore emerito di Organizzazione e Economia alla Haas School of Business della Università di Berkeley, per complicazioni legate ad una malattia polmonare. Williamson, studioso timido ma amato da moltissimi colleghi che lo chiamavano amichevolmente Olly, era uno sconfinatore disciplinare, poiché connetteva le teorie dell’economia industriale alla strategia e alla organizzazione del pensiero aziendalistico e ai paradigmi della contrattualistica degli studi giuridici. Aveva ricevuto nel 2009 il Premio Nobel per i suoi studi orientati al ridisegno dei confini organizzativi e alla governance d’impresa. Suo cavallo di battaglia era l’elaborazione dei “costi di transazione”, che delineano e salvaguardano un accordo di mercato. Basandosi sui lavori pensati da studiosi americani famosi come Coase e Commons, i costi di transazione consentono di definire il processo di “make or buy” con cui le aziende decidono di internalizzare o esternalizzare un processo produttivo. E pertanto di impostare quanto e come le aziende possono crescere e prosperare basandosi su processi propri o gestiti da un fornitore esterno. Con un orizzonte non convenzionale nella teoria economica, il libro seminale di Williamson “Markets and Hierarchies” (1975 e traduzione italiana nel 1983 per i tipi de Il Mulino) spiega che l’obiettivo è sempre quello di minimizzare i costi di transazione, in particolare nei contratti incerti e incompleti, dove può imperare la razionalità limitata degli attori e l’opportunismo delle parti contrattuali. Dopo il suo lavoro sui mercati e le gerarchie, che ha anche messo le basi per il filone di studi chiamato “Economia neo-istituzionalista”, nessun ricercatore successivo ha più potuto immaginare le relazioni di sub-fornitura secondo le teorie precedenti; le joint ventures, i contratti longevi, l’efficienza della burocrazia hanno dovuto fare i conti con l’approccio williamsoniano. Amico dell’Italia, lo studioso americano ha cominciato ad essere approfondito intorno all’inizio degli anni Ottanta. L’Università Bocconi per prima nel 1982 ha inserito la traduzione d Williamson ”Organizazione e Mercati” tra i libri di testo per gli studenti di Economia aziendale, pur essendo l’opera non certo di facilissima metabolizzazione, e il paradigma dei confini è stato molto utile nelle riflessioni circa i processi strategici di esternalizzazione e di delocalizzazione della produzione e dei servizi.

Hagen Mills

Il 21 maggio è morto l’attore americano Hagen Mills, si è suicidato, dopo aver sparato alla sua compagna. Secondo quanto riferito dalle autorità, il corpo senza vita dell’attore 29enne, noto soprattutto per le sue apparizioni nelle quattro stagioni della serie «Baskets», è stato trovato dalla polizia, in seguito alla segnalazione di una sparatoria a Mayfield, in Kentucky. Secondo le ricostruzioni apparse sulla stampa americana, gli agenti avrebbero appurato che lunedì scorso Mills aveva raggiunto la casa della madre della sua compagna Erica Price, dove la donna si trovava con la loro figlioletta di 4 anni. Dopo essere entrato in casa, l’attore avrebbe sparato, ferendo la compagna, per poi rivolgere la pistola contro se stesso e togliersi la vita con un colpo alla testa. Le ferite procurate alla compagna, fortunatamente, non sono invece state mortali e la donna si trova in ospedale in condizioni stabili ma non sarebbe in pericolo di [sta_anchor id=”gigi”]vita[/sta_anchor].

Il 22 maggio è morto a 77 anni Claudio Ferretti, giornalista e radiocronista sportivo famoso soprattutto per aver commentato la Serie A e il ciclismo negli anni Settanta e Ottanta sulle trasmissioni radiofoniche della RAI, in particolare Tutto il calcio minuto per minuto. Nato a Roma nel 1943, Ferretti aveva cominciato a lavorare alla RAI negli anni Sessanta, diventandone nel decennio successivo uno dei più noti commentatori radiofonici. A partire dagli anni Ottanta fece anche la televisione, conducendo il TG3 e poi, alla fine degli anni Novanta, Il processo alla tappa. Era figlio di Mario Ferretti, altro grande giornalista sportivo.

gigi simoni

Il 22 maggio è morto Luigi Simoni. Aveva 81 anni. L’allenatore aveva accusato un ictus il 22 giugno scorso nella sua abitazione di San Piero a Grado (Pisa) e da lì ha continuato a lottare per mesi, senza però riuscire a riprendersi. A marzo era stato riportato a casa dalla clinica che l’aveva in cura per ragioni di sicurezza, vista la pandemia di coronavirus. Nelle ultime ore, però, un deciso peggioramento delle sue condizioni aveva reso necessario l’immediato ricovero all’ospedale di Pisa, dove è arrivato ieri senza più speranze di riprendersi. Accanto a lui fino all’ultimo, come sempre, la moglie Monica. I funerali si terranno domenica alle 16 nella basilica di San Piero a Grado. Terminata l’emergenza coronavirus, l’idea è quella di organizzare una commemorazione all’Arena Garibaldi di Pisa, invitando tutte le società con cui Simoni ha lavorato.

Il 22 maggio è morta oggi a Pistoia all’età di 57 anni la regista Cristina Pezzoli. Originaria di Vigevano (Pavia) nel 2002 si era trasferita a Pistoia, città che non ha più lasciato, per assumere la direzione artistica del teatro Manzoni. Esperienza durata fino al 2005. Pezzoli si era avvicinata da giovane al mondo del teatro partecipando, appena 19enne, a uno stage di Dario Fo. Diplomata nel 1986 in regia alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano, nella sua carriera ha collaborato come assistente di Nanni Garella e aiuto regista di Massimo Castri. Ha poi curato le regie per il Teatro Stabile di Parma, per La Contemporanea ’83 (con Sergio Fantoni), per la Compagnia Gli Ipocriti. Nella sua carriera ha firmato la regia non solo di spettacoli teatrali, tra i più conosciuti la sua rilettura di ‘Filumena Marturano’ di Eduardo De Filippo e ‘L’Attesa’, ma anche di alcune opere liriche e televisive. Ultimamente aveva trasferito il suo lavoro a Prato dove in un capannone dismesso aveva dato vita al centro culturale Compost e dove lavorava, anche attraverso il teatro, per l’integrazione della comunità cinese.

Hana Kimura

Il 23 maggio è morta Hana Kimura, wrestler figlia d’arte, aveva 22 anni. Non sono state ancora svelate le modalità del decesso, ma nelle scorse ore si era diffuso il timore che Hana, vittima di cyberbullismo, potesse aver tentato il suicido dopo la pubblicazione su Twitter di un momento di automutilazione personale, accompagnato da un testo eloquente.

Il 27 maggio è morto Christian Mbulu, difensore di 23 anni che aveva giocato con il Milwall, nella Championship inglese, e il Motherwell in Scozia. Ancora non si conoscono le cause del decesso di questo sfortunato ragazzo, classe 1996. Era nato il 6 agosto del 1996 Mbulu che dunque aveva appena 23 anni. Le cause della morte non sono ancora note. La notizia è giunta nella tarda serata di martedì. Mbulu era un calciatore, ed era tesserato dal Morecambe, un club della League Two (la quarta serie inglese, l’ultima professionistica). La sua carriera aveva avuto un brillante inizio con il Brentwood Town ed era proseguita in crescendo. Perché il difensore era passato prima al Milwall, storico club londinese, che giocava in Championship, e poi al Motherwell, nota società scozzese. Poi era tornato in Inghilterra ed era finito nel Morecambe, e prima ancora invece al Crewe Alexandra.

Il 27 maggio il fotografo francese Roland Michaud, globe-trotter avventuriero specializzato in reportage dall’Asia, autore di affascinanti e suggestivi scatti della Cina, dell’India, della Mongolia e dell’Afghanistan, immortalati in libri di grande successo, è morto a Parigi all’età di 89 anni. L’annuncio della scomparsa, avvenuta lunedì scorso, è stato dato oggi dal quotidiano parigino “Le Monde”. Con la moglie Sabrina, 81 anni, Roland Michaud ha formato per quasi sessant’anni una coppia inseparabile di fotografi-viaggiatori che hanno girato con ogni mezzo di trasporto metà pianeta, dall’Oriente al Corno d’Africa, concentrandosi in particolare sull’Asia centrale, dove già dagli anni Settanta hanno realizzato magnifici reportage. Una delle foto di Michaud è diventata un’icona: si tratta di “l’uomo con la rosa”, che raffigura un vecchio afghano con un turbante blu che tiene in mano una rosa appassita. Specializzati nel Medio ed Estremo Oriente, i coniugi Michaud sono autori di molti libri fotografici che trattano tematiche legate all’arte e alla cultura islamica. Ultimi fotografi-avventurieri negli anni ’60 Roland e Sabrina, dopo un lungo viaggio in Etiopia, si diressero all’esplorazione dell’Afghanistan allora pressoché sconosciuto, spingendosi, con le carovane, fino al Kirghizistan e al Pamir. Da quei viaggi afghani, ripetuti più volte fino al 1971, nacque “Carovane di Tartaria” (edizione originale francese del 1987; in Italia uscì da Gremese nel 1980), considerato un testo di riferimento del fotoreportage sull’Oriente. Altri volumi della coppia Michaud apparsi in italiano sono: “Oriente allo specchio” (Rusconi, 1981), “Turchia” (Rizzoli, 1987), “Uomini e Dei, la danza cosmica dell’India” (L’ippocampo, 2007) e “La Cina in uno specchio” (L’ippocamo, 2009): tutti considerati classici nel loro genere, che continuano ad essere fonti di ispirazione per fotografi e viaggiatori.

Il 31 maggio il giornalismo sportivo piange Beppe Barletti, volto storico della Rai. In pensione dal 1993, avrebbe compiuto 92 anni il prossimo 30 settembre. Celebri i suoi collegamenti da Torino, dove con aplomb tipicamente sabauda raccontava le vicende della Juventus e del Torino per 90′ Minuto e Domenica Sprint, due trasmissioni cult degli anni ’70. In Rai, dov’era approdato in seguito a una lunga gavetta, si è occupato anche di automobilismo, atletica e basket, ma è stato anche autore di reportage dall’estero o di servizi di cronaca e politica. Tra le sue interviste, anche quella al cardiochirurgo Chris Barnard. Giornalista di una volta, nel senso migliore dell’espressione, fino a qualche tempo fa era una presenza fissa allo Sporting, il circolo torinese della stampa.

christo

Il 31 maggio l’artista Christo Vladimirov Javacheff, noto come Christo, è morto per cause naturali, ad 84 anni, nella sua casa di New York. Lo annuncia il suo ufficio con un comunicato sulla pagina Facebook Christo and Jeanne-Claude Official. Nel 2016 aveva creato “The Floating Piers”, una grande passerella per camminare sul lago d’Iseo. Christo era nato il 13 giugno 1935 a Gabrovo, in Bulgaria, che lasciò nel 1957. Andò prima a Praga, poi a Vienna e quindi Ginevra. Nel 1958 andò a Parigi, dove incontrò Jeanne-Claude Denat de Guillebon, non solo sua moglie, ma anche compagna di vita nella creazione di opere d’arte. Jeanne-Claude è morta 18 novembre 2009. Alcuni dei loro lavori includevano Wrapped Coast, Little Bay a Sydney, Australia (1968-69), Valley Curtain Colorado (1970-72), Running Fence in California (1972-76), Isole Surrounded a Miami (1980-83), The Pont Neuf Wrapp a Parigi (1975-85), Gli ombrelloni in Giappone e California (1984-91), il Reichstag avvolto a Berlino (1972-95), The Gates nel parco di New York (1979-2005), The Floating Piers al Lago d’Iseo (2014-16), e The London Mastaba sul lago Serpentine di Londra (2016-18).

Roberto Gervaso

Il 2 giugno lo scrittore e giornalista Roberto Gervaso, autore di successo di numerosi libri, in particolare biografie di celebri personaggi, e protagonista tra i primi della grande divulgazione storica in Italia, è morto, dopo una malattia, all’età di 82 anni in ospedale a Milano. Lascia la moglie Vittoria e la figlia Veronica, giornalista del Tg5. E’ stato anche un popolare personaggio della tv dove appariva sempre con il suo immancabile papillon ed è noto per i suoi aforismi. Roberto Gervaso è nato a Roma il 9 luglio 1937. Ha studiato in Italia e negli Stati Uniti e si è laureato in lettere moderne, con una tesi sul filosofo Tommaso Campanella. Ha collaborato a quotidiani e periodici, alla radio e alla televisione, e per decenni si è dedicato alla divulgazione storica, sua grande passione, come testimoniano decine di libri pubblicati da Rizzoli, Bompiani e Mondadori. Gervaso inizia l’attività giornalistica nel 1960 al “Corriere della Sera”, presentato da Montanelli. Tra il 1965 e il 1970 firma, insieme a Montanelli, i primi sei volumi della “Storia d’Italia” edita da Rizzoli, acquisendo grande notorietà. E’ Gervaso che cura con dettagliata precisione la scansione cronologica dell’Italia “dai secoli bui” del Medioevo a quella del Settecento illuminista e riformatore. Nel 1967, per uno di quei volumi, “L’Italia dei Comuni. Il Medio Evo dal 1000 al 1250”, Gervaso e Montanelli vinceranno il Premio Bancarella. Gervaso è poi tornato a vincere da solo il suo secondo Premio Bancarella nel 1973 con la biografia “Cagliostro” (Rizzoli; nuova edizione con il titolo “Il grande mago. Vita, morte e miracoli del conte di Cagliostro”, Rizzoli, 2002). Dopo lo straordinario successo di vendite di “Cagliostro”, Gervaso ha pubblicato altre sei biografie storiche da Nerone a Casanova, dai Borgia a Claretta Petacci, tutti volumi usciti tra gli anni ’70 e ’80 da Rizzoli. Ha scritto anche “La monaca di Monza. Venere in convento” (Bompiani, 1984). Con “La bella Rosina. Amore e ragion di Stato in Casa Savoia” (Bompiani, 1991) ha fatto conoscere a un vasto pubblico Rosa Vercellana, l’amante e in seguito la moglie morganatica del re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia. Nella sua vasta bibliografia di oltre 60 titoli, un grande giallo storico, “Scandalo a corte”; due raccolte di grandi storie d’amore, “Appassionate” e “Amanti”; sei raccolte d’interviste; una raccolta d’interviste immaginarie, tre raccolte di aforismi; un volume di confessioni, uno di galateo erotico, uno sui sentimenti. Tra i suoi libri più recenti: “Italiani pecore anarchiche” (2003), “Qualcosa non va” (2004), “Ve li racconto io” (2006) e “Io la penso così” (2009). Le sue opere sono tradotte negli Stati Uniti, in Canada, in America Latina, Spagna, Portogallo, Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone, Bulgaria, Polonia, Romania. Gervaso è stato tra i primi commentatori della nascente tv commerciale di Silvio Berlusconi, dove il pubblico imparò subito a conoscerlo per il papillon che indossa quotidianamente e per l’eloquio brillante e pungente. A partire dal 1996 ha condotto il programma “Peste e Corna”, andato in onda dal lunedì al venerdì su Retequattro, fino al 1999, con share del 10-15% (dal 2000 al 2005 è diventata la rubrica “Peste e corna… e gocce di storia”). Mai in cravatta, solo con il papillon. Secondo Dagospia, l’informatissimo sito di gossip e mondanità di Roberto D’Agostino, nel guardaroba di Roberto Gervaso ci sono 300 cravatte a farfalla, oltre a cento cappelli (“tutti Borsalino, li porto sempre. Un po’ per proteggermi, un po’ per vezzo”). Ma perché ha una predilezione per i papillon? “Per farmi notare”, rispose anni fa lo scrittore e giornalista in un’intervista. “Di quelli veri, che annodo io – spiegò – La differenza che passa tra un farfallino finto già annodato e uno vero da annodare è come quella tra le uova di lompo e il caviale beluga”. Tra i creatori di papillon per Gervaso anche lo stilista romano Alberto Valentini. E qualcuno dei grandi papillon indossati dal giornalista è partito anche dal laboratorio ‘Al ties’ di Novara, tagliato su misura per lui che amava il formato extra large. Scrittore, giornalista e… aforista. Gervaso era considerato ‘il principe degli aforismi’, da lui disseminati in libri, articoli e in discorsi televisivi e radiofonici. Ha scritto: “L’aforisma è un lapillo dell’intelligenza”. E sulla breve frase fulminante e brillante che condensa un principio morale, filosofico o esistenziale ha aggiunto: “La concisione è l’arte di dire molto con poco; la prolissità, di dire niente con troppo”. I suoi tanti aforismi sono stati raccolti in quattro volumi: “Il grillo parlante” (Bompiani, 1983), “La volpe e l’uva” (Bompiani, 1989), “Aforismi” (Ten, 1994), “La vita è troppo bella per viverla in due” (Mondadori, 2015).

Il 3 giugno è morto Carlo Ubbiali, detto la ‘Volpe’ per il suo modo astuto di gareggiare, aveva 90 anni. In carriera, Ubbiali riuscì ad aggiudicarsi nove titoli mondiali (sei nella Classe 125 e tre nella 250), ma anche otto Campionati italiani, vincendo in tutto 39 corse iridate sulle 74 alle quali prese parte. Con Giacomo Agostini, che ne fu il successore, e Valentino Rossi, è a pieno titolo nel podio dei motociclisti italiani più amati e vincenti. Negli anni ’50 ingaggiò avvincenti duelli con Tarquinio Provini, il suo rivale più pericoloso e temuto. A dicembre dell’anno scorso, in una delle ultime cerimonie pubbliche prima dello stop per pandemia, aveva ricevuto il Collare d’Oro al merito sportivo del Coni, la più alta onorificenza conferita dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Con lui erano stati premiati anche altri campioni del motociclismo, come Marco Lucchinelli e l’emiliano Luca Cadalora. Ubbiali, nei primi giorni del mese scorso, era stato ricoverato per una serie di problemi respiratori, oggi è morto, lasciando un grande vuoto nel mondo dello sport e in particolare del motociclismo. “Ho un grande ricordo di Ubbiali: avevo 10-12 anni quando vinceva tutto e sognavo di diventare come lui un giorno – il ricordo commosso di Giacomo Agostini, che ne raccolse l’eredità sportiva, andando perfino oltre le vittorie di Ubbiali -. E’ stato per me un esempio, un incentivo e una grande fonte d’ispirazione. Un vero e proprio punto di riferimento. Era davvero un grande”. Agostini amava di Ubbiali il modo di correre. “Usava la testa, da grande campione, ma non solo: stava sulla moto con intelligenza e furbizia, era assai abile – ha detto, all’ANSA, il pluricampione del mondo -. All’epoca il motociclismo si vedeva poco in tv, era tutto diverso, non era come oggi; io leggevo le sue imprese sui giornali e mi emozionavo, immaginandolo. Lo descrivevano con fosse un tutt’uno con la moto. Siamo accomunati dalla MV Agusta: quando ingaggiarono me chiesero informazioni sul mio conto a lui. Non so come andarono le cose nel dettaglio, ma mi presero”. La carriera di Ubbiali non fu lunghissima. Il centauro bergamasco decise di farla finita con il motociclismo e le corse a soli 30 anni: lasciò da campione in carica, ma soprattutto al top della forma atletica, perché scosso dalla morte del fratello.

Il 4 giugno è morto, dopo aver lottato contro un male incurabile, a soli 48 anni Roberto Faraone Mennella, designer di fama mondiale di pezzi di alta gioielleria. Roberto Faraone Mennella era originario di Torre del Greco ma era un vero cittadino del mondo tanto che passava molto tempo tra la sua città natale, New York e Capri. Insieme all’amico Amedeo Scognamiglio il designer ha portato le sue creazioni d’eccellenza in tutto il mondo tanto da essere scelte da star mondiali, da Spike Lee a Charlize Theron a Meryl Streep. Il duo di creativi ha creato “R.F.M.A.S”, marchio approdato negli Stati Uniti nel 2001 ma che subito dopo ha sfondato nel mondo della gioielleria, con punti vendita a Londra, New York, Los Angeles, Pechino e Capri (la loro prima boutique italiana inaugurata nel 2012). Vasto cordoglio per la morte di Faraone Mennella sui social, dove era molto amato per il suo spirito cortese, per la sua gentilezza e per la sua voglia di combattere la malattia. Sul suo Instagram sono presenti foto durante la cura del male che l’ha strappato troppo giovane alla vita. L’ultimo saluto avrà luogo in forma privata nella cappella di famiglia.

Kurt Thomas

Il 7 giugno è morto a 64 anni Kurt Thomas, il primo statunitense a vincere una medaglia d’oro ai campionati mondiali di ginnastica. L’ex atleta, nato in Florida, era stato colpito da un ictus un paio di settimane fa e non si è più ripreso. Nel 1978, ai Mondiali di Strasburgo (Francia), Thomas vinse l’oro nel corpo libero, portando il primo titolo maschile negli Stati Uniti, ripetendosi poi nel 1979 a Fort Worth (Usa). In quell’edizione conquistò un totale di sei medaglie, stabilendo un record per un atleta Usa in una singola edizione dei Mondiali, battuto due anni fa da Simone Biles a Doha. Thomas, dal 2003 nella Hall of fame della ginnastica mondiale, aveva partecipato alle Olimpiadi di Montreal nel 1976 senza vincere una medaglia e a causa del boicottaggio dei Paesi occidentali dovette rinunciare a quelle di Mosca del 1980, dove sarebbe stato uno dei favoriti.

L’8 giugno 2020 Tony Dunne è morto a 78 anni. E’ stato una leggenda dei Red Devils, con i quali il terzino sinistro ha giocato 530 partite, tra il 1960 e il 1973: meglio di lui, nella storia del club, hanno fatto soltanto altri sette giocatori: Ryan Giggs, Bobby Charlton, Bill Foulkes, Paul Scholes, Gary Neville, Wayne Rooney e Alex Stepney. Nato a Dublino il 24 luglio 1941, Dunne esordì a 17 anni con il club irlandese Shelbourne, che poi nel 1960 lo cedette al Manchester United per 5 mila sterline lo cedette al Manchester United. Nel 1963 vinse il primo trofeo, la FA Cup, battendo il Leicester. Poi i trionfi in Premier nel 1965 e nel 1967, anche se l’impresa più grande rimane quella del 1968, la conquista per la prima volta da parte del Manchester United della Coppa dei Campioni, nella finalissima di Wembley contro il Benfica di Eusebio, diretta dall’arbitro italiano Concetto Lo Bello (1-1 nei tempi regolamentari, 4-1 alla fine). Il difensore irlandese giocò la partita nonostante tre mesi prima, nei quarti di finale contro il Gornik Zabrze, si fosse rotto il tendine d’Achille. Con il Manchester vinse anche due Charity Shield. Nel periodo più splendente della carriera, fu considerato il miglior terzino sinistro del calcio inglese. E lo fu almeno per una decina di anni. Dopo aver lasciato lo United, andò al Bolton Wanderers (dal 1973 al 1979), portato in Seconda Divisione. Chiuse nei Detroit Express nella North American Soccer League. Nella sua lunga carriera segnò soltanto tre gol. Trentatré le presenze in nazionale tra il 1962 e il 1975. Fu nominato calciatore irlandese dell’anno nel 1969. Dopo essersi ritirato, Dunne tornò a Bolton come assistente manager dal 1979 al 1981, quindi sostituì Bill Foulkes come tecnico della Steinkjer FK nel 1982-83. Quasi tutti i suoi trofei furono rubati quando gli svaligiarono l’appartamento, gli rimasero soltanto due medaglie conquistate con il Bolton.

giulio giorello

Il 15 giugno è morto il filosofo Giulio Giorello, a 75 anni a Milano, dov’era nato il 14 maggio 1945. Giorello è stato allievo di di Ludovico Geymonat e ha preso il suo posto alla cattedra di Filosofia della Scienza all’Università Statale milanese. Secondo quanto riporta l’Ansa, Giorello era stato ricoverato per il coronavirus circa un mese fa al Policlinico da cui era poi stato dimesso. Negli ultimi giorni le sue condizioni sono precipitate. Soltanto tre giorni fa si era sposato con la compagna Roberta Pelachin.

Il 16 giugno è morto lo scrittore statunitense Charles Webb, autore del bestseller planetario “Il laureato” (1963): i protagonisti – il giovane e disilluso Benjamin ‘Ben’ Braddock e la seduttiva e matura Mrs Robinson, complici di una inquieta e segreta relazione – furono autentiche icone della cultura americana dopo l’omonimo film, ormai di culto, del 1967 del regista Mike Nichols (Oscar per questo lungometraggio), interpretato da Dustin Hoffmann e Anne Bancroft. Webb aveva 81 anni e da tempo viveva stabilmente a Eastbourne, nel Sussex, nel sud-est dell’Inghilterra. Nel villaggio ha vissuto per un periodo anche sotto falso nome. L’annuncio della scomparsa, avvenuta lo scorso 16 giugno, è riportato oggi dai giornali inglesi “The Time” e “The Telegraph”. Era nato il 9 giugno 1939 a San Francisco, in California. Autore di otto romanzi, Webb conviveva con la ex moglie, la pittrice Eve (soprannominata con il maschile ‘Fred’, a causa dei capelli quasi rapati a zero portati per lungo tempo). Il rifiuto della ribalta è stata una filosofia personale di Webb, che è sempre rimasto nell’ombra e ha vissuto per molti anni girando il mondo e conducendo una vita da bohémien. Gli straordinari proventi dello straordinario successo in libreria e al cinema di “Il laureato” (si parla di oltre 2 milioni di dollari della fine degli anni ’60) sono stati sperperati da Webb in odio al denaro. “Ciò che ho guadagnato, lo ho regalato, non per qualche ideale francescano, ma perché non sopportavamo di avere bagagli”, disse nel 2001 in una delle sue rare interviste. Per 40 anni ha vissuto in baracche, in campi nudisti, in roulotte, in rifugi per poveri, in stanze d’albergo; infine si è accomodato in un bilocale. Oltre all’opera più celebre “Il laureato” (pubblicato da Mondadori nel 1968; nel 2017 ristampato dall’editore Mattioli 1885), in italiano sono stati tradotti i romanzi “Affettuosamente, Roger” (1969; Mondadori, 1970); “Il matrimonio di un giovane agente di cambio” (1970; Mondadori, 1972); “Il grande slam” (Mattioli 1855, 2015). Non risultano tradotti “Orphans and Other Children” (1975); “The Abolitionist of Clark Gable Place” (1976); “Elsinor” (1977). Dopo oltre 30 anni di silenzio (“una lunga vacanza” pagata con i lauti guadagni di “Il laureato”, raccontò) nel 2002 Webb ha pubblicato “New Cardiff” (in italiano “Volare via, edito da Sonzogno sempre nel 2002), una storia molto autobiografica su un lungo viaggio in autobus sulle strade americane, da cui è stato tratto il film “Hope Springs” (2003) di Mark Herman con Colin Firth. Webb ha chiuso la carriera con “Home School” (2007), tradotto in italiano con il titolo “Bentornata, Mrs. Robinson” (Mattioli 1855, 2018), in cui racconta che fine hanno fatto i protagonisti di “Il Laureato”. Il libro, che era stato pensare una volta tanto per fare soldi e pagare i debiti, si è rivelato pressoché un fiasco.

Tibor Benedek

Il 18 giugno è morto Tibor Benedek. L’attaccante ungherese, che in Italia ha lasciato un pezzo di cuore, è scomparso a 47 anni: era malato di cancro e la notizia dell’aggravamento delle condizioni circolava da settimane. Determinato a diventare un campione tradendo la straordinaria tradizione artistica della famiglia: i Benedek erano attori da tre generazioni, papà Miklos popolarissimo nel suo Paese, un tipo alla Enrico Montesano. Cresciuto nel Centro Sportivo Giovanile d’Ungheria (KSI), si afferma nell’ Ujpest. Quel giovanotto magro come un grissino, ormai, è diventato grande. Nel fisico e nella tecnica. E un attaccante, ma riesce a ricoprire con incredibile naturalezza qualsiasi ruolo. Arriva la convocazione in Nazionale juniores, si accorge di lui il c.t. Istvan Szivos jr, campione olimpico a Montreal ’76, che un giorno ricorderà: “Tibor era un ragazzo estremamente semplice, a dispetto della sua privilegiata condizione familiare. Nuotava il doppio dei compagni, s’ impegnava allo stremo, rinunciava ai divertimenti dei coetanei, non frequentava mai discoteche. E diceva: “Voglio diventare il numero uno”. Col pregio di non essere un solista”. Il salto nella Nazionale maggiore avviene a 18 anni, sotto la guida di Janos Konrad. Si iscrive alla facoltà di Storia e Lingue. La Federazione lo coccola e vuole mettergli a disposizione una Mercedes: lui rifiuta, per non suscitare invidia nei compagni. La mano sinistra usata come una bacchetta magica, prodezze e gol in serie. Come quello realizzato contro l’Italia nella finale degli Europei di Sheffield, l’ 8 agosto ’93. Manca un secondo al termine del primo tempo, sul 4-2 per il Settebello, e l’ Ungheria deve battere un angolo. Sembra impossibile riuscire ad andare in rete. Sotto la porta azzurra resta soltanto Tibor, peraltro marcatissimo. Scrive la Gazzetta: “Quell’ attimo basta per una deviazione al volo del fulmineo Benedek”. Arriva a Roma nel ’96, qui trova anche l’amore, incanta le nostre piscine e nel ’99 regala lo scudetto alla Capitale nella Final Four del Foro Italico (battendo il Posillipo) seguita dalle polemiche: Benedek risulta positivo al controllo effettuato dopo la semifinale con la Florentia. Clostebol, anabolizzante. Tibor fa sapere che la colpa è di una pomata utilizzata per curare un’infezione, il Trofodermin, prescritto da un medico non sportivo, tenendo all’oscuro della società. Ma la squalifica arriva ugualmente: la Fin lo ferma per otto mesi diventati tre in appello, la Fina lo stoppa per 15 mesi diventati poi otto. Sono dunque salvi i Giochi di Sydney 2000, quelli che inaugurano lo straordinario ciclo ungherese sotto la guida di Denes Kemeny: tre ori olimpici, fino a Pechino 2008. In mezzo a una serie di altri successi, l’approdo alla Pro Recco di cui diventa anche capitano: otto stagioni (dal 2001 al 2004 e dal 2007 al 2012) con la bellezza di sei scudetti, quattro Champions, quattro Coppe Italia, quattro Supercoppe europee e una Lega Adriatica. “Un professionista umile e carismatico”, lo ricorda oggi il club ligure. Quindi anche l’onore di guidare la Nazionale ungherese: oro ai Mondiali 2013, argento e bronzo agli Europei (2014, 2016), due secondi posti in World League (2013, 2014). A inizio maggio, aveva abbandonato la panchina dell’Ujpest. Lascia moglie e tre figli e il suo lutto si aggiunge a quello per la morte dell’ottantacinquenne Gyorgy Karpati, anch’egli campione olimpico per tre volte di fila: a Helsinki ’52, Melbourne ’56 e Tokyo ’64.

Il 19 giugno è morto a Los Angeles Carlos Ruiz Zafon. Lo scrittore spagnolo, autore de “L’ombra del vento”, aveva 55 anni. L’autore era malato da tempo.

mario corso

Il 20 giugno è morto Mario Corso, celebre bandiera dell’Inter, è morto all’età di 78 anni.  Fenomenale mancino, famoso per le sue punizioni ‘a foglia morta’, Corso ha legato il proprio nome alla storia dell’Inter, club in cui ha militato dal 1957 al 1973. Con i nerazzurri ha collezionato 509 presenze e 94 gol fra campionato e coppe, vincendo quattro scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali. Corso ha anche giocato per 23 volte con la maglia della Nazionale, con quattro reti all’attivo. Dopo la sua lunga esperienza nerazzurra ha chiuso la sua carriera al Genoa, club che lo ha inserito nella sua Hall of Fame. Dopo la sua carriera da calciatore ha svolto anche quella di allenatore negli anni ’80, sulle panchine di Lecce, Catanzaro, Inter (nella stagione 1985/86, subentrando nel mese di novembre a Ilario Castagner), Mantova e Barletta.

pierino prati

Il 23 giugno è morto a 73 anni Pierino Prati. Nato a Cinisello Balsamo nel 1946, a differenza dell’ex interista Prati ha segnato un’era anche in Nazionale, conquistando il titolo europeo del 1968 giocando la prima delle due finali contro la Jugoslavia (la partita finì 1-1 e, non essendo previsti all’epoca i supplementari, la gara fu ripetuta due giorni più tardi) da titolare in coppia con un’altra leggenda compianta del calcio italiano, Pietro Anastasi. Le soddisfazioni maggiori, però, in un’epoca in cui la concorrenza in azzurro nel ruolo di centravanti era spietata, Prati se le tolse con il Milan, squadra nella quale crebbe calcisticamente giocando in prima squadra tra il 1967 e il ’73 conquistando uno scudetto, ma soprattutto quattro allori internazionali, due Coppe delle Coppe, una Coppa dei Campioni e un’Intercontinentale. Indelebile, in particolare, il segno lasciato nella finale di Madrid del 1969 contro l’Ajax: la tripletta nel 4-1 finale fu la prima di un calciatore italiano nella finale della massima competizione europea per club. Soddisfacente anche il quadriennio con la Roma, poi il finale di carriera con Fiorentina, Savona e anche un’esperienza negli Stati Uniti con i Rochester Lancers. Meno ragguardevole la breve carriera di allenatore nelle serie minori in Lombardia con Lecco, Solbiatese e Pro Patria.

Il 23 giugno è morto il produttore miliardario Steve Bing, ex di Elizabeth Hurley e padre del figlio Damian. Bing, che secondo fonti vicine all’uomo, soffriva da tempo di depressione, non avrebbe retto l’isolamento del lockdown e secondo quanto riportato dal tabloid TMZ si sarebbe lanciato dal ventisettesimo piano del palazzo in cui viveva a Los Angeles. Aveva 55 anni. Con Elizabeth Hurley, Bing ebbe una relazione breve, passionale e burrascosa, tanto che intraprese anche una battaglia legale per appurare la paternità del figlio nato nel 2002. Causa poi vinta dalla Harley, che tramite test del DNA dimostrò che Damian era suo figlio. Il produttore lascia anche un’altra figlia, Kira Bonder, avuta dall’ex tennista Lisa Bonder. Produttore, filantropo, erede di un milionario (il nonno gli lasciò 600 milioni di dollari) Steve Bing ha finanziato film come Beowulf con Angelina Jolie, The Polar Express con Tom Hanks, La vendetta di Carter con Sylvester Stallone e Hotel Noir. Ma anche il film concerto dei Rolling Stones Shine a Light, fu da lui finanziato.

arianna varone

Il 24 giugno è morta Arianna Varone, vittima di un drammatico incidente a soli 24 anni. Amava il calcio, si ispirava a Gennaro Gattuso e a Iniesta. Arianna su Instagram postava foto e scriveva pochi ma importanti messaggi per svelare il necessario di sé, a quanti la seguivano sui social. Tra le sue foto social, degli scatti che la vedono con Sara Gama, con Andrea Barzagli. Modelli e giocatori di successo, carismatici a cui ha dedicato spazio sul suo profilo e che guardava con altrettanta ammirazione, come può una giovane calciatrice di appena 21 anni. L’ultimo scatto la ritraeva in famiglia, in compagnia della mamma. Il sinistro stradale in cui Arianna ha perso la vita è ancora da ricostruire: secondo quanto viene riferito dal Corriere della sera e dai quotidiani locali, la giovane era a bordo del suo scooter quando sembra che la 21enne originaria di Gropello Cairoli sia finita contro un camion, forse dopo un primo più leggero urto con un’auto, e abbia battuto la testa. Nonostante i soccorsi e i tentativi dei soccorritori del 118 di rianimarla, non si ripresa. Centrocampista, precisamente mediano dai piedi buoni, Arianna ha iniziato la sua carriera nell’Asd femminile Inter, valorizzandosi poi nel Milan Ladies prima di approdare nel 2017 nella Riozzese, con la quale ha disputato un’ultima stagione da protagonista contribuendo con le sue prestazioni all’ottimo campionato del club.

Il 24 giugno è morto Alfredo Biondi, storico leader del Partito liberale e poi tra gli esponenti di punta di Forza Italia. Avrebbe compiuto 92 anni il 29 giugno. Avvocato di fama, più volte ministro nella prima Repubblica – all’Ecologia con Bettino Craxi, alle Politiche comunitarie con Amintore Fanfani – nel 1994 fu tra i primi eletti del partito di Silvio Berlusconi. Nel primo governo dell’ex cavaliere diventa ministro della Giustizia. Un incarico che gli regala notorietà il 13 di luglio. Mentre al Giant Stadium di New York Roberto Baggio stende la Bulgaria in semifinale con una doppietta, regalando alla Nazionale la finale dei mondiali, il governo vara il decreto Biondi, che abolisce la custodia cautelare per i reati finanziari (tra cui la corruzione e la concussione) e contro la Pubblica amministrazione, limitandola ai casi di omicidio e di reati associativi come mafia e terrorismo. Una legge fatta “per i poveri cristi”, sosterrà ancora nel 1996 l’allora guardasigilli in un’intervista al Corriere della Sera.
Il decreto, notarono in molto, era arrivato due mesi dopo l’esplosione del caso Fiamme Sporche: nell’aprile del 1994 il pool di Mani Pulite aveva scoperto che quasi tutte le grandi imprese di Milano pagavano tangenti ai finanzieri. Gli indagati erano arrivati a oltre 600, tra loro c’era anche Berlusconi. Potenza del provvidenziale decreto, i responsabili non possono essere arrestati e oltre 2.750 detenuti vengono rilasciati: in 350 erano finiti dentro per Tangentopoli. Per protesta il pool di Milano si dimette. Gli italiani sono rapiti dal mondiale americano ma qualcuno se ne accorge: il “popolo dei fax” inonda gli indirizzi istituzionali, il decreto viene beffardemente ribattezzato con quel nome rimasto indelebile nella recente storia italiana: decreto Salvaladri. Lega e An, tremando all’idea di perdere consensi, minacciano di far cadere il governo. “Forse qualcuno teme che il carcere faccia parlare altra gente. Che qualcuno venga ‘ massaggiato’ dai magistrati“, dice Umberto Bossi, due giorni dopo l’approvazione. Bondi si difende: “Sono un galantuomo. Pensare che possa agire per fare un servizio a qualcun altro mi offende“. Roberto Maroni, ministro dell’Interno, spara: “Li ha mossi un principio di autodifesa perché i magistrati del pool avevano ripreso a muoversi. Si voleva forse evitare che i magistrati potessero arrivare al vero bersaglio grosso”. Il decreto, in ogni caso, verrà lasciato decadere il 21 luglio. Dopo la caduta del governo, Biondi sarà vicepresidente della Camera, e poi senatore fino al 2008. Con la nascita del Pdl il suo nome viene cancellato dalle liste per il Parlamento. Lui lascia il berlusconismo e torna al passato: nel 2014, insieme a Renato Altissimo e Carlo Scognamiglio, fonda il movimento politico i Liberali.

Il 26 giugno William Negri è morto all’alba. Il portiere di Governolo che conquistò lo scudetto con il Bologna a Roma nella stagione 1963-64 avrebbe compiuto 85 anni a fine luglio, da tempo versava in condizioni precarie a causa di uno dei mali dell’età. A dare la notizia è stato il, figlio Alessandro, il suo primo tifoso. Iniziò nella Governolese nel campionato di Prima del 1953-1954, passando al Mantova nel 1954, in IV Serie, sotto la guida di Edmondo Fabbri. La sua carriera decollò con i successi del Piccolo Brasile, di cui divenne la Saracinesca. Visse lo spareggio di Genova col Siena (di cui domenica ricorre il 61esimo anniversario) e rimase al Mantova fino al 1962-63, quando andò a Bologna, voluto da Fulvio Bernardini. In Nazionale divenne famoso come l’eroe del Prater, rendendosi protagonista di interventi miracolosi nel 2-1 contro l’Austria. Mancò la convocazione in Nazionale per i Mondiali d’Inghilterra a causa di un grave infortunio al ginocchio. Giocò anche nel Vicenza e nel Genoa, nel 1970 tornò a Mantova come allenatore dei portieri e vice di Uzzecchini e in seguito fu alla guida della prima squadra per dieci partite, prima di essere sostituito da Alfredo Foni. Da allenatore guidò fra le altre la Poggese e chiuse nel 1989 a Modena.

Milton Glaser

Il 26 giugno è morto l’artista e illustratore statunitense Milton Glaser, maestro e “principe” dei graphic designer del secondo Novecento, che ha cambiato il vocabolario della cultura visiva degli anni ’60 e ’70 con manifesti, riviste, copertine di libri e dischi estroverse dai colori vivaci, celebre per il poster del 1967 di Bob Dylan con i capelli psichedelici e popolare per l’iconico logo «I love New York» (1976). Nel giorno del suo 91esimo compleanno, a Manhattan. La capacità di innovazione espressiva, unita all’utilizzo di tecniche sempre nuove, hanno consentito a Glaser di mantenere una posizione di grande rilievo nella grafica contemporanea, lasciando un segno schematico ed essenziale che spesso si è richiamato alle avanguardie artistiche novecentesche, conosciute grazie a Giorgio Morandi, di cui fu allievo durante un giovanile soggiorno in Italia. È stato il fondatore con Clay Felker nel 1968 del New York Magazine, facendone una palestra di invenzioni grafiche fino al 1977, anno in cui ha lasciato la direzione della rivista. L’anno precedente Glaser aveva disegnato il poster promozionale per il lancio del nuovo disco di Dylan, poi diventato la copertina dell’album Bob Dylan’s Greatest Hits (1967): un semplice contorno della testa del cantautore, basato su una sagoma di autoritratto in bianco e nero di Marcel Duchamp, a cui aggiunse fasce ondulate di colore per i capelli, con un richiamo mutuato dall’arte islamica. Il poster divenne un simbolo della controcultura, vendendo oltre 6 milioni di copie nel mondo. Altri iconici poster sono stati realizzati da Glaser per Olivetti e Campari. Nato a New York il 26 giugno 1929, dopo la laurea in storia dell’arte alla Cooper Union di New York, con una borsa di studio (1951) Glaser frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove studia incisione con il pittore Giorgio Morandi. Al ritorno, nel 1954, a New York fonda con Seymour Chwast, Reynolds Ruffins ed Edward Sorel il Push Pin Studio, uno studio che si occupa di grafica creativa: nello staff entreranno i più dotati grafici dell’epoca come Paul Davis, John Alcorn e James McMullan. Push Pin Style è stato poi il titolo di una grande mostra collettiva allestita nel 1970 al museo parigino del Louvre con il sostegno di Olivetti. Nel 1974 fonda la società Milton Glaser Inc, sviluppando una vasta mole di progetti, a partire dal design del New York Magazine, tra cui la pittura murale per il New Federal Office Building a Indianapolis, il parco di divertimento Sesame Place in Pennsylvania, la grafica dei ristoranti al World Trade Center di New York. Nel 1976 il grafico partecipa alla Biennale di Venezia nella collettiva “Autentico ma contraffatto”, a cura di Pierluigi Cerri, insieme a Roman Cieslewicz, Paul Davis, Richard Hess e Tadanori Yokoo. Sempre nel 1976 crea il logo I ♥ NY per la campagna di promozione del turismo nello stato di New York poi lanciata l’anno successivo. Abbozzato sul retro di una busta con un pastello rosso durante una corsa in taxi, è stato stampato con lettere nere con un cuore rosso ciliegia che indica la parola «amore». Il logo è diventato ben presto un simbolo riconosciuto di New York, quasi come l’Empire State Building o la Statua della Libertà. «Sono sbalordito da quello che è successo a questa piccola, semplice idea», raccontò Glaser in un’intervista a The Village Voice nel 2011. Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, le magliette abbellite con il logo di Glaser sono state vendute in milioni di esemplari in segno di solidarietà alla metropoli ferita. Glaser progettò anche una versione modificata – I ♥ NY More Than Ever – con un livido scuro sul cuore – che fu distribuita come poster in tutta la città e riprodotta sulla copertina di The Daily News il 19 settembre 2001. Da tempo il graphic artist aveva donato i diritti sul luogo alla municipalità newyorchese Nel 1983 Glaserfonda Wemg, uno studio grafico specializzato nell’editoria. Il suo apporto anche in questo campo è stato notevole, con lavori importanti per L’Espresso, The Washington Post e Fortune.

georg ratzinger

Il primo luglio è morto don Georg Ratzinger, aveva 96 anni ed era malato da tempo. Il Papa emerito, suo fratello Joseph, nonostante l’età (93 anni) e i rischi del contagio, ha voluto affrontare , lo scorso 18 giugno, un viaggio fino in Germania per dare al fratello l’ultimo saluto. Il tempo di una carezza, una messa insieme per poi fare ritorno in Vaticano al monastero Mater Ecclesiae. Per Benedetto era l’unico membro della famiglia rimasto ancora in vita.

Il primo luglio è morto Loris Meliconi, aveva 90 anni: patron dell’omonima azienda creatrice, tra le altre cose, del guscio salva-telecomando reso celebre da uno spot televisivo. Ex portiere della pistoiese in serie C, Loris Meliconi, classe 1930, smise di giocare a 32 anni e si riciclò come inventore di prodotti per la casa. Tutti ricordano il celebre spot in cui il telecomando, avvolto dal guscio Meliconi, veniva fatto rimbalzare.

Il 5 luglio è morto Roberto Tacchi, aveva 75 anni. Talento nerazzurro degli anni ’60.

Il 5 luglio è morto nella sua casa napoletana Guido Donatone, storico dell’arte, studioso della ceramica meridionale, ispettore onorario del Ministero per i beni e le attività culturali e da più di trent’anni presidente napoletano di Italia Nostra. Oltre ai suoi studi sulla ceramica meridionale, le sue innumerevoli pubblicazioni sono presenti nelle biblioteche dei più importanti musei del mondo, ha dedicato gran parte della sua vita alla tutela del patrimonio artistico e monumentale di Napoli e della Campania. Il suo impegno civile, le sue battaglie in difesa del centro storico di Napoli, lo hanno fatto essere sempre in prima linea contro ogni tentativo di manomissione dell’immenso patrimonio artistico napoletano, concentrato in gran parte nel centro storico di Napoli, che anche grazie a lui ha avuto nel 1995 il riconoscimento quale Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco. E’ stato anche protagonista, sin dalle prime battute, della stagione delle “Assise di Palazzo Marigliano” che lo hanno visto come fondatore insieme ai compianti Antonio Jannello, Gerardo Marotta e Aldo [sta_anchor id=”ennio”]Masullo[/sta_anchor].

ennio morricone

Il 6 luglio è morto Ennio Morricone, nella notte in una clinica romana, dopo una caduta in seguito alla quale si era rotto il femore qualche giorno fa. Morricone è famoso per aver composto le colonne sonore di film iconici come “Per un pugno di dollari”, “C’era una volta in America”, “Nuovo cinema Paradiso”, “Malena”. Aveva 91 anni. La famiglia del compositore ha reso noto attraverso le parole del legale che i funerali si terranno in forma privata “nel rispetto del sentimento di umiltà che ha sempre ispirato gli atti della sua esistenza”. Ha salutato l’amata moglie Maria che lo ha accompagnato con dedizione in ogni istante della sua vita umana e professionale e gli è stato accanto fino all’estremo respiro”. Figlio di trombettista e diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia nella stessa materia e in direzione d’orchestra, Ennio Morricone ha firmato le colonne sonore di tantissimi film italiani e stranieri, che gli sono valsi l’assegnazione di un premio Oscar alla carriera nel 2007. Ma al suo genio si devono anche gli arrangiamenti di “Sapore di sale” di Gino Paoli e “Se Telefonando” di Mina. Morricone ha vinto anche un premio Oscar per la migliore colonna sonora per il film “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino, oltre a diversi Golden Globe, David di Donatello e Nastri d’Argento. A lui è dedicata anche una stella sulla Walk of Fame di Los Angeles. Per Tarantino ha firmato le colonne sonore anche di capolavori come “Kill Bill” e “Bastardi senza gloria“, ma sono indimenticabili anche i brani composti per i film di John Carpenter, Brian De Palma, Roland Joffé, Oliver Stone. Ennio Morricone ha così descritto il suo approccio alla musica: “Ogni volta cerco di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere anche a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica“. Sono molti i personaggi che hanno reso omaggio al maestro Morricone, attraverso i social, sia del mondo dello spettacolo che della politica.

Il 7 luglio è scomparso, a 91 anni, Mark Powell, tra gli iniziatori dell’arrampicata in Yosemite. Un precursore di quella che poi sarà la grande storia delle big wall. È stato tra i primi a raggiungere l’impressionante parete di El Capitan negli anni Cinquanta. Era il periodo dei maestri della roccia, degli stonemasters, i primi a testarsi sul granito americano. Anche a lui si deve la prima via su El Cap, The Nose. Con Warren Harding fece i primi tentativi nel 1957 (la via verrà aperta solo nel 1958), aprendo i primi tiri. L’anno successivo non partecipò alla salita decisiva per colpa di una frattura alla caviglia durante altre scalate. Fu un incidente complesso che richiese tempo ai soccorritori e che sfociò in un’infezione che avrebbe causato problemi allo scalatore per tutta la vita. In tempi recenti gli fu addirittura amputato il piede. Il problema alla caviglia non gli impedì comunque di continuare ad arrampicare ad alti livelli, anche se in breve tempo prese la decisione di ritirarsi per sempre dalle scene. Per molti anni ha insegnato geografia in California. Powell fu uno dei primi dirtbag dalle valle, di certo il primo ad abitare stabilmente Camp 4, il campeggio ai piedi della grande parete granitica. Vi rimase per due stagioni, quella del 1955 e del 1956. Un periodo nel quale riuscì a portare a termine una serie di prime salite notevoli. Tra queste Arrowhead Arete (sette tiri, 5.8), una delle vie più dure del periodo.

Jack Charlton

Il 10 luglio è morto Jackie Charlton, il leggendario ct della nazionale, dell’Eire la Repubblica d’Irlanda per distinguerla dall’Irlanda del Nord, scomparso a 85 anni. L’ex difensore del Leeds e dell’Inghilterra, fratello del più celebre Bobby Charlton entrambi campioni del mondo del ’66, aveva un linfoma ed era affetto anche da demenza senile. Bandiera del Leeds, con cui giocò per 21 anni, sulla panchina dell’Eire trovò la sua gloria guidandola fino ai quarti di finale di Italia ’90 dove venne eliminato proprio dagli azzurri, per un gol di Totò Schillaci. A Usa ’94 si vendicò dell’Italia battendola nella prima partita della fase a gironi e arrivando fino ai sedicesimi, superato dall’Olanda. Nel ’96 gli venne conferita la cittadinanza onoraria irlandese. Per tutto questo, e per la sua simpatia, a Dublino venne soprannominato Saint Jack.

Il 10 luglio è morto il giornalista d’inchiesta Silvestro Montanaro. Aveva 66 anni. Aveva cominciato la sua carriera come corrispondente di Paese Sera e dell’Unità, per poi in seguito approdare alla Voce della Campania. Lì si occupò per anni di inchiestesu mafia e camorra, e sui rapporti tra le cosche e i poteri politici ed economici. Montanaro entrò poi, nel 1989, a far parte della squadra di Michele Santoro in ‘Samarcanda’, e da lì proseguì la collaborazione in Rai nelle trasmissioni ‘Il Rosso e il Nero’ e Tempo Reale’, diventando coautore. Sempre in Rai fu autore del programma giornalistico ‘C’era una volta’ in onda su Rai3, e condusse la trasmissione ‘Dagli Appennini alle Ande’.

Galyn Gorg,

Il 15 luglio è morta Galyn Gorg, ballerina e attrice scomparsa a soli 56 anni, nel giorno del suo compleanno. Nata a Los Angeles, ma molto famosa anche in Italia,negli anni Ottanta, aveva fatto parte del corpo di ballo della sesta edizione di “Fantastico”. Quello fu anche il periodo di esordio di Lorella Cuccarini, che quell’anno lavorò proprio con Steve LaChance e cantò la sigla finale Formula 6. Galy Gorg fu poi anche prima ballerina nel programma di Canale 5 del 1987 “SandraRaimondo Show”, sempre in compagnia della Cuccarini. Come attrice la Gorg ha recitatalo in molte serie tv famose, da “I segreti di Twin Peaks” a “Saranno Famosi”, “Willy il principe di Bel Air”, “Xena – Principessa guerriera”, “CSI: Miami”, “Lost” e di recente anche in “Le Regole del delitto perfetto” in una puntata datata 2018. Molto impegnata nel sociale vantava collaborazioni con l’Unicef, Pachamama Alliance, The Herb Alpert Foundation, Yoga for Youth, e altre associazioni.

Zizi Jeanmaire

Il 17 luglio è morta all’età di 96 anni la più celebre artista francese – ballerina e cantante – del music-hall parigino, Zizi Jeanmaire. Ne hanno dato notizia i familiari in Francia, precisando che si è spenta serenamente nella sua residenza in Svizzera.
Zizi Jeanmaire era diventata famosa per il suo celebre “Truc en plumes”. La sua carriera è stata legata indissolubilmente a quella del coreografo Roland Petit che era anche suo marito. Nel 1961 toccò l’apice della celebrità presentandosi in scena all’Alhambra di Parigi nel suo nuovo numero “Mon truc en plumes”, un abito diventato icona, tubino nero con piume rosa, firmato Yves Saint-Laurent. L’anno dopo, in Italia, fu ospite fissa per 12 puntate, al fianco di Walter Chiari, nella trasmissione del sabato sera, Studio Uno.

Ekaterina Alexandrovskaya

Il 18 luglio l’ex campionessa di pattinaggio artistico Ekaterina Alexandrovskaya, 20 anni, è morta suicida lanciandosi dalla finestra del suo appartamento a Mosca. Alexandrovskaya, russa naturalizzata australiana, secondo le prime ricostruzioni si trovava in stato di ebbrezza e, prima di farla finita, avrebbe lasciato un bigliettino d’addio con su scritto «Amore». La 20enne è stata campionessa del mondo di pattinaggio di figura. In coppia con l’australiano Harley Windsor, si era imposta come uno dei principali talenti del pattinaggio artistico a livello giovanile. Alexandrovskaya è arrivata fino alle Olimpiadi coreane del 2018, prima di separarsi da Windsor e ritirarsi nel 2019, a causa dei ripetuti infortuni. L’ex partner sul ghiaccio l’ha ricordata con questo post su Instagram: «Nessuna parola può descrivere come mi sento in questo momento: sono devastato e sconvolto. Ciò che abbiamo raggiunto durante la nostra collaborazione è qualcosa che non potrò mai dimenticare e che mi terrò sempre vicino al cuore. Riposa in pace Katia». Nata a Mosca il primo gennaio del 2000, Alexandrovskaya aveva rappresentato la Russia fino al 2016, quando era stata invitata a gareggiare con la bandiera dell’Australia, che le aveva dato la cittadinanza.

Il 19 luglio si è spenta oggi a 97 anni, Giulia Maria Crespi, già proprietaria del Corriere della Sera e fondatrice, insieme a Renato Bazzoni, del Fai (Fondo per l’ambiente italiano). In una lettera inviata inviata nel 2011 a Repubblica per sostenere la campagna elettorale di Giuliano Pisapia, la Crespi si definì semplicemente una “vecchia rappresentante della borghesia milanese”. Ma Giulia Maria Crespi era molto di più. Fu colei che cercò di traghettare la borghesia italiana a sinistra, utilizzando il quotidiano di Via Solferino. E ci riuscì. Cacciò anche Indro Montanelli, che fondò poi Il Giornale.

oreste casalini

Il 19 luglio l’artista Oreste Casalini, pittore e scultore dalla vena ‘monumentale’, con un’opera caratterizzata da veri e propri archetipi figurativi, è morto ieri mattina all’ospedale Idi di Roma all’età di 58 anni dopo una lunga battaglia contro un tumore ai polmoni. L’annuncio della scomparsa è stato dato oggi dalla moglie Ekaterina Viktorovna Pugach-Domaevskaya su Facebook, che nei mesi scorsi aveva anche lanciato tra gli amici ed estimatori una raccolta fondi per una terapia combinata molto costosa. Nato a Napoli nel 1962, Oreste Casalini ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Roma ed ha iniziato ad esporre dal 1988 e ha realizzato numerose installazioni permanenti in spazi privati e pubblici. Lavori di Casalini sono presenti in collezioni private a Roma, Milano, Napoli, Londra, Berlino, New York, Seattle, Dublino, Dubai, Mumbai, Tokio. Negli anni ha vissuto e lavorato a New York, Berlino, Dubai, Napoli e nel sud dell’India. Nel 2010 ha realizzato installazioni permanenti a Milano e Berlino ed ha partecipato alla 12esima Biennale di Architettura di Venezia nell’ambito del progetto “E-picentro” come artista e curatore della sezione “In tenda”. Casalini ha realizzato numerose mostre in spazi pubblici e privati tra le quali: Casa Italiana Zerilli-Marimò a New York (1991); Università Federico II di Napoli (1997); Palazzo Reale a Napoli (1998); XII Biennale di Architettura a Venezia (2010); Palazzo Mochi-Zamperoli a Cagli (2010); Castello di Rivara (2011, 2013, 2015); Spazio Mercuria a Dubai (2013); Fiera Ostrale a Dresda (2014); Fondazione Telethon al Centro Olivetti di Napoli (2015). Ha realizzato installazioni permanenti in spazi privati a Napoli (1998, 2003), Roma (2003, 2005), Berlino (2010), Milano (2010, 2013) Torino (2015). Una fondamentale vocazione al disegno è alla base del percorso artistico di Casalini, un disegno costruttivo, tridimensionale, sempre teso a definire una forma a tutto tondo, in una sintesi originale tra valori tradizionali e realtà contemporanea. Il suo è stato un percorso di scoperta continua di tecniche e soluzioni che è andato a configurare uno scenario originale dove “memorie, oggetti e figure” convivono in una ricercata compenetrazione tra le parti. I suoi lavori sono una sintesi originale, colta e potente, caratterizzati da un’essenzialità cromatica.

Regis Philbin

Il 26 luglio è morto Regis Philbin, la leggenda del piccolo schermo americano detentore del record mondiale per il maggior numero ore di sulla televisione americana, è morto all’età di 88 anni. Nella sua lunga carriera Philbin è stato non solo un popolare anchor ma anche un attore, un cantante e un comico. Dopo aver trascorso anni conducendo show televisivi mattutini a Los Angeles, è tornato nella sua New York nel 1983 per condurre una trasmissione quasi sconosciuta per una rete locale di Abc. Nel 1985 le due donne che lo affiancavano nello show vennero sostituite da Kathie Lee Gifford, in un cambio che segnò la svolta. Tre anni dopo infatti il programma ‘Live with Regis and Kathie Lee’ era conosciuto a livello nazionale. I due erano complementari. Nel 1999 fino al 2002 Philbin iniziò a condurre su Abc lo show nel prime time ‘Chi vuole essere un milionario?’. Inizialmente doveva durare solo due settimane ma si rivelò di tale successo che alla fine andò in onda tre volta alla settimana. Poi fu il conduttore della prima serie del reality ”America’s Got Talent” . Nato a New York il 25 agosto del 1931, Philbin si è laureato alla Università di Notre Dame prima di trascorrere due anni nella Marina americana. Finita l’esperienza militare Philbin si dedicò alla carriera dell’intrattenimento scontrandosi con i suoi genitori, profondamente contrari alla sua decisione. Una scelta che poi si è rivelata perfetta visto il successo ottenuto.

tataw

Il primo agosto è morto Tataw, capitano del Camerun ai Mondiali Italia ’90. In quella occasione non aveva saltato un minuto nella cavalcata che portò i Leoni d’Africa fino ai quarti di finale, dall’esordio travolgente a Milano con la vittoria sull’Argentina di Maradona campione in carica. Una corsa meravigliosa spezzata solo dalla sconfitta ai supplementari contro l’Inghilterra (3-2). Stephen Tataw è morto all’età di 57 anni nella sua casa di Yaounde. Tataw, classe 1963, ha indossato per 43 volte la maglia della nazionale, ha vinto la Coppa d’Africa nel 1988 e ha preso parte anche alla spedizione mondiale del 1994, meno fortunata per il Camerun che fu eliminato al primo turno. Tezino destro, cominciò a giocare nelle giovanili del Cammack di Kumba, poi a 15 anni passò al Tonnere di Yaounde, per tre anni, un club di prima fascia che tuttavia aveva ancora il campo in erba battuta e spogliatoi senza docce. Nell’ottobre del ’90, dopo il Mondiale, sostenne un provino al Queens Park Rangers, senza fortuna. Poi passò all’Olympic Mvolyé per altre due stagioni, dal 1992 al 1994. Nel ’92, pochi giorni prima della finale di coppa nazionale, fu fermato da quattro uomini armati che lo trascinarono fuori dalla sua macchina e lo aggredirono. Giocò lo stesso e vinse. Chiuse la carriera in Giappone, dove sbarcò nel 1997 al Tosu Futures, primo calciatore africano del campionato.

sergio zavoli

Il 4 agosto è morto a Roma all’età di 96 anni, Sergio Zavoli, giornalista televisivo e scrittore noto per programmi famosi come “La Notte della Repubblica”. Zavoli era nato a Ravenna il 21 settembre del 1923. Giornalista, politico e scrittore è sempre stato molto di più: per alcuni è il padre dell’inchiesta televisiva, per altri il maestro della tv. Sta di fatto che Zavoli ha fatto storia con il suo stile rigoroso, ironico, ma soprattutto innovativo. Ne è l’esempio più noto il suo programma ‘Processo alla tappa’, per il quale il giornalista coinvolse intellettuali del calibro di Pierpaolo Pasolini e Alberto Moravia per commentare il Giro d’Italia. Tra i sui lavori indimenticabili c’è inoltre ‘La notte della Repubblica’. Condirettore del telegiornale, direttore del Gr e presidente della Rai dall’80 all’86, Zavoli è sempre stato attento alle problematiche morali e sociali dell’età contemporanea che affronta con empatia e partecipazione emotiva. Da presidente lo aspetta la sfida più grande: resistere alla concorrenza di una emittente privata. Per Zavoli la tv pubblica era “uno straordinario mezzo di promozione della crescita culturale e civile della società”, ricorda Repubblica. “Fu un’occasione storica mancata”, avrebbe commentato Zavoli anni dopo secondo cui la Rai avrebbe dovuto “distinguersi”. Senatore della Repubblica dal 2001 al 2018, nel 2009 è eletto presidente della commissione parlamentare per la vigilanza sulla Rai. Sergio Zavoli ha scritto numerosi saggi come ‘Viaggio intorno all’uomo’ (1969), ‘Nascita di una dittatura’ (1973), ‘La notte della Repubblica’ (1992), legati a sue trasmissioni televisive di successo. Ha pubblicato inoltre: Dieci anni della nostra vita: 1935-1945 (1960); Altri vent’anni della nostra vita: 1945-65 (1965); Figli del labirinto (1974); Socialista di Dio (1981); Romanza (1987); Di questo passo (1993); Un cauto guardare (1995); Dossier cancro (1999); Il dolore inutile (2002); Diario di un cronista (2002); La questione: eclissi di Dio e della storia (2007). Nel 2011, Zavoli ha pubblicato il libro autobiografico ‘Il ragazzo che io fui’, storia personale che diventa viaggio nella memoria dell’Italia, mentre della sua produzione ci sono le raccolte L’infinito istante (2012) e La strategia dell’ombra (2017). Tra i programmi televisivi curati, Viaggio nel sud (1992); Nostra padrona televisione (1994); Credere, non credere (1995), dal quale è stato tratto un volume (1997).

ciro di natale

Il 6 agosto è morto Ciro Di Natale, aveva 70 anni. Inventore del marchio “Camomilla” e del megastore Galleria Scarlatti. Con un’esperienza da musicista in gioventù: fu il batterista dei “Top’s”, gruppo della prima scena beat partenopea. Nato nel 1950, abitò fino ai vent’anni al centro storico, in via Cirillo. La zona dei conciatori, infatti il padre aveva una piccola impresa di pelletteria. La parentesi musicale fu nella seconda metà degli anni ’60. Lino Vairetti, leader degli Osanna, racconta che i “Top’s” erano gli antagonisti della sua band giovanile, “I volti di pietra”. Di Natale alla batteria, alle tastiere Gino Iavarone – che poi avrebbe suonato con Nada – Peppe Sanniola alla chitarra e Amleto Anastasio al basso. Si ritirò presto dalla scena musicale per seguire le orme del padre. Ma con intuizioni in grande: nel 1974 aprì a piazza Dante il primo punto di quello che sarebbe diventato “Camomilla”, il brand di abiti e accessori per donna. Un marchio destinato a diventare internazionale, in seguito ceduto da Di Natale alla Compagnia di Manifatture Tessili srl. La sua avventura imprenditoriale proseguì alla fine degli anni ‘70 con l’ideazione, insieme a una cordata di imprenditori, della Galleria Scarlatti sulle ceneri del vecchio cinema Ideal.

Il 9 agosto è morta Valeria Capezzuto, per anni inviata del TGR (Telegiornale Regionale) Campania. Valeria Capezzuto, 63 anni, ufficialmente iscritta all’albo dei giornalisti professionisti dal 1995, è deceduta nella notte, dopo un brutto male che in poco tempo ha avuto il sopravvento.

Il 10 agosto è morto il wrestler Kamala, aveva 70 anni. Dan Peterson lo soprannominava “il panzone dell’Uganda”. E’ morto per complicanze da Covid-19. Soffriva da anni di diabete, essendogli anche stata amputata una gamba 10 anni fa. Il nome anagrafico era James Harris.

Alberto Bauli

L’11 agosto è morto Alberto Bauli, aveva 79 anni. Alberto ha raccolto nel 1995 il testimone dell’azienda fondata da papà Ruggero, partito per il Sud America a cercare fortuna nel 1927 e scampato per miracolo dal naufragio della Principessa Mafalda in cui ha perso tutte le sue macchine da pasticceria. Un disastro da cui si è riscattato mettendo su un negozio di dolci a Buenso Aires e raccimolando in dieci anni i soldi necessari per tornare a Verona con le tasche piene e aprire il primo negozio Bauli in città. Il figlio ha completato l’opera di papà facendo crescere l’azienda e salvando – strada facendo – alcuni dei marchi storici del settore alimentare italiano che sembravano destinati a finire per sempre in mani estere o a diventare vittime del “nanismo” (e delle tradizionali complesse diatribe familiari) delle imprese di casa nostra. La Bauli ha rilevato nel 2009 Alemagna e Motta dalla Nestlè («il presidente del colosso svizzero pensava fossi andato a trovarlo per vendergli la nostra azienda», scherzava spesso lui) poi ha comprato la Bistefani – quella dei Krumiri – e la Doria che navigavano in acque agitate. E negli ultimi anni ha avviato un ambizioso piano di crescita oltrefrontiera, dove il gruppo genera ormai il 15% del suo giro d’affari. L’esperienza di Alberto in banca – è stato consigliere del Banco Popolare e presidente della Banca popolare di Verona – gli ha consentito di evitare gli scivoloni finanziari che sono costati carissimi ad alcuni “rivali” veronesi nell’area del Pandoro come la Melegatti e la campagna di shopping non ha mai sovraccaricato eccessivamente l’indebitamento della società.

L’11 agosto è morto a Milano, dove viveva da tempo, il cavalier Stefano Pernigotti, nipote del fondatore della storica fabbrica dolciaria di Novi Ligure (Alessandria). Aveva 98 anni. Era stato lui a fare della Pernigotti una delle aziende dolciarie più importanti d’Italia. Dopo la scomparsa negli anni Ottanta dei due figli, in un incidente in Uruguay, si era avvertito un cambiamento del metodo di vita, arrivando successivamente alla cessione, nel 1995, dell’azienda agli ‘Averna’. Poi il successivo passaggio ai turchi e la crisi che ha messo in difficoltà centinaia di lavoratori.

cesare romiti

Il 18 agosto Cesare Romiti, ex amministratore delegato e presidente di Fiat, è morto a 97 anni nella sua casa di Milano. Nel gruppo torinese ha passato 25 anni, dal 1974 al 1998, segnandone profondamente la storia al fianco di Gianni Agnelli. Un protagonista del capitalismo italiano, dopo la Fiat al vertice di Rcs-Corriere della Sera. Romiti è stato uno dei più potenti manager italiani. Nato a Roma il 24 giugno 1923, dopo la laurea in Scienze Economiche e Commerciali, entra a far parte, nel 1947, del Gruppo Bombrini Parodi Delfino, di cui divenne Direttore Generale. Nel 1968, a seguito della fusione BPD-Snia Viscosa, assume l’incarico di Direttore Generale Finanziario di Snia Viscosa.Nel 1970 il suo ingresso in Alitalia come direttore generale ed amministratore delegato e, successivamente, nel 1973, passa ad Italstat con lo stesso incarico. Nel 1974 entra in Fiat, divenendone in seguito a.d. e presidente. Arrivato nel momento della crisi energetica, si dedica innanzitutto all’opera di risanamento finanziario, prosegue sviluppando la dimensione internazionale dell’azienda e rafforzando gli insediamenti produttivi in Italia. Ha contribuito a realizzare diversi stabilimenti per la FIAT fra cui Belo Horizonte (Brasile) che è oggi il più grande impianto di automobili al mondo.E’ nel luglio 1980 quando Umberto Agnelli lascia gli incarichi operativi in Fiat che Romiti, che ha la fiducia di Cuccia, diventa amministratore delegato unico del gruppo. E affronta il tema nodale dei costi annunciando il licenziamento di 14 mila dipendenti. Lo scontro con i sindacati è forte e Mirafiori è bloccata dai sindacati per oltre un mese. La Fiat riprende a fare utili, lancia nuovi prodotti, chiude nel 1982 lo stabilimento del Lingotto, aumenta gli investimenti, riduce i dipendenti. Nel 1987 è il secondo gruppo italiano dopo l’Iri. Un risultato che porta la firma di Romiti e di Vittorio Ghidella, il responsabile del settore auto. Poi arriva la guerra del Golfo e le vendite di auto diminuiscono, nel 1990 il marchio Fiat scende in Italia sotto il 40% Romiti nel 1998 da presidente lascia la Fiat dopo 24 anni ai vertici, con una buonuscita da 101,50 milioni lordi che lo impegnava a non rivelare segreti sugli affari del gruppo. Dopo l’uscita dalla azienda degli Agnelli, Romiti è presidente di Rcs, dal 1998 al 2004, e della società di costruzioni Impregilo, dal 2005 al 2007, presidente della Accademia di Belle Arti di Roma fino al luglio 2013. Nel 2003 costituisce la Fondazione Italia-Cina, nella quale poi copre la carica di presidente onorario. Romiti ha la medaglia di Cavaliere del lavoro nel 1978, il titolo di cittadino onorario della Cina, il titolo di professore onorario dell’Università Donghua di Shanghai e molti altri riconoscimenti.Il 13 ottobre 2006 a Pechino la “Chinese People’s Association for Friendship with Foreign Countries” gli conferisce la cittadinanza onoraria della Repubblica Popolare Cinese per il suo impegno nel rafforzamento dei rapporti bilaterali sino-italiani. Viene insignito dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine Nazionale della Legion d’Honneur francese. Il 7 ottobre 2010 è premiato dal primo ministro Wen Jiabao in occasione dell’Anno della cultura cinese in Italia.

Sandro mazzinghi

Il 22 agosto è morto nella sua Pontedera, dopo una breve malattia, Sandro Mazzinghi, 81 anni, campione mondiale ed europeo nei superwelter negli anni 60. Sandro Mazzinghi nasce a Pontedera il 3 ottobre 1938 in via Roma, proprio davanti all’ospedale Lotti. Il fratello Guido (Guanto d’Oro d’America, medaglia di bronzo all’Olimpiade di Helsinki nel 1952 e Campione d’Italia), più grande di sei anni, lo instrada al pugilato, tutto all’insaputa della madre che mai avrebbe accettato l’idea di avere in casa due pugili. In Guido, Sandro avrà non solo un fratello ma un ottimo allenatore e maestro negli anni più luminosi della sua carriera. Battuto per la selezione olimpica di Roma da Bossi, passa professionista nel 1961 con la scuderia Ignis del cavalier Borghi, con cui rimarrà fino al ritiro. Nel 1962, con l’introduzione dei superwelter anche a livello professionistico, Mazzinghi viene designato sfidante del Mondiale senza aver nemmeno mai combattuto per il titolo italiano: il 7 settembre 1963, al Vigorelli, batte il detentore Dupas per kot al nono round e diventa il quarto italiano di sempre a cingere l’iride dopo Carnera, Loi e D’Agata. A dicembre, nella rivincita a Sydney, Mazzinghi vince di nuovo per k.o. alla 13a ripresa.

arrigo levi

Il 23 agosto è morto Arrigo Levi, a 94 anni. Una vita spesa a onorare il giornalismo in molti ruoli: inviato speciale, corrispondente dall’estero e commentatore per la BBC, La Gazzetta del Popolo, il Corriere, il Giorno per assumere poi la direzione del Tg Rai e della Stampa e essere infine scelto come consigliere da due presidenti della Repubblica, Ciampi e Napolitano.

Nino calarco

Il 25 agosto è morto a 87 anni Nino Calarco, per 44 anni alla guida della Gazzetta del Sud e assieme all’editore Uberto Bonino e a Gianni Morgante, “l’assoluto pilastro – si legge sul sito del giornale messinese – del quotidiano dei siciliani e dei calabresi, il giornale al quale ha dedicato tutta la sua vita”. E’ stato anche per oltre vent’anni direttore di Rtp e presidente della fondazione Bonino-Pulejo: fu lui ad aver creato il centro d’eccellenza Irccs Neurolesi. Nato il 27 ottobre del 1932, fin da giovanissimo “ha coltivato la sua autentica passione per il giornalismo”, dando vita fin dal primo giorno alla grande avventura di quel giornale fondato da un imprenditore ligure, il cavaliere Bonino, nella sede di via XXIV Maggio. A 27 anni divenne capocronista. “Uomo dai variegati interessi – ricostruisce la Gazzetta del Sud – scrisse molto anche di spettacolo, intervistando i più importanti nomi del cinema internazionale, ai tempi della rassegna di Taormina e Messina”. Dal 1968 divenne direttore e da allora, fino alla prima decade del duemila, ha guidato il “suo” giornale con mano ferma, idee chiare, attenzione ai grandi eventi della storia ma anche ai più piccoli fatti di cronaca, che lui considerava di vitale importanza per un quotidiano di respiro meridionale e nazionale ma fortemente radicato nei territori. Nino Calarco, ricorda il quotidiano, e’ stato anche politico: dal 1979 al 1983 fu senatore della Repubblica, eletto nella lista della Democrazia cristiana. Da direttore e da senatore “porto’ avanti, e a compimento, battaglie di vitale rilevanza per Messina, come quella per la costruzione dell’acquedotto Bufardo che risolse la drammatica emergenza idrica degli anni della grande sete. E poi la lotta contro il degrado socio-urbanistico simboleggiato dalle sterminate baraccopoli messinesi”. Fu componente della commissione parlamentare che si occupo’ dei servizi segreti deviati e della loggia P2. Terminato il mandato parlamentare torno’ alla direzione del giornale.

joe ruby

Il 28 agosto lo sceneggiatore, animatore e produttore esecutivo statunitense Joe Ruby, che ha creato molte serie di cartoni animati soprattutto per Hanna-Barbera, è morto per cause naturali nella sua casa di Westlake Village, in California, all’età di 87 anni. Nato il 30 marzo 1933 a Los Angeles, Joe Ruby iniziò la carriera di animatore presso gli studi della Walt Disney per essere poi ingaggiato da William Hanna e Joseph Barbera, nei cui uffici conobbe lo sceneggiatore Ken Spears. Nel 1969 i due realizzarono “Scooby Doo! Dove sei tu?”, primo film di quella che divenne una delle più popolari e longeve serie tv a cartoni animati. Il produttore Fred Silverman volle un nuovo progetto di cartone animato dai toni horror e così Ruby e Spears si avvalsero della collaborazione del disegnatore Iwao Takamoto, che ideò graficamente il cane fifone che doveva fungere da mascotte del gruppo di giovani investigatori dilettanti che indagano su misteriosi casi apparentemente soprannaturali. Dopo il grande successo di Scooby-Doo, Ruby e Spears furono assunti dalla rete televisiva americana Cbs per curare la programmazione per bambini e supervisionare i cartoni animati. Nel 1977 aprirono lo studio Ruby-Spears Productions, realizzando, tra gli altri ,”Mister T”, “Superman”, “Centurions”, “Turbo Teen”, “Thundarr the Barbarian” e “Fangface”.

Philippe Daverio

Il 2 settembre è morto nella notte a Milano lo storico dell’arte Philippe Daverio. Lo ha reso noto la regista e direttrice del Franco Parenti Andree Ruth Shammah. Docente e saggista, ex assessore alla Cultura del Comune di Milano, aveva 71 anni.

gigi imperatrice

Il 6 settembre è morto Gigi Imperatrice, 85 anni portati benissimo, metà del duo duo comico Fatebenefratelli, accanto al fratello Edoardo. Sangiorgese, fratello dell’impresario Pino Moris, scomparso nel 2017, come lui amante della canzone napoletana classica, doveva la sua fama alle gag – come quella dei finto casellanti – in piazza e in tv con il fratello Edo, con cui era apparso anche in “Cosí parló Bellavista” di De Crescenzo e “FFSS” di Renzo Arbore. insieme al fratello Edo. In tv aveva lavorato con Pippo Baudo e Raffaella Carrá, a teatro con il Bagaglino, Oreste Lionello, Anna Mazzamauro, a cinema con Nino D’Angelo nei film diretti da Ninì Grassia. Da autori, i due hanno firmato alcuni libri e le varie edizioni di “Napoli prima e dopo” su Raiuno.

Il 9 settembre è morto a 71 anni, a causa di una malattia, l’imprenditore Pasquale Casillo, storico presidente del Foggia Calcio che traghettò la squadra negli anni 90 dalla Serie C alla Serie A. Casillo era soprannominato il ‘re del grano’, essendo stato tra i maggiori produttori di grano al sud. Negli anni ’90 fu presidente dell’associazione degli industriali di Foggia. Nell’estate del 1986 l’imprenditore rilevò il Foggia dall’allora proprietario Nino Lioce. Nella stagione calcistica ’90-’91 la squadra, guidata da Zdenek Zeman, venne promossa in Serie A. Nel 1994 fu tirato in ballo da un pentito di Camorra, che lo trascina nel baratro. Fu assolto solo 17 anni dopo.

amos luzzatto

Il 10 settembre è morto Amos Luzzatto, ex presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, aveva 92 anni. Nato nel giugno del 1928, le Leggi razziste del 1938 lo costrinsero a fuggire dall’Italia per riparare a Gerusalemme e Tel Aviv nell’allora Palestina mandataria. Una volta tornato in patria nel ’46, il campo della sinistra, nelle sue varie declinazioni partitiche, divenne la sua scelta: «Le istanze egualitarie e di giustizia – disse una volta – le ho ricavate proprio dalla cultura ebraica. La Bibbia ne è ricca, basta cercarle». Il ‘comunista che parlava ebraico’, come fu definito, è stato uno strenuo difensore di Israele, anche quando nel suo versante politico erano in pochi ad esserlo. Del resto Luzzatto era nipote di Dante Lattes, rabbino e intellettuale raffinato, esponente di spicco del Sionismo italiano e fondatore della ‘Rassegna mensile di Israel’.

L’11 settembre Alan Minter se n’è andato a 69 anni a causa di un tumore, era malato da tempo. Per noi italiani, il suo nome era fatalmente legato al dramma di Angelo Jacopucci, morto nel 1978 tre giorni dopo un durissimo incontro tra i due per il titolo europeo di categoria. Minter, inglese originario del Sussex, mancino, occhi di ghiaccio, «da killer» dicevano le cronache di allora, vinse una medaglia di bronzo alle Olimpiadi del 1972 a Monaco, poi diventò professionista e raggiunse il titolo mondiale dei pesi medi battendo Vito Antuofermo, a Las Vegas nel 1980. Difese la corona nella rivincita contro il campione italiano per poi cederla ad un nuovo astro nascente, lo statunitense Marvin Hagler. Per noi italiani Minter è però l’uomo che causò la morte di Jacopucci. Il 19 luglio del 1978, a Bellaria, l’inglese e l’italiano si affrontano per il titolo europeo vacante dei medi. L’Angelo Biondo di Tarquinia va k.o. al 12° round. Il colpo è tremendo, Jacopucci però poi si rialza a rassicura tutti. Il Clay dei poveri, lo chiamavano. Perché amava scherzare, ridere, sorridere. Giù dal ring, scherzava: «Ho perso perché mi sono distratto». Poco dopo, durante la cena alla quale era presente anche Minter, una specie di terzo tempo fra avversari, si sente male. La moglie Giovanna è in albergo che lo aspetta, ha pronto un regalo per il marito, l’ultimo disco di Antonello Venditti. Non glielo darà mai. Jacopucci viene trasportato in ospedale, gravissimo. Muore dopo tre giorni, a 29 anni, per emorragia cerebrale. Dopo quel match, ci fu il taglio delle riprese da 15 a 12. Fu imposto l’obbligo di Tac cranica per ciascun pugile, nell’ambito delle visite mediche rituali. Non furono più ammessi incontri in zone distanti più di un’ora da un centro neurologico. Ma anche Minter non fu più lo stesso. Si rinchiuse nel silenzio. Quell’episodio cambiò anche la sua vita. Andrea, il figlio di Jacopucci, raccontò qualche tempo fa che Minter andò poi sulla tomba del padre. La carriera dell’inglese proseguì. Nel 1980 incrocia un pugile italiano, Vito Antuofermo. Gli italiani tifano per la vendetta sportiva, ma non va così: Minter vince a Las Vegas e poi a Wembley. Il 27 settembre 1980 difende il titolo contro Marvin Hagler, ma stavolta viene sconfitto. In Inghilterra è l’era degli hooligans, Minter è un eroe popolarissimo e il k.o. fa esplodere i tifosi: addosso ad Hagler vola di tutto, sedie, bottiglie, lattine. Minter combatterà altre due volte, chiude nel 1981 con un record di 39 vittorie e 9 sconfitte.

stevie lee

Il 12 settembre è morto all’età di 54 anni Stevie Lee, leggenda dei nani del wrestling, conosciuto con il nome di Puppet the Psycho Dwarf. Aveva partecipato anche a molte puntate della trasmissione satirica Jackass. Lee è venuto a mancare in condizioni di indigenza, e per questo i suoi familiari hanno lanciato una raccolta fondi i cui proventi verranno utilizzati per i funerali.

Zoe Parker

Il 12 settembre è morto Zoe Parker, 24 anni, aveva deciso di abbandonare il mondo dell’hard l’anno scorso, dopo una carriera durata dal 2014 al 2019, ed era tornata in Texas per rifarsi una vita. Solo poco tempo fa aveva annunciato sui social di essersi fidanzata ufficialmente e di essere prossima alle nozze.

Winston Groom

Il 18 settembre è morto lo scrittore Winston Groom, autore di ‘Forrest Gump’. Lo riporta la Cnn citando Karin Wilson, sindaco di Fairhope, la città natale di Groom in Alabama. Groom aveva 77 anni. Il suo romanzo, dopo l’uscita del film che ha avuto un sensazionale successo, è passato dalle 30.000 al milione e mezzo di copie vendute, facendo esplodere il fenomeno definito “gumpismo”.

enzo golino

Il 18 settembre è morto a Roma, dopo un a lunga malattia Enzo Golino. Era nato a Napoli nel 1932. Aveva 88 anni. Giornalista, critico letterario, Golino aveva lavorato alla Rai, ai servizi culturali, al 1962 al 1975. Poi era stato responsabile delle pagine culturali di Repubblica e del Corriere della Sera, prima di passare all’Espresso dove per anni ha ricoperto la carica di vicedirettore. Intellettuale a tutto tondo, attento ai rapporti tra letteratura e società, Golino era di quei napoletani freddi, che nascondono la passione culturale, civile e politica dietro i modi eleganti e distaccati dell’ironia.

Ruth Bader Ginsburg

Il 19 settembre il giudice della Corte Suprema Usa Ruth Bader Ginsburg si è spenta nella sua casa a Washington. Aveva 87 anni e da tempo soffriva per un cancro al pancreas che l’aveva portata in ospedale varie volte. Era stata nominata alla Suprema Corte dal presidente Bill Clinton nel 1993, ed era considerata uno dei pilastri dell’ala progressista fra i nove membri. E’ stata solo la seconda donna a essere nominata dopo Sandra Day O’Connor, che era stata scelta da Ronald Reagan. Ruth Bader Ginsburg passerà alla storia della giustizia americana in quanto paladina dei diritti delle donne.

rossana rossanda

Il 19 settembre è morta Rossana Rossanda. Aveva 96 anni. Giornalista, politica e scrittrice era stata nel 1969 tra i fondatori del «manifesto» (prima rivista, poi quotidiano) di cui era stata più volte direttrice e aveva lasciato definitivamente nel 2012 per discrepanze con la direzione.  Rossanda, che lo scorso 25 aprile era stata ricoverata per una crisi cardiaca, era nata a Pola nel 1924, e aveva partecipato alla Resistenza. Al termine della Seconda guerra mondiale, si iscrisse al Partito comunista. Venne nominata da Palmiro Togliatti responsabile della politica culturale del partito. Nel 1963 la sua prima elezione alla Camera. Nel 1969 fu radiata dal Pci perché esponente della sinistra critica. Fondò € la rivista, e in seguito il quotidiano, «il manifesto».

peppino caldarola

Il 21 settembre Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità e dal 2001 al 2008 deputato dell’Ulivo, è morto al Policlinico Umberto I di Roma dopo una breve malattia, a 74 anni. Dirigente del Partito Comunista a Bari, dove è stato segretario cittadino fino al 1977, ha guidato Rinascita come vice-direttore e ha fondato e diretto Italiaradio. Dopo lo scioglimento del Pci ha aderito aderisce al Partito Democratico della Sinistra e poi ai Democratici di Sinistra. Dal 1996 al 1998 e dal 1999 al 2000 è stato direttore dell’Unità. Due anni fa la decisione di non scrivere più di politica: “Mi occuperò di altro. In fondo nasco alla vita lavorativa occupandomi di altro in una casa editrice di cultura (Laterza, ndr). Torno alle origini”. E “mi occuperò di politica come cittadino, voterò (a sinistra), parteciperò a manifestazioni, mi sentirò in prima linea in ogni momento in cui avvertirò un pericolo democratico“. Quanto alla sinistra, scriverne “non ha molto senso. Giriamo attorno al nulla fino a che non nascerà un movimento, una specie di Podemos, che coagulerà giovani e vecchi che, senza disprezzare il passato, facciano cose nuove”. Nel 2019 era stato chiamato a dirigere Civiltà delle macchine, storica rivista di Finmeccanica rieditata dalla Fondazione Leonardo.

Road Warrior Animal

Il 23 settembre è morto Joseph Laurinaitis, alias Road Warrior Animal all’età di 60 anni. La famiglia ha in mente di rilasciare un comunicato più tardi, nel corso della giornata. Vi chiediamo adesso di rivolgere verso di loro un pensiero e una preghiera“. Attraverso questo tweet apparso sul suo profilo ufficiale, è stata confermata la notizia della morte di Road Warrior Animal, all’età di soli 60 anni. Joseph Michael Laurinaitis, questo il suo vero nome, si è spento improvvisamente nelle ultime ore a circa un mese dal 17° anniversario della morte del compagno di tag team Michael James Hegstrand, scomparso a 43 anni a causa di un infarto. Insieme i due diedero vita alla mitica coppia degli Road Warriors o Legion of Doom, la coppia formata da Road Warrior Animal e Road Warrior Hawk, due guerrieri di strada con tanto di armature borchiate e pitture facciali che divennero un must nel wrestling degli anni successivi. La coppia lottò in diverse federazioni, dalla Georgia Championship all’American Wrestling Association, passando per l’All Japan Pro Wrestling e ovviamente WWE, WCW e WWE. Dopo la morte prematura di Hawk, la stable venne brevemente riunita con Heidenreich al suo posto e la nuova coppia (con Animal) vinse un nuovo titolo tag-team. Nel 2011 l’inclusione di Animal e Hawk nella Hall of Fame WWE.

quino mafalda

Il 30 settembre è morto a 88 anni Joaquin Salvador Lavado, in arte Quino, il celebre fumettista argentino creatore delle striscie di Mafalda. Lo hanno riferito all’agenzia Efe fonti vicine alla famiglia. Quino è morto a Mendoza, la sua città natale, dove si era ritirato nel 2017, dopo aver lasciato Buenos Aires in seguito alla morte della moglie. Il fumettista soffriva da anni di problemi di salute ma aveva continuato a seguire mostre e omaggi dedicati alla sua opera. Figlio di immigrati spagnoli, di fede repubblicana e anticlericale, Quino era già chiamato così in famiglia per distinguerlo dallo zio Joaquin Tejon, pittore e grafico che gli insegnò i rudimenti del mestiere, che consentiranno al giovane artista di pubblicare le prime vignette satiriche nel 1954, all’età di 22 anni, sul settimanale ‘Esto Es’. I suoi lavori riscuotono subito successo e vengono ospitati da numerosi periodici. Quino riesce quindi presto a fare della sua passione un mestiere e nel 1960 si sposa con Alicia Colombo. Due anni dopo un’azienda di elettrodomestici gli commissiona una striscia a fumetti da utilizzare per una campagna pubblicitaria. I requisiti sono i seguenti: deve essere nello stile di Charlie Brown e deve avere come protagonista una famiglia i cui nomi iniziano con la lettera M, la stessa del committente, la Mansfield. Non se ne sarebbe fatto niente. Il direttore del settimanale Primera Plana, Julian Delgado, vede le strisce di prova e suggerisce a Quino di conservare il personaggio. Nasce così una delle strip più celebri della storia del fumetto, che avrebbe interrotto le pubblicazioni nel 1973, in quanto l’autore voleva concluderne le avventure prima di esaurire le idee. Sono gli anni della contestazione e Mafalda ne diventa un simbolo. L’impertinente bambina si fa portavoce dell’afflato pacifista e antiautoritario dell’autore, sempre pronta a contestare ogni ingiustizia, dalla guerra in Vietnam all’aborrita minestra che i genitori le propinano suo malgrado. Inizialmente è l’unica protagonista della strip. In seguito, si aggiungeranno i suoi altrettanto celebri amichetti. Manolito, incarnazione del capitalismo più spietato, rozzo figlio di un truffaldino droghiere, che finge di regalare caramelle ai compagni per poi pretendere denaro. Susanita, indifferente alle ansie geopolitiche dell’amica e animata solo dal sogno di diventare madre. Felipe, sognatore e nerd ante litteram, sempre immerso nei suoi fumetti e nelle fantasie che lo vedono vestire i panni di un intrepido cowboy. Miguelito, rampollo di una famiglia italiana dalle simpatie fasciste, che nasconde dietro una maschera innocente un temperamento sarcastico e introspettivo. Il successo è enorme, prima in America Latina e poi in Europa. Le prime strisce vengono pubblicate in Spagna nel 1970, quando Francisco Franco era ancora vivo. Mafalda viene tradotta persino in Cina e diventa una bandiera per molti ragazzi che vivevano sotto regimi autoritari e vedevano in lei una paladina dei loro sogni di libertà e giustizia. La censura, per lo più, lascia correre, sebbene durante il regime dei generali il governo argentino avrebbe costretto gli editori a etichettare le strisce come materiale per adulti. Se Mafalda è famosa per non saper tenere la bocca chiusa di fronte ai soprusi, la grande specialità di Quino erano però le vignette mute, caratterizzate da uno spirito surrealista che sapeva essere allo stesso tempo cinico e gentile. I protagonisti sono spesso i deboli e gli sconfitti; bambini, travet e artisti sfortunati alle prese con le prepotenze di burocrati indifferenti e militari brutali, rappresentazioni tutt’altro che astratte delle autorità che in quei decenni opprimevano in larga parte del continente sudamericano cittadini che potevano trovare un momento di conforto e riscatto in quei disegni senza parole, dove il mutismo dei personaggi esprimeva sia l’impotenza degli ultimi che l’ottusità del potere che li angariava.

Archie Lyndhurst

Il primo ottobre è morto Archie Lyndhurst all’età di 19 anni dopo una breve malattia. A dare per prima la notizia è stato il sito della Bbc. Il giovane, figlio dell’attore Nicholas Lyndhurst, era una star della tv dei ragazzi. Archie era inoltre conosciuto per la sua interpretazione di Ollie Coulton nella sit-com ‘So Awkward’. Cheryl Taylor, responsabile dei contenuti della Cbbc, ha detto che Archie era «un giovane attore molto talentuoso», aggiungendo: «Tutti noi della Bbc Children siamo devastati».

Derek Mahon

Il 2 ottobre è morto Derek Mahon, gigante della poesia irlandese e in lingua inglese a cavallo fra la seconda metà del XX secolo e i primi decenni nel XXI. Nato a Belfast, nell’Irlanda del Nord, e trapiantatosi poi nella Repubblica dopo un periodo vissuto a Londra, Mahon è morto a 78 anni presso Cork, a sud di Dublino, dopo una breve malattia, come annunciato dal suo editore, Gallery Press, che in poche righe gli rende omaggio come a un “artista puro” e a un “maestro di poesia”.
Un vero caposcuola, paragonato a letterati conterranei della statura di WH Auden, Louis MacNeice o Samuel Beckett, la cui eredità va ben oltre il pur celebre poema Everything Is Going to be All Right (Andrà Tutto Bene), riscoperto nella dimensione persino semplicistica dello slogan d’incoraggiamento durante i mesi più duri del lockdown e della pandemia da coronavirus, sebbene legato a versi improntati tutt’altro che a un facile ottimismo esistenziale come ‘There will be dying, there will be dying, / but there is no need to go into that’. Voce lirica capace di attraversare mezzo secolo ai più alti livelli, e di fare della poesia uno strumento in grado di elevarsi sopra i sanguinosi conflitti e le profonde lacerazioni comunitario-confessionali della sua terra nella stagione dei Troubles, ha avuto durante nel corso della vita riconoscimenti pressoché unanimi dalla critica e da tanti colleghi. Definito da Brendan Kennelly “il Keats di Belfast”, ha continuato a scrivere sino agli ultimi giorni: la sua raccolta finale, Washing Up, è attesa dalla pubblicazione entro fine ottobre.

kenzo takada

Il 4 ottobre è morto lo stilista giapponese Kenzo Takada, universalmente conosciuto come Kenzo, per complicazioni da Covid-19. Aveva 81 anni. Lo ha reso noto un portavoce di K3, la linea di tessile per la casa che aveva lanciato pochi mesi fa, spiegando che il designer, da anni residente a Parigi, si è spento all’ospedale americano di Neully-sur-Seine. Inutile dire quanto colpisca la scomparsa di uno dei nomi simbolo della moda proprio nel pieno delle sfilate francesi: la collezione per la primavera/estate 2021 del marchio, disegnato da inizio anno da Felipe Oliveira Baptista, è andata in passerella solo lo scorso 30 settembre. Il brand è di proprietà del gruppo LVMH dal 1993 ma, come fa notare al WWD Sidney Toledano, CEO di LVMH Fashion Group, Kenzo ha sempre continuato a sostenerlo: la sua assenza all’ultima sfilata si spiega infatti con l’aggravarsi delle sue condizioni. “Penso fosse un grande designer e una gran bella persona”, ha dichiarato Toledano. La carriera del creativo giapponese è sempre stata atipica: nato il 27 febbraio 1939 a Himeniji, una cittadina nella regione del Kansai, nonostante un interesse nella moda sviluppato sin da piccolo, a 18 anni per volere dei genitori si iscrive all’università di Kyoto per studiare letteratura, per poi abbandonare gli studi dopo un anno e iscriversi al Bunka Fashion College di Tokyo, celebre scuola di moda giapponese fino a quell’anno aperta solo alle donne: Kenzo fu il primo studente maschio. Nel 1960 inizia a lavorare per i grandi magazzini Sanai: disegna abiti per ragazze, e arriva a produrre sino a 40 look al mese. Nel 1964, su suggerimento dei suoi professori, si trasferisce a Parigi, che diventa presto la sua città. Inizia come free lance, disegnando per altre case di moda, fino a quando nel 1970 apre la sua prima boutique, ribattezzata Jungle Jap, in un’antica bottega all’interno della Gallerie Vivienne, non lontana dal Pais Royal. In poco tempo i suoi abiti oversize e le silhouette inusuali, unite all’unicità del suo negozio, colgono l’attenzione di pubblico e addetti ai lavori. Nel 1983 lancia la collezione uomo, nel 1988 arriva il primo profumo, Kenzo de Kenzo, anche se il best seller del brand, Flower by Kenzo, viene lanciato nel 2000. Dopo la cessione a LVMH del marchio nel 1993, Kenzo resta altri 6 anni alla guida del marchio, per poi ritirarsi nel 1999. Gli sono succeduti alla guida creativa della maison Antonio Marras (2003-2011), Humberto Leon e Carol Lim (2011-2019) e, da quest’anno, il portoghese Felipe Oliveira Baptista.

Franco Bolelli

Il 5 ottobre è morto Franco Bolelli. Il saggista e filosofo milanese è morto a 70 anni. In passato è stato redattore di Gong, ha scritto per la prima storica edizione di Alfabeta, ha fondato Musica 80!, ha curato i cataloghi delle installazioni milanesi di Brian Eno. È docente a contratto al Politecnico di Milano. Tantissime le sue pubblicazioni, in particolare Con gli Occhi della Tigre (per una filosofia vitale epica erotica sentimentale). Per Tutti I Per Sempre (Amazon, 2019), +Donna +Uomo (Tlon, 2017) e Tutta la Verità sull’Amore (Sperling&Kupfer, 2015), tutti e tre con Manuela Mantegazza, Si Fa Così (Torino, Add, 2013), Giocate! (Torino, Add, 2012), Viva Tutto! insieme a Jovanotti (Torino, Add, 2010). Ha progettato e messo in scena decine di eventi e festival (fra i quali Il Festival dell’Amore, Frontiere, Living Simplicity, Mi030 con Stefano Boeri).

Yehoshua Kenaz

Il 12 ottobre Yehoshua Kenaz, uno tra i più grandi scrittori israeliani contemporanei, maestro nell’indagare i sentimenti e le contraddizioni dell’animo umano. Kenaz, che aveva 83 anni, è morto per complicazioni legate al Covid. Tra i romanzi più noti di Kenaz Non temere e non sperare (uscito nel 1986, in Italia pubblicato poi da Giuntina), ambientato negli anni Cinquanta in Israele tra giovani soldati pieni di speranze e di dubbi per il futuro. Una narrazione considerata dalla critica tra le più veritiere e importanti nel restituire il clima negli anni della fondazione del nuovo Stato israeliano e contemporaneamente lo spaesamento della giovinezza nel passaggio all’età adulta. Dal libro è stato realizzato un lungometraggio per la regia di Dover Koshashvili. Yehoshua Kenaz era nato a Petach Tikva nel 1937. Alle spalle aveva studi umanistici: filosofia all’Università Ebraica di Gerusalemme e poi letteratura francese alla Sorbona di Parigi. Giovane ventenne con aspirazioni letterarie, aveva mosso i primi passi come redattore della rivista letteraria Keshet, dove nel 1960, aveva pubblicato i suoi primi racconti sotto lo pseudonimo di Othniel Avi.
Scrittore colto e appassionato di letteratura francese, Kenaz nel corso della sua carriera ha tradotto in ebraico molti capolavori, tra cui André Gide, François Mauriac, George Sand, Henry de Montherlant, Honoré de Balzac, Gustave Flaubert, Georges Simenon. I titoli dei romanzi e racconti di maggior successo di Kenaz scavano nell’animo umano e nelle pieghe della società israeliana. La grande donna dei sogni (Giuntina 2005), ambientato in un condominio alla periferia di Tel Aviv, è un esempio di come Kenaz riesca raccontare la vita di persone qualunque restituendo l’atmosfera dell’intera società e portando a galla pulsioni e rabbie represse. Tra gli altri libri tradotti in Italia: Voci di muto amore (Giuntina, 2006), un racconto doloroso della vecchiaia; Ripristinando antichi amori (ultima edizione Giuntina), di nuovo ambientato a Tel Aviv, racconta di una donna che s’innamora clandestinamente di un uomo di cui non sa niente. Il libro ha ispirato Alila di Amos Gitai. E poi ancora, Momento Musicale, in cui vince nuovamente la fascinazione per l’adolescenza come crudele e bellissima età di passaggio, e Appartamento con ingresso nel cortile, in cui Kenaz torna a muoversi tra paure e aspirazioni della gente comune.

kiki aramu

Il 13 ottobre è morto si è spento Kiki (Alessandro) Aramu, grande stella dell’Amsicora e della nazionale di hockey su prato, poi allenatore e dirigente. Il 15 novembre avrebbe compiuto 78 anni. Maestro dello sport ha ricoperto per anni il ruolo di allenatore azzurro dell’hockey maschile, poi anche di quella femminile. Ha proseguito la carriera da segretario generale della federazione. Ha concluso la sua attività al servizio del Coni come presidente del Totocalcio. Attaccante di straordinaria classe, era il giocatore più forte nel 1960 quando l’Italia giocò alle Olimpiadi a Roma. Non fu convocato per questioni di equilibri geopolitici: già 9 giocatori arrivavano dalla Sardegna. Da allenatore è stato l’unico a portare la selezione azzurra di hockey su prato ai campionati mondiali. Era il 1978. Un’impresa mai ripetuta dai successori.

Lee Kun-hee

Il 25 ottobre Lee Kun-hee, presidente di Samsung Electronics, è morto a Seul dopo un ricovero ospedaliero durato anni a seguito di un attacco di cuore avvenuto nel 2014. Lee, autore della trasformazione di Samsung in un colosso mondiale leader soprattutto nell’elettronica e nei microprocessori, aveva 78 anni. Sotto la guida di Lee, Samsung, la più grande conglomerata a conduzione familiare (‘chaebol’) del Paese, è diventata il più primo produttore al mondo di smartphone e chip di memoria con un fatturato complessivo cresciuto fino a essere un quinto del Pil della Corea del Sud, nonché il 20% del suo export. Noto per lo stile di vita solitario tanto da meritarsi il soprannome di «re eremita», Lee fu costretto a rimanere a letto per l’attacco di cuore nel 2014 e da allora le sue condizioni di salute sono state avvolte nel mistero. Samsung con le altre chaebol hanno guidato la trasformazione della nazione risollevatasi dalle rovine dalla Guerra di Corea (1950-53) fino a diventare la dodicesima economia più grande al mondo, destinata quest’anno secondo le stime dell’Ocse, anche per l’effetto della pandemia del Covid, a salire al nono posto. Allo stesso tempo, Lee ha dovuto fare i conti con scandali finanziari per l’oscuro intreccio con la politica incassando due volte la condanna per reati di vario tipo. Quando ereditò nel 1987 la guida del gruppo, fondato da suo padre come esportatore di pesce e frutta, Samsung era già il primo gruppo del Paese con attività che spaziavano dall’elettronica di consumo all’edilizia e all’industria pesante. Importante il ruolo avuto sul ritorno della Corea del Sud nella comunità internazionale dopo la fase della dittatura militare e l’arrivo della democrazia suggellato con le Olimpiadi estive di Seul del 1988. Da ultimo, anche l’impegno nel Cio per avere quelle invernali di Pyeongchang del 2018. Suo figlio Lee Jae-yong, attuale il vice presidente di Samsung Electronics, è al timone dell’azienda dall’infarto del padre, finendo in carcere dopo la condanna a cinque anni comminatagli nel 2017 per i reati di corruzione e di altro tipo legati all’ex presidente Park Geun-hye, prima di essere scagionato dalle accuse più gravi in appello e rilasciato un anno dopo. Il caso è attualmente in fase di revisione.

pino scaccia

Mercoledì 28 ottobre è morto Pino Scaccia, storico corrispondente della Rai, per le conseguenze del Covid poco dopo le 13. Aveva 74 anni. Il giornalista, classe 1946, era ricoverato da settimane in una struttura della Capitale, poi dopo essere risultato positivo a un test è stato trasferito al Covid Center di Casal Palocco, dove si è spento. È stato uno degli inviati della Rai. Ha seguito numerosi avvenimenti, dalla prima guerra del Golfo al conflitto serbo croato, dalla disgregazione dell’ex Unione Sovietica e della ex Jugoslavia, fino alla crisi in Afghanistan, oltre al difficile dopoguerra in Iraq (dove è stato l’ultimo compagno di viaggio di Enzo Baldoni) fino alla rivolta in Libia. Ha realizzato numerosi reportage in tutto il mondo, è stato il primo reporter occidentale ad entrare nella centrale di Černobyl’ dopo il disastro, a scoprire per primo i resti di Che Guevara in Bolivia e a mostrare le immagini fino a quel momento segrete dell’Area 51 nel deserto del Nevada. Si è occupato inoltre di cronaca con particolare riferimento a mafia, terrorismo e sequestri di persona oltre a terremoti e disastri naturali. Prima di dedicarsi a tempo pieno all’attività di blogger e scrittore, è stato capo redattore dei servizi speciali del Tg1. È stato docente del master di giornalismo radiotelevisivo all’Università Lumsa di Roma. Ha scritto 15 libri.

Sergio Matteucci

Il 5 novembre è morto a Roma, a 89 anni, il doppiatore Sergio Matteucci. Era nato a Granada nel 1931 e dai cartoni animati era passato ai film e alla tv, come voce fuori campo della Domenica Sprint per i servizi dallo Stadio Olimpico di Roma. Se memorabili restano le descrizioni delle azioni nelle infinite partite di “Holly e Benji”, dove spesso andava a braccio dopo averne curato direttamente i testi, Matteucci prestò la sua voce anche per altri cartoni per ragazzi di successo, come Sampei, Lady Oscar, Candy Candy e Ben e Sebastien. Nella sua carriera approdò anche alle pellicole e alla tv. Tra i film, Matteucci ha firmato il doppiaggio di Rocky 2, Toro Scatenato, Cinderella Man, Scarface.

isa stoppi

Il 16 novembre è morta a Milano Isa Stoppi, una delle modelle più celebrate degli anni Sessanta, e musa di straordinari fotografi, a cominciare da Richard Avedon che di lei diede una definizione passata alle storia, parlando di Isa come della «donna più bella del mondo, la modella con due laghi al posto degli occhi». Era stata la musa anche di Gian Paolo Barbieri, che la ritrasse come una dea bionda (la «Iside bionda») con un boa attorno al collo e trasformò quella immagina in una icona della storia della moda (qui, le foto della sua carriera). Isa Stoppi era nata nella Libia coloniale ma era cresciuta nel Piacentino. La celebrità le venne incontro nel 1962 quando venne scelta per rappresentare l’Italia nel concorso di Miss Universo. La sua scoperta è però dovuta a Diana Vreeland, celebre editor di Vogue: Isa Stoppi fu immortalata per tutti gli anni Sessanta sulle cover dei magazine più prestigiosi del mondo, a partire appunto da Vogue che la scelse per la copertina del primo numero dell’edizione italiana. Fu il volto di maison come Valentino e fu immortalata da fotografi come i già citati Avedon e Barbieri, così come da Milton Greene, Bert Stern e Henry Clarke. Aveva 83 anni.

Ayman al-Zawahiri

A novembre, data ancora da stabilire, è morto lo storico successore dello Sceicco del Terrore alla guida del gruppo jihadista con base in Afghanistan Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri. Un colpo durissimo all’immagine dell’organizzazione, visto che nei giorni scorsi il New York Times aveva diffuso la notizia dell’uccisione, tre mesi fa, del numero due di al-Qaeda, Abu Mohammed al-Masri, sorpreso da un agguato organizzato dal Mossad israeliano, con il benestare di Washington, per le strade di Teheran. Secondo la ricostruzione fornita dal portale pakistano, che ha interpellato anche quattro membri della sicurezza nazionale di Islamabad, due dei quali hanno confermato il decesso, il vertice de La Base è morto a 69 anni per cause naturali. Nello specifico, ha spiegato una fonte vicina all’organizzazione terroristica, al-Zawahiri è morto “nell’area di Ghazni”, in Afghanistan, in larga parte controllata dai miliziani Taliban, e a ucciderlo è stata l’asma e la mancanza di cure adeguate dovute alla sua decennale latitanza nelle aree più remote dell’Afghanistan e del Pakistan. La sua scomparsa, se confermata, è avvenuta comunque recentemente, visto che la sua ultima apparizione video è datata 11 settembre, in occasione del 19esimo anniversario degli attentati al World Trade Center e al Pentagono. Un’altra fonte interna ad al-Qaeda ha infatti dichiarato ai reporter che il loro capo è deceduto a novembre e che alla cerimonia funebre era presente solo un numero molto limitato di persone. Versione confermata anche da alcuni membri dell’intelligence [sta_anchor id=”diego”]pakistana[/sta_anchor].

maradona

Il 25 novembre è morto Diego Armando Maradona, per arresto all’età di 60 anni in seguito ad un arresto cardiorespiratorio. Considerato il più grande giocatore di tutti i tempi, ha lasciato il segno vincendo un Mondiale con l’Argentina nel 1986 e due scudetti col Napoli. Ha militato nell’Argentinos Juniors, nel Boca Juniors, nel Barcellona, nel Napoli, nel Siviglia e nel Newell’s Old Boys. Con la nazionale argentina ha partecipato a quattro Mondiali (1982, 1986, 1990 e 1994), vincendo da protagonista il torneo del 1986; i 91 incontri disputati e le 34 reti realizzate in nazionale costituirono due record, successivamente battuti. Contro l’Inghilterra aiquarti di finale di Messico 1986 segnò una rete considerata il gol del secolo, tre minuti dopo aver segnato un gol con la mano (noto come mano de Dios), altro episodio per cui è spesso ricordato. Non è mai potuto entrare nelle graduatorie del Pallone d’oro perché fino al 1994 il premio era riservato ai giocatori europei: per questo motivo nel 1995 vinse il Pallone d’oro alla carriera. Ha comunque ricevuto altri numerosi riconoscimenti individuali: condivide con Pelé il premio ufficiale FIFA come Miglior giocatore del XX secolo e nel 1993 è stato insignito del titolo di miglior calciatore argentino di sempre, tributatogli dalla federazione calcistica dell’Argentina.

Papa Bouba Diop

Il 29 novembre Papa Bouba Diop, il centrocampista che ha scritto la storia della nazionale del Senegal ai Mondiali di calcio 2002, è morto a soli a 42 anni. Diop è stato fra i simboli di una generazione di calciatori straordinaria e forse irripetibile nella storia del paese. Suo, il primo gol del Senegal nella storia dei Mondiali e in assoluto della kermesse giocata in Giappone e Corea 2002. Una rete, fra l’altro, importantissima, che ha permesso alla sua nazionale di superare la Francia e spianarsi la strada verso un mondiale straordinario. Quel 2002 è stato ricco di soddisfazioni. Il Senegal, che qualche mese prima del mondiale aveva sfiorato la vittoria in Coppa d’Africa persa ai rigori contro il Camerun, ha fatto sognare un continente arrampicandosi sino ai quarti di finale del torneo nippocoreano. Diop ne fu grande protagonista. Dopo il gol all’esordio, una doppietta contro l’Uruguay (3-3) nella terza partita del girone. La nazionale africana supererà anche gli ottavi di finale (2-1 alla Svezia) prima di arrendersi alla Turchia (0-1). Diop chiuderà la sua carriera in nazionale con 58 presenze e nove reti. Il 2002 è stato il definitivo trampolino di lancio per una carriera carica di soddisfazioni: Diop, che aveva già vinto un campionato svizzero con il Grassophers nel 2001/2001, ha vissuto i suoi anni migliori in Francia e poi in Inghilterra legandosi alle maglie di Lens e Fulham. Memorabile una rete da 35 metri al suo esordio in Premier League al Manchester United. Lasciato il Fulham, si lega per altri tre anni al Portsmouth. Nel 2010 accetta la corte dell’AEK Atene, dove vince una Coppa di Grecia. Nel 2011/2012 torna in Inghilterra, al West Ham, e contribuisce al ritorno in Premier degli hammers. Chiude al Birmingham City nel 2013. E lascia questo mondo troppo presto.

Il 20 novembre è morto a 93 anni nella sua casa di Milano Giordano Zucchi, imprenditore che per 60 anni è stato alla guida del gruppo tessile Zucchi/Bassetti, uno dei più importanti produttori di biancheria per la casa. Zucchi, dopo la laurea alla Bocconi, aveva preso in mano l’azienda fondata nel 1929 dal padre Vincenzo. Con lui l’impresa tessile attraversò gli anni del boom economico e tutti i cambiamenti che hanno rivoluzionato il settore. Negli anni Novanta l’azienda, in seguito l’acquisizione di Bassetti, diventò uno dei più importanti produttori di biancheria per la casa in Europa. Un vero e proprio colosso: 200 miliardi di fatturato, 1.320 dipendenti ed il 20% del mercato italiano. Le prime avvisaglie di crisi arrivarono nei primi anni Duemila. Nel 2005 l’azienda chiuse con una perdita di 51.14 milioni di euro, imputabile anche a causa dell’arrivo in Italia dei prodotti realizzati in estremo oriente e delle grandi catene del tessile per la casa. La società provò a rispondere attraverso riduzioni di organico (750 esuberi su 1700 dipendenti in Italia) e chiusure di stabilimenti. Nel 2009 entrò nella società il portiere della Juve Gigi Buffon mentre nel 2016 la società passò al fondo Astrance Capital. Zucchi, nominato cavaliere del lavoro nel 1988, è stato anche membro del consiglio superiore della Banca d’Italia. I funerali dell’imprenditore si svolgeranno nella giornata di lunedì 30 novembre nella basilica di Sant’Ambrogio.

arturo diaconale

Il primo dicembre Arturo Diaconale è’ morto nella notte a Roma il giornalista e portavoce della Lazio. Aveva 75 anni e da diversi mesi lottava contro una grave malattia. Nel 2016 era arrivato al club romano, chiamato da Claudio Lotito, per occuparsi della comunicazione della società, e oltre al ruolo ufficiale aveva incarnato spesso il ruolo di portavoce degli umori della tifoseria biancoceleste. Giornalista di lungo corso, era stato direttore dell’Opinione per 27 anni. Grazie alla sua esperienza nel mondo del giornalismo e della politica, Diaconale il 4 agosto del 2015 era stato eletto come membro nel consiglio d’Amministrazione della Rai dalla commissione vigilanza della Rai, carica ricoperta fino a luglio del 2018. Abruzzese di nascita e romano di adozione, dopo la laurea in Giurisprudenza iniziò l’attività giornalistica nella redazione romana de Il Giornale di Sicilia (1973). Nel 1976 divenne giornalista parlamentare, nell’80 capo della redazione romana ma nel 1985 passo’ come redattore parlamentare a Il Giornale, allora diretto da Indro Montanelli. Nel ’93 fu nominato direttore del settimanale L’Opinione, che Diaconale trasformò in quotidiano diventato successivamente L’Opinione delle liberta’. Nel 1995 ha ideato e condotto una trasmissione giornalistica su Rai 3, dal titolo “Ad armi pari” e negli anni successivi ha partecipato come opinionista a tutti i principali talk show italiani. Nel 1996 fu candidato al Senato per il Polo per le Liberta’ del Lazio, nel collegio di Rieti, ma fu sconfitto dal rappresentante dell’Ulivo, Gavino Angius. Diaconale è stato molto impegnato negli anni anche nel sindacato unico dei giornalisti. come vice-segretario nazionale della Fnsi e segretario dell’Associazione stampa romana.

aldo moser

Il 2 dicembre è morto a 86 anni Aldo Moser, il più anziano di una dinastia che ha fatto la storia del ciclismo italiano. Nato a Giovo il 7 febbraio 1934, fratello maggiore di Enzo, Diego e Francesco, Moser aveva corso con Fausto Coppi e partecipato a 16 edizioni del Giro d’Italia, ottenendo come miglior piazzamento un quinto posto e indossano per due volte, a distanza di 13 anni, la maglia rosa. Nel Dopoguerra, dopo essere diventato professionista nel 1954, Aldo Moser ha vestito la maglia azzurra per quattro volte ai Mondiali – a Frascati nel 1955, poi Waregem nel 1957, a Reims l’anno successivo e a Mendrisio nel 1971 – e vinto cinque trofei in carriera. Si ritirò a 39 anni, chiudendo una carriera assai longeva per una frattura a un ginocchio. Con la maglia della Filotex, nel 1973, è riuscito a correre con i suoi tre fratelli professionisti: un record. Durante una massacrante tappa del Giro d’Italia, la Merano-Bondone, l’8 giugno 1956, lungo i 242 chilometri iniziò una tormenta di neve che investì il gruppo mentre risaliva lo Stelvio. Aldo Moser, che alla partenza era terzo, fu immortalato mentre scavalcava un ‘muro’ di neve con la sua bicicletta portata a braccia. Una foco iconica del ciclismo di quegli anni: su 86 partenti, dopo la tempesta e quattro sterrati, solo 45 arrivarono al traguardo.

Il 3 dicembre è deceduto Valery Giscard d’Estaing, ventesimo presidente della repubblica transalpina. Egli, in carica dal 1974 al 1981, si è spento all’età di 94 anni. La sua presidenza ha rappresentato, per il Paese una parentesi liberale dopo la precedente lunga stagione gollista. Egli, all’Eliseo, avrebbe infatti cercato di realizzare una liberalizzazione dell’economia e della società d’Oltralpe, conseguendo riforme normative come l’introduzione del divorzio per mutuo consenso, la legalizzazione dell’aborto, l’abbassamento da 21 a 18 anni dell’età per votare. Giscard, divenuto presidente a soli 48 anni, ha detenuto per molto tempo il record di inquilino dell’Eliseo più giovane, fino all’anno dell’elezione di Emmanuel Macron. La morte di Giscard si è consumata al termine di un lungo ricovero ospedaliero. L’esponente liberale è stato infatti fino a pochi giorni fa sotto cura presso il reparto di cardiologia dell’ospedale di Tours, nella regione centrale della Francia. Tra le altre decisioni che hanno caratterizzato profondamente la presidenza Giscard vi sono state il convinto impegno europeista e il progressivo riavvicinamento diplomatico alla Germania. Nonostante le importanti riforme legislative da lui promosse e approvate, il suo settennato ha coinciso con il maturare di una crisi economica e con alcuni gravi scandali, con conseguente bocciatura elettorale dell’esponente liberale da parte dei francesi in occasione delle presidenziali del 1981.

paolo rossi

Il 10 dicembre è morto a 64 anni, vittima di un male incurabile, Paolo Rossi, icona del calcio italiano e mondiale ed eroe degli Azzurri campioni del mondo nel 1982 in Spagna. Ne ha dato notizia nella notte la moglie Federica Cappelletti, sul suo profilo Instagram. Nato a Prato il 23 settembre del 1956, Rossi conquistò il titolo di capocannoniere in quell’indimenticabile Mundial sotto il ct Enzo Bearzot. La punta azzurra entrò nell’immaginario collettivo con la memorabile tripletta al Brasile, con la doppietta in semifinale alla Polonia e il gol che aprì le marcature nella finalissima vinta contro la Germania Ovest. Nello stesso anno Pablito vinse il Pallone d’oro, divenendo così il primo giocatore nella storia del calcio a vincere Mondiale, titolo di capocannoniere e il prestigioso premio individuale nello stesso anno: un record eguagliato solamente da Ronaldo il Fenomeno nel 2002. Con la Juventus di Giovanni Trapattoni negli anni ’80 ha vinto due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle coppe, una Supercoppa europea e la Coppa dei campioni nel 1985. Nella sua carriera ha militato anche nel Como, nel Vicenza, nel Perugia, nel Milan e nel Verona. Al termine della carriera di calciatore, fu a lungo opinionista per Mediaset, Sky e Rai. Lascia la moglie Federica e i suoi tre figli Sofia Elena, Maria Vittoria e Alessandro.

john le carré

Il 14 febbraio è morto a 89 anni il grande scrittore britannico John le Carré. Lo annuncia il Guardian, riportando la conferma della sua famiglia. Il celebre autore di alcuni tra i più grandi romanzi thriller e di spionaggio è deceduto a causa di una polmonite (non legata al Covid)al Royal Cornwall Hospital sabato sera. Sarebbe non solo riduttivo, ma profondamente ingiusto, confinare il romanziere inglese John le Carré, scomparso all’età di 89 anni, nell’ambito della letteratura di genere, considerarlo in sostanza l’alternativa colta e sofisticata, nell’ambito delle storie di spionaggio, a Ian Fleming e al suo 007. Bisogna invece riconoscere che David Cornwell (questo era il suo vero nome), è stato in assoluto uno degli autori di lingua inglese più importanti nella seconda metà del Novecento, giudizio peraltro espresso da autorità del calibro di Philip Roth e Ian McEwan.

Il 18 dicembre dopo una lunga malattia è morto Enrico Ferri, ex ministro dei Lavori pubblici nel governo De Mita tra il 1988 e il 1989, esponente del Partito socialdemocratico (Psdi), che firmò l’ordinanza per abbassare a 110 chilometri all’ora il limite della velocità massima per i veicoli sulle autostrade. Nel corso della sua carriera politica Enrico Ferri è stato anche esponente di Forza Italia e dell’Udeur. Deputato ed europarlamentare, è stato più volte sindaco di Pontremoli fino al 2004. Aveva 78 anni.

Il 24 dicembre è morta Stella Tennant: l’aristocratica top model scozzese, una delle piu’ note regine della passerella degli anni ’90, e’ stata trovata morta “improvvisamente” nella casa di Duns in Scozia cinque giorni dopo aver compiuto 50 anni. Le cause della morte non sono state ancora precisate: un portavoce della polizia di Duns ha escluso pero’ “circostanze sospette”.Lo scorso agosto Stella si era separata dal marito, il fotografo francese David Lasnet, con cui aveva avuto quattro figli in 21 anni di matrimonio.La Tennant era stata scoperta all’inizio degli anni ’90, mentre studiava scultura a Winchester, da Steven Meisel che l’aveva scelta per la celebre copertina di Vogue Italia del dicembre 1993 “Anglo-Saxon Attitude”. Il fotografo era rimasto colpito dall’anello al naso che Stella si era rifiutata di togliere sul set e l’aveva su due piedi reclutata per una campagna pubblicitaria di Versace a Parigi. La modella era poi diventata una presenza fissa sulle passerelle di Versace, Valentino e Alexander McQueen e nelle campagne promozionali di grandi firme come Calvin Klein, Jean Paul Gautier e Burberry. Alla fine del decennio era diventata la musa di Karl Lagerfeld che l’aveva scelta in esclusiva come nuovo volto di Chanel a causa della somiglianza con la leggendaria Coco. Incinta del primo figlio, nel 1998 aveva annunciato l’addio alla moda. Nel 2012 con altre supermodelle britanniche come Naomi Campbell e Kate Moss, era pero’ tornata in passerella davanti a milioni di spettatori come testimonial del British Style alla cerimonia di chiusura delle Olimpiadi di Londra. Del 2018 l’ultima copertina di Vogue UK. Stella Tennant aveva un look androgino e uno stile aristocratico: nelle sue vene scorreva vero sangue blu, essendo la nipote dell’undicesimo duca del Devonshire, Andrew Cavendish, e di Deborah Mitford, la piu’ giovane delle sei celebri sorelle Mitford che dominarono la buona societa’ britannica a partire dagli anni Trenta. Oltre al lavoro nella moda negli ultimi anni si era impegnata in cause ecologiche e contro il sistema della fast fashion: l’anno scorso aveva confessato al “Guardian” che non comprava piu’ di cinque capi di vestiario all’anno riutilizzando gli abiti che aveva dagli anni Novanta: “Alla mia eta’ – aveva spiegato – e’ normale non essere cosi’ interessata nel consumismo”.

Il 26 dicembre il giornalista Ezio Zefferi, protagonista dell’informazione della Rai in bianco e nero, con la direzione dei servizi speciali del Telegiornale nazionale, e poi tra gli artefici della nascita del Tg2, di cui fu vice direttore e creatore di varie rubriche, tra cui «Tg2 Dossier», è morto all’età di 94 anni a Roma alla vigilia di Natale. L’annuncio della scomparsa è stato dato oggi dal sindaco di Castellammare del Golfo (Trapani), Nicolò Rizzo. Zefferi era cittadino onorario di Castellammare dal 2010, doveva aveva scelto di vivere da pensionato. Tre anni fa aveva lasciato Castellammare, dove aveva organizzato varie manifestazioni culturali, per raggiungere la famiglia a Roma. Nato a Tunisi il 5 settembre 1926, Ezio Zefferi iniziò l’attività di giornalista a «Momento Sera» e poi alla «Gazzetta di Mantova». Nel 1954 partecipò al primo concorso per teleradiocronisti indetto dalla Rai e fu uno dei vincitori con, tra gli altri, Furio Colombo, Umberto Eco, Alfredo Pigna e Elio Sparano. Agli inizi degli anni ’60 realizzò vari documentari per programmi curati da Enzo Biagi e poi divenne curatore dei servizi speciali del Telegiornale succedendo a Sergio Zavoli. Fu Zefferi, ad esempio, nella notte tra il 20 luglio e il 21 luglio 1969 ad organizzare le varie fasi della lunga diretta dello sbarco sulla Luna da Roma con i giornalisti Tito Stagno, Andrea Barbato e l’inviato a Houston Ruggero Orlando. Nel 1970 pubblicò il libro «Grandangolo – 10 anni di servizi speciali del Telegiornale». Dopo la riforma del 1976 Ezio Zefferi partecipò con Andrea Barbato alla creazione del Tg2, dedicandosi in particolare alla cura delle rubriche giornalistiche di approfondimento, di cui divenne il responsabile (Tg2 Dossier, Grandangolo, Sestante…..). Al Tg2 concluse la carriera come vice direttore. Ezio Zefferi coltivò sempre la sua passione per la musica e una volta lasciata la Rai nel 1986 fu nominato sovrintendente del Teatro Regio di Torino. Ha curato in seguito anche la regia di numerose opere liriche, come «La fanciulla del West» a Verona, «Rigoletto» a Bari, «Norma» a Padova, «Bohème» e «Forza del destino» a Cagliari.

Il 25 dicembre lo scrittore Barry Lopez, considerato il più grande narratore americano contemporaneo di natura e paesaggi, è morto, il giorno di Natale, a Eugene, nell’Oregon, all’età di 75 anni per le complicazioni di un tumore alla prostata. Era nato il 6 gennaio 1945 a Port Chester, nello stato di New York. Lopez era un dispensatore di saggezza nata da un’intimità quasi mitica con il mondo naturale, coltivata con intensità nel suo ‘rifugio’ nell’Oregon. La sua passione per le questioni ambientali lo aveva portato, infatti, a vivere nei boschi lungo il fiume McKenzie, a est di Eugene, dove aveva acquistato un terreno e costruito una casa, danneggiata da un’incendio nel settembre scorso. Autore di sette saggi e dieci romanzi, Lopez ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il prestigioso National Book Award per la saggistica e l’Award in Literature from the American Academy of Arts and Letters. Tra i suoi libri in italiano “Lupi e uomini” (Piemme), “Resistance” (Dalai Editore), “Lettere dal Paradiso e altre storie” (Neri Pozza), “Sogni artici” (Dalai Editore), “Dalla Groenlandia al Congo: 12 racconti sulla natura” (Feltrinelli). “Una geografia profonda. Scritti sulla terra e l’immaginazione” è la sua prima antologia pubblicata in italiano da Galaad Edizioni.

Il 25 dicembre Lin Qi, uno tra gli uomini più ricchi di tutta la Cina e re indiscusso dei videogiochi del Trono di Spade, è morto a soli 39 anni. A causare la morte prematura del magnate di Shanghai sarebbe stato, secondo alcune testimonianze, il tè pu’er, un tè cinese fermentato, somministratogli da un collega rivale di nome Xu Yao. Il sospettato forse puntava a prendere il posto di Lin, il quale aveva un patrimonio di 6,7 miliardi di yuan secondo la Hurun China Rich List. La morte sarebbe quindi avvenuta per avvelenamento, anche se le circostanze del decesso rimangono tutt’ora molto misteriose. La Polizia, cercando di fare chiarezza, ha detto che Lin era stato ricoverato subito dopo essersi sentito male ma che era rimasto in condizioni stabili, fino alla drammatica svolta di Venerdì 25 Dicembre. La società Yoozoo, da lui creata nel 2009, ha rilasciato una dichiarazione sul suo microblog ufficiale Weibo, in cui dice: “Saremo insieme, continueremo a essere gentili, continueremo a credere nella bontà e continueremo la lotta contro tutto ciò che è male”.

Il 27 dicembre è morto il wrestler Jon Huber è morto all’età di 41 anni. Era in piena attività e lottava in AEW con il nome di Brodie Lee. Tra il 2012 e il 2019 aveva militato anche in WWE, principale compagnia mondiale, che lo rese noto come Luke Harper. In AEW ha detenuto il TNT Championship, mentre nel periodo di attività in WWE fu Intercontinental Champion e tre volte campione di coppia (una a NXT e due a SmackDown), sempre come componente della Wyatt Family. Ognuno di questi titoli fu vinto come Luke Harper. Brodie Lee, come ha spiegato la moglie su Instagram, è stato ucciso da un problema polmonare non collegato al Coronavirus. Il suo aspetto stralunato e per molti versi volutamente trasandato lo aveva reso un perfetto “cattivo”, nonostante fosse noto per avere un carattere gentile e cortese nella vita di ogni giorno.

Il 29 dicembre Pierre Cardin, lo stilista italiano nato a Sant’Andrea di Barbarana, frazione del comune di San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso, in Veneto, ma cresciuto in Francia, paese dove mosse i primi passi nella moda e crebbe, fino a diventare uno tra i più importanti couturier della seconda metà del Novecento, un gigante della moda e del design è morto oggi 29 dicembre a 98 anni. In realtà il cuore di Pietro Costante Cardin, nato il 2 luglio 1922, da una famiglia di facoltosi agricoltori, finiti in povertà dopo la prima guerra mondiale, era rimasto sempre in Italia.Forse tra tutti i couturier del secolo scorso, nati in Italia e cresciuti in Francia, Cardin è stato quello che ha rappresentato al meglio quel mix di stile tra Italia e Francia, motivo determinante del suo successo. A soli 14 anni nel 1936, il giovane Pierre, il cui nome italiano, Pietro, era stato francesizzato, comincio’ l’apprendistato da un sarto a Saint- Étienne. Dopo una breve esperienza da Manby, sarto a Vichy, nel 1945 giunse a Parigi lavorando prima da Jeanne Paquin e poi da Elsa Schiaparelli. Primo sarto della maison Christian Dior durante la sua apertura nel 1947 (dopo essere stato rifiutato da Cristobal Balenciaga) fu partecipe del successo del maestro che invento’ il New Look. Nel 1950 fondo’ la sua casa di moda, cimentandosi con l’alta moda nel ’53. Cardin divenne celebre per il suo stile futurista, ispirato alle prime imprese dell’uomo nello spazio. Preferiva tagli geometrici spesso ignorando le forme femminili. Amava lo stile unisex e la sperimentazione di linee nuove. Nel 1954 introdusse il bubble dress, l’abito a bolle. Cardin è stato un antesignano anche nella scelta di nuovi mercati e nel firmare nuove licenze. Nel ’59 fu il primo stilista ad aprire in Giappone un negozio d’alta moda. Sempre in quell’anno fu espulso dalla Chambre Syndacale francese, per aver lanciato per primo a Parigi una collezione confezionata per i grandi magazzini Printemps. Ma fu presto reintegrato. Tuttavia, Cardin è stato membro della Chambre Syndicale de la Haute Couture et du Pret-à-Porter e della Maison du Haute Couture dal 1953 e si dimise dalla Chambre Syndacale nel 1966. Le sue collezioni dal 1971 sono state mostrate nella sua sede, l’Espace Cardin, a Parigi, prima di allora nel Teatro degli Ambasciatori, vicino all’Ambasciata americana, uno spazio che il couturier ha utilizzato anche per promuovere nuovi talenti artistici, come teatranti o musicisti. Come molti altri stilisti Cardin decise nel 1994 di mostrare la sua collezione solo ad un ristretto gruppo di clienti selezionati e giornalisti. Nel 1971 Cardin venne affiancato nella creazione d’abiti dal collega Andrè Oliver, che nel 1987 si assunse la responsabilità delel collezioni d’alta moda, fino alla sua morte nel 1993. Lo stilista amava la mondanità, il mondo del jet set, così nel 1981 acquisto’ i celebri ristoranti parigini Maxim’s. In breve tempo apri’ filiali a New York, Londra e a Pechino nel 1983 e vi affianco’ una catena di hotel. Tra le licenze della linea Maxim’s c’era anche un’acqua minerale che veniva prelevata ed imbottigliata a Graviserri nel comune di Pratovecchio Stia, provincia di Arezzo. La passione degli immobili. Cardin era entrato in possesso delle rovine di un castello a Lacoste abitato nel passato dal Marchese de Sade. Dopo aver ristrutturato il sito, lo stilista vi organizzava dei festival teatrali. Cardin aveva ritrovato le sue radici italiane anche con l’acquisto del palazzo Ca’ Bragadin a Venezia dove risiedeva durante i suoi frequenti soggiorni nella città lagunare (nella calle attigua c’è uno spazio espositivo). Negli anni ’80 aveva acquistato il Palais Bulles (Il palazzo delle bolle) progettato dall’eccentrico architetto Lovag Antti. Tutto, dal pavimento al soffitto, era riempito da forme sferiche. Con il suo teatro da 500 posti a sedere, le piscine con vista sul Mar Mediterraneo era spesso luogo di feste ed eventi. L’interno era arredato con pezzi di design, le Sculptures utilitaires disegnate dallo stesso Cardin, che dal 1977 ha dato vita ad una collezione di mobili eleganti dalle forme sinuose. Nel golfo di Cannes, a Théoule-sur-Mer, a sud della Francia, quest’opera architettonica nell’ 88 è stata designata dal Ministero della Cultura quale monumento storico. Anche un docu-film sulla vita di Cardin presentato al Festival del cinema di Venezia nel 2019: House of Cardin di P. David Ebersole, Todd Hughes. Nel luglio 2019, anche una mostra monografica dedicata al “gigante della moda” negli Usa, nel Brooklyn Museum.

teresa iaccarino

Il 29 dicembre è morta Teresa Iaccarino, giornalista e  volto storico di Telecapri e Retecapri, due fra le principali emittenti televisive della Campania.  Iaccarino 61 anni, è venuta a mancare stamane nella sua abitazione di Anacapri, sull’isola Azzurra. Annunciatrice, presentatrice televisiva, conduttrice di programmi di informazione e di intrattenimento, Iaccarino è ricordata da molti come volto affabile, dolce e storico della tv locale campana. I funerali si terranno domani 30 dicembre, alle 11, nella chiesa di Santa Sofia ad Anacapri. Un’intera generazione è cresciuta con “Uffi” e con i primi cartoni animati giapponesi in compagnia di Teresa: la trasmissione era “Sveglia ragazzi!” (1980-1985) arrivata ben prima dei vari contenitori del mattino della tv di stato e di quella privata a diffusione nazionale. Si caratterizzava per una sigla prorompente, una vera e propria sveglia con la tromba destinata ai ragazzini che dovevano prepararsi per andare a scuola. Teresa ha anche condotto programmi giornalistici e vari giochi a quiz tra i quali: “Quasi Rete – Allo stadio con Telecapri”; “La clessidra – tempo televisivo”; “Il comune più veloce del sud”, “Drin Drin”; “Ospiti in casa mia” e “Buongiorno Cara Italia”. Nell’ultimo periodo la vita di Teresa era caratterizzata anche dalla timida e costante presenza sui social network, Facebook in particolare, dove raccontava tra le altre cose del suo meraviglioso giardino caprese e delle attenzioni che aveva per la solidarietà e per la cura degli animali.

Il 30 dicembre è morto William Link, creatore di telefilm cult come La signora in giallo e Il Tenente Colombo. Link ha scritto un pezzo di televisione insieme all’amico e collega Richard Levinson, con cui ha ideato serie tv che hanno fatto storia. Nel 1971 la coppia vinse un Emmy Awards per il Tenente Colombo, interpretato dal mitico Peter Falk, mentre dal 1984 al 1996 portò al successo La signora in giallo, con Angela Lansbury nei panni della protagonista Jessica Fletcher. Fra i grandi traguardi di William Link ci sono anche le sceneggiature di Mannix, Ellery Queen, Quella casa sulla collina (che ha vinto un Emmy nel 1970), Assassinio per cause naturali e Tre atti per un omicidio. Per il cinema ha realizzato, sempre in coppia con Levinson, The Hindenburg nel 1975 e Rollercoaster il grande brivido, due anni dopo. Nella sua lunga carriera, Link ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Nel 1979 lui e Levinson ricevettero il premio Edgar Award dalla Mystery Writers of America per aver sceneggiato Ellery Queen e Il tenente Colombo. Nel 1987 Levinson morì, ma Link non si fermò, continuando a produrre soggetti e sceneggiature per la televisione. Nel 1995 gli sceneggiatori entrarono di diritto nella Television Academy Hall of Fame, sette anni dopo Link venne nominato presidente della Mystery Writers of America. I suoi più grandi successi, quelli per cui verrà ricordato, restano La signora in giallo e Il tenente Colombo, cult del piccolo schermo che hanno sedotto generazioni di telespettatori. Nel 2011 Peter Falk, che interpretava il detective di Los Angeles dalla personalità molto particolare, è scomparso, mentre Angela Lansbury lo scorso 16 ottobre ha compiuto 95 anni e medita di tornare a vestire i panni di Jessica Fletcher in una versione rinnovata de La signora in giallo.

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